Sant’Ivo,
più che una chiesa, è una cupola.
Una
volta entrato, non puoi evitarla: ovunque vai, sei sotto di essa. Devi
attraversare i muri, se vuoi avere un soffitto diverso.
In
questo è simile al Pantheon: a uno a uno prendiamo il volo nella stessa
mongolfiera.
La cosa
bella è che entriamo tutti turisti: gente della più varia provenienza e anche
di incerta consistenza. Poi però troviamo qualcosa che ci accomuna: la cupola.
Abbiamo il medesimo silenzio, una parte simile in noi s’apre e s’allenta. Di
tanti individui separati, diventiamo un solo corpo grazie alla stessa cupola. Il
miracolo di S. Ivo è che trasforma degli sconosciuti in una comunità. In fondo, cos’altro è quest'ultima se non un
gruppo di persone che cominciano a guardare nella stessa direzione?
Ognuno,
a S. Ivo, ha uno scopo grande e bianco, con solo un tocco d’oro al centro. Allora – se il nostro sforzo è stato nella stessa direzione e abbiamo perseverato – uscendo
è come se ci conoscessimo un po' gli uni gli altri. In modo simile alle nervature della
cupola, che più salgono e più si avvicinano, anche noi ci siamo ritrovati in un
unico punto: quello più luminoso. Fuori può sembrare un fuoco pirotecnico di fiamme e
spirali: dentro, è uno stato molto semplice.
Più non si va, se pria non morde,
anime sante, il foco: intrate in esso,
ed al cantar di là non siate sorde.
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