venerdì 30 ottobre 2015

Odissea nella Quarta Via


Nell’Odissea, sulla nave che costeggiava lo scoglio delle sirene c’era un solo uomo che sarebbe arrivato fino a Itaca: quello che, a differenza degli altri, non remava, non si era tappato le orecchie e non evitava i pericoli del viaggio. Tutti gli altri – che sudavano sì ai remi, ma isolati dai tappi alle orecchie – Itaca non l’avrebbero mai vista. Esponendosi al pericolo, e attraversandolo indenne, Ulisse raccoglieva l’energia necessaria ad arrivare a Itaca. Ma come si esponeva al pericolo, Ulisse?

1)     con le istruzioni divine ricevute da Circe (una semidea che l’aveva istruito prima della partenza);
2)     con l’aiuto dei compagni di viaggio;
3)     delineando in anticipo una strategia precisa (si farà legare all’albero maestro e se cercherà di liberarsi, i compagni dovranno rafforzare i nodi).

Detto in altri termini, Ulisse “lavora in modo preciso con qualcosa di preciso”; ovvero, il passaggio di Ulisse attraverso le sirene è una metafora della vita spirituale secondo gli insegnamenti di Gurdjieff. Nella Quarta Via insegnata da questo ultimo, ci si espone alla vita, ci si appoggia sui compagni di viaggio (e li si appoggia), si fa affidamento sull’aiuto dall’alto e si cerca di avere una strategia che aiuti ad attraversare indenni il pianeta Terra.

“Desidero che un uomo abbia una comprensione tale di questo Sistema, che anche se lui venisse piegato, curvato e distorto in mille modi, continuerebbe a puntare nella stessa direzione.” Gurdjieff (da M. Nicoll, Commentari Psicologici).

Ulisse è l’uomo che ovunque si trovi, qualsiasi cosa accada, non perde di vista il suo scopo. Innumerevoli sono le distrazioni che incontra sul cammino, positive e negative. Tra queste ultime, Polifemo e Circe; tra le prime, la ninfa Calipso. L’isola di Calipso, Ogigia, è un paradiso in terra; la spelonca di Polifemo, un inferno: né l’una né l’altra riescono a far desistere Ulisse dalla sua meta ultima, Itaca.

In questo, Ulisse è l’anti-Pinocchio. Il burattino Pinocchio non riesce a portare a termine nessuna delle sue decisioni: ogni volta che comincia a fare qualcosa, ode il richiamo di un piffero che lo porta in un’altra direzione. È così che le sue disgrazie si sommano l’una all’altra, portando alla rovina anche il padre Geppetto. Il burattino è colui che è mosso da fili esterni: pensa di decidere, in realtà è manovrato.

“Nessuno fa ciò che intende fare, né sa ciò che sta facendo”: questa frase di J.G. Bennett (J.G. Bennett, Witness), un classico enunciato di Quarta Via, si applica bene a Pinocchio e a tutti i compagni di Ulisse, che si perdono tra frutti di loto e vacche sacre a Zeus. Ulisse è l’unico che riesce ad arrivare a Itaca; parafrasando la citazione di Gurdjieff, egli ha compreso il Sistema e non devia dallo scopo, qualunque cosa accada.

Inoltre, vincendo le sue sfide, Ulisse sviluppa energia sufficiente a salvare non solo se stesso, ma anche i compagni di viaggio. Questi ultimi combinano disastri e si perdono definitivamente solo allorché Ulisse dorme. La prima volta, quando sciolgono l’otre dei venti offerto da Eolo; la seconda, quando mangiano le vacche sacre a Zeus.

Anche questa è una metafora di una Scuola spirituale. In quest’ultima, si sta sotto “l’ombrello” di un Maestro, il quale auspicabilmente sa creare l’energia sufficiente ad aiutare non solo se stesso, ma anche gli altri. L’Odissea ci insegna, tra le altre cose, che bisogna fare attenzione a quei momenti in cui, per i motivi più svariati, l’ombrello si chiude (il Maestro si allontana). A volte ciò avviene… mentre passiamo sotto una grondaia.

PS: Mi era stato chiesto di sintetizzare ciò che avevo scritto sull'Odissea in questo blog. Il risultato è il presente articolo.

“Lo sol sen va”, soggiunse, “e vien la sera;
non v’arrestate, ma studiate il passo,
mentre che l'occidente non si annera”.

giovedì 29 ottobre 2015

Le frasi del ricordo di sé


A George M. Adie e Paul Beekman Taylor, Gurdjieff disse chiaramente che il ricordo di sé non era definibile. Ouspensky sarebbe stato d'accordo: il capitolo V del suo libro La Quarta Via parla della "impossibilità di definire cosa sia ricordare se stessi". Inoltre, vi si legge: "Non è utile cercare definizioni: queste renderebbero soltanto la comprensione più difficile". Ciononostante, in molti hanno provato, almeno una volta, a dire "Il ricordo di sé è...". Ecco una breve antologia (suscettibile di miglioramenti) di frasi che cominciano in questo modo.

Maurice Nicoll
"Il ricordo di sé è la consapevolezza del vero io che sta sopra tutti gli io artificialmente creati dalla vita."
"Il ricordo di sé è raggiungere quel luogo che non è né l'uno né l'altro degli opposti, ma è una nuova esperienza. Tutte le identificazioni appartengono agli opposti."
"Il ricordo di sé è una non-identificazione con se stessi, come se si stesse semplicemente recitando e lo si fosse dimenticato."
"Il ricordo di sé è innalzare se stessi a un altro genere di influenze."
"Il ricordo di sé è uno stato di consapevolezza in cui la personalità e tutte le sue funzioni cessano di esistere e tu sei, per così dire, un nessuno."
"Il ricordo di sé è l'inizio del tentativo di riportarci a noi stessi, e quindi al nostro vero centro di gravità."
"Il ricordo di sé è un movimento verso l'interno e l'esterno, non verso l'interno o l'esterno. Il ricordo di sé è un movimento duplice."
"Il ricordo di sé è alzare gli occhi."
"Il ricordo di sé è un'azione che può essere diretta verso tutto ciò che vuoi."
"Il ricordo di sé è fuori dal tempo e dalla personalità."
"Il ricordo di sé è cercare di ricordare qualcosa che non sei, se mi si consente il paradosso."
"Poiché siamo diversi a ogni momento, il ricordo di sé è diverso a ogni momento."
"Il ricordo di sé è portare il Lavoro e ciò che insegna tra la vita e le tue reazioni meccaniche a essa. Metti il Lavoro tra te e la vita." 
"Ricordare se stessi è lasciare andare se stessi" (tutte le citazioni da M. Nicoll, Commentari voll. 1-5).

Peter Ouspensky
"Il ricordo di sé è azione, perché non è solo consapevolezza di sé, ma la capacità di fare ciò che vuoi fare" (da M. Nicoll, Commentari vol. 3)
"Il ricordo di sé è un tentativo di essere consapevoli di se stessi."
"Il ricordo di sé è una tecnica di risveglio."
"Noi studiamo porte. Il ricordo di sé è una porta."
"Il ricordo di sé è l'inizio e il centro del Sistema, oltre che la cosa più importante da comprendere."
"All'inizio, il ricordo di sé è uno sforzo che ha per oggetto le funzioni. Cominci a ricordare te stesso semplicemente organizzando i tuoi processi mentali in un certo modo."
"Il ricordo di sé è un momento di consapevolezza che arriva grazie a un tuo sforzo."
"Il ricordo di sé è un esperimento: un giorno potrebbe avere successo, un altro giorno no."
"Il ricordo di sé è una cosa che deve essere fondata sulla giusta funzione."
"Sarebbe molto bello se potessimo meditare, ma non possiamo farlo. Il ricordo di sé è la via per farlo."
"Il ricordo di sé è uno stadio necessario nello sviluppo dell'uomo, non un esercizio imposto arbitrariamente" (da La Quarta Via).
"Il ricordo di sé è una funzione addizionale. In realtà è uno stato, ma comincia come una funzione. Solo che è addizionale."
"Il ricordo di sé è uno stato. Non puoi capirlo prima di arrivarci."
"Il ricordo di sé è solo un tentativo, un primo passo verso la consapevolezza. Alla fine, però, conduce a essa."
"Il ricordo di sé è l'unico vero shock."
"Il ricordo di sé è così difficile che non presenta rischi."
"Il ricordo di sé è una cosa, l'identificazione un'altra. O l'uno o l'altra: sono opposti. In quanto tale, il ricordo di sé è lotta contro l'identificazione."
"Il ricordo di sé è l'unica via giusta."
"Il ricordo di sé è l'unico modo per sviluppare la memoria" (da Meetings 1930-1947).

Madame Ouspensky
"Il ricordo di sé è uscire dal mondo piccolo per accedere a quello grande" (dagli appunti di Robert S. deRopp)

Jeanne de Salzmann
"Ricordarsi di sé significa morire a se stessi, alla menzogna della propria immaginazione."
"La mia attenzione è impegnata in due direzioni e io sono il centro: questo è il ricordo di sé."
"La pratica della presenza è ricordo di sé."
"Il ricordo di sé è lo shock emotivo che si verifica quando tutte le energie al nostro interno entrano in contatto."
(da La realtà dell'essere)

E Gurdjieff? Ovviamente ha parlato molto di ricordo di sé, soprattutto negli incontri e le conferenze, ma sembra che non abbia mai detto: "Il ricordo di sé è...".

“Lo sol sen va”, soggiunse, “e vien la sera;
non v’arrestate, ma studiate il passo,
mentre che l'occidente non si annera”. 

mercoledì 28 ottobre 2015

L'Aiutante Inanimato


In Quarta Via, l'immaginazione non è un male in sé: lo è solo quando è incontrollata. L'immaginazione controllata è stata usata da Gurdjieff in quelli che vengono definiti "esercizi contemplativi interiori" o "segreti". Nelle carte di George M. Adie trovate a Sidney dopo la sua morte (1989) è contenuta la descrizione di uno di tali esercizi, datata ottobre '48 (un anno prima della morte di Gurdjieff). L'esercizio adopera, tra le altre cose, la formula "I Am" ("Io sono"). Essa è considerata una delle preghiere della Quarta Via, assieme a quella del cuore ("Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me") introdotta da Ouspensky nel 1931 nei suoi gruppi. Bennett ricordava di aver ricevuto da Gurdjieff "una sequenza di esercizi per il controllo e la trasformazione delle energie psichiche" (Witness).

Praticando questi esercizi, ci si accorge che occorre ricordarsi di due cose: di iniziarli nel corso della giornata; di portarli a termine una volta iniziati. Nel primo caso, può essere utile "sacrificare qualcosa per un lungo periodo di tempo, costantemente" (Irmis B. Popoff), in modo da creare dentro di sé "un fattore costante di ricordo": a esempio, rinunciare all'espressione delle emozioni negative. 

Nel secondo caso (portare a termine la "preghiera"), Gurdjieff consigliava uno strumento tradizionale che usava lui stesso: il rosario.

Edwin Wolfe e Nicolas de Stjernvall ci hanno scritto dell'uso del rosario da parte di Gurdjieff; in una foto del suo ultimo anno di vita, lo vediamo seduto su una panchina apparentemente con un rosario in mano (se si vuole prestare fede a J. Webb, anche la prima foto esistente di Gurdjieff, mascherato nel 1904 dal lama Narzunoff, lo ritrae con un rosario in mano); nel suo studiolo dell'ultimo appartamento parigino, erano appesi vari rosari (J. Webb); in Incontri con uomini straordinari, il rosario è definito "l'attributo indispensabile di ogni orientale che si rispetti, durante i momenti di riposo concessigli dai doveri della vita".

Undiscovered Country di K. Hulme è un libro di Quarta Via (non tradotto in italiano) da cui vengono molte delle citazioni più famose di Gurdjieff. A pag. 113, leggiamo: "Un giorno, Gurdjieff diede a ognuna di noi  [le donne della Cordata] un rosario fatto di grossi grani neri di un misterioso materiale, con il quale dovevamo fare un esercizio speciale mentre passavamo i grani tra il pollice e l'indice. Ci disse che in passato questi rosari erano noti come l'Aiutante Inanimato e che molti tipi di lavoro interiore, assai più difficili del nostro esercizio, venivano fatti con il loro aiuto". Aggiunse che gli orientali che si vedevano al caffè con i rosari in mano non erano la quintessenza della pigrizia, al contrario: da quei grani traevano una forza interiore inimmaginabile.

Con l'uso di un rosario, diventa più facile non solo portare a termine questi esercizi precisi e sequenziali, ma anche attivare il centro motorio, rendendo più completa (ed efficace) la pratica. Il rosario consegnato da Gurdjieff alle donne della Cordata andava portato ovunque, ma senza dare nell'occhio. Esso era da tenere in tasca e da impiegare di nascosto in autobus, al caffè, a teatro...

Diversi anni dopo, in un altro continente, K. Hulme mostrò felice a Gurdjieff il proprio rosario, facendogli capire che aveva continuato a portarlo con sé. Alla sua vista, Gurdjieff fece "il suo sorriso più amorevole che gli avessi mai visto", quindi lo prese, lo mostrò a tutti dicendo "Is a mother thing..." ("È un oggetto-madre...") e se lo mise in tasca, senza più restituirlo a Hulme. Dunque, il rosario è una madre che a un certo punto deve farsi da parte per lasciare che il figlio proceda autonomamente. Ma quando? Ci vuole pazienza: sia Hulme che Bennett lavorarono con la ripetizione di una preghiera interiore per dodici anni.

“Lo sol sen va”, soggiunse, “e vien la sera;
non v’arrestate, ma studiate il passo,
mentre che l'occidente non si annera”.

lunedì 19 ottobre 2015

In viaggio

Sei biglietti di prima classe per traversare le acque, 1932

Il rientro, mercoledì 28 ottobre.

“Lo sol sen va”, soggiunse, “e vien la sera;
non v’arrestate, ma studiate il passo,
mentre che l'occidente non si annera”.

domenica 18 ottobre 2015

Il miracoloso


Tutto questo Sistema non avrebbe senso se non ci fosse la ricerca del miracoloso. Ouspensky

Il miracoloso in Quarta Via esiste, non è solo l'oggetto delle ricerche di Ouspensky.

Molti si sono chiesti come facesse Gurdjieff a vivere nell'abbondanza mentre Parigi era occupata dai tedeschi, tra l'altro aiutando decine di persone. Pochi sanno di Anci Dupré, la moglie di uno dei più noti e facoltosi albergatori parigini dell'epoca. Agli inizi del 1939, le era stato diagnosticato un tumore incurabile al fegato. Recatasi dal "mago" Gurdjieff, questi le tenne la mano destra sopra il tumore e il giorno dopo "il dolore e i segni del tumore erano spariti" (P.B. Taylor, G.I. Gurdjieff, A New Life). Da allora, i Dipré (che nei loro hotel avrebbero ospitato gli ufficiali tedeschi) diventarono i principali benefattori di Gurdjieff durante l'occupazione.

Ouspensky ci racconta in Frammenti la famosa settimana finlandese dei miracoli, in cui osservò fenomeni telepatici tra lui e Gurdjieff. Kathryn Hulme descrive come quest'ultimo sapesse, senza averlo udito da nessuno, che la sua amica Marie-Louise Habets era una "Piccola Suora di Carità". In questo sito si trova un elenco dei poteri "soprannaturali" di Mr. Gurdjieff, l'ultimo dei quali sarebbe il fatto che "una dozzina di suoi discepoli ottenne poteri occulti dopo anni di lavoro con il suo metodo".

Il miracoloso in Quarta Via può anche assumere la forma di quelle che il primo insegnante di Maurice Nicoll, C.G. Jung, chiamava "sincronicità". Nel linguaggio del Sistema, vengono piuttosto definiti shock: interventi esterni che ci permettono di proseguire nell'ottava del ricordo di sé, del Lavoro o del Risveglio, superando un intervallo. Per esempio, è uno shock il fatto che la via del cimitero di Gurdjieff si chiami Rue du Souvenir, Via del Ricordo.



Il "ricordo" riporta subito alla mente il "ricordo di sé". Il fatto che l'ultimo "domicilio" di Gurdjieff sia proprio in tale via sembra significativo. Vedendo tale shock, ci ricordiamo di ricordare (esso non vale per i francesi: loro chiamano il ricordo di sé rappel de soi, richiamo di sé, dunque il ricordo cui pensava il funzionario del comune di Avon era semplicemente quello dei cari estinti).

È una sincronicità dal sapore miracoloso quella che vide protagonista il soldato Fritz Peters nel 1944, in Inghilterra. Quando uscì dalla sua tenda per andare in bagno, un bomba cadde su quest'ultima massacrandone tutti i dieci occupanti. "A rendere la situazione ancora più soprannaturale, la mia macchina da scrivere atterrò a pochi passi da me, in perfetto stato", è l'unico dettaglio che aggiunge Peters. La sua presentazione dell'episodio "soprannaturale" porta a pensare che Fritz sia sopravvissuto affinché continuasse a scrivere. In particolare, affinché offrisse all'umanità i suoi due libri di memorie su Gurdjieff, gli unici che vengono ancora letti e per cui il suo nome è ancora ricordato

L'aiuto è dato a coloro che aiutano se stessi nella giusta direzione. G.I. Gurdjieff

“Lo sol sen va”, soggiunse, “e vien la sera;
non v’arrestate, ma studiate il passo,
mentre che l'occidente non si annera”. 

venerdì 16 ottobre 2015

Anna Butkovsky-Hewitt


With Gurdjieff in St. Petersburg and Paris, scritto da Anna Butkovsky-Hewitt "con l'assistenza di Mary Cosh e Alicia Street", è un libro singolare. Quando uscì, in Inghilterra nel 1978, la novantatreenne autrice doveva sembrare l'ultima custode di un mondo sparito: non solo era stata l'amante di Ouspensky, ma aveva anche assistito a tutte le lezioni gurdjieffiane che poi sarebbero confluite in Frammenti. Da questo punto di vista, il libro è unico: ci offre un punto di vista alternativo sugli avvenimenti raccontati da Ouspensky nel suo libro-capolavoro, e ci mostra com'era quest'ultimo da innamorato.

D'altra parte, With Gurdjieff è un libro scritto da una signora di 93 anni i cui ricordi appaiono spesso confusi. Episodi significativi si alternano ad altri irrilevanti, molti si interrompono bruscamente, il libro è disomogeneo e lo si direbbe piuttosto una bozza.

Con tutto ciò, l'opera riesce a offrire spunti di Lavoro. Della figura di Gurdjieff, l'autrice sottolinea più volte un elemento: quando parlava, "le sue maniere erano molto calme e rilassate, e parlava senza mai gesticolare. Anche il semplice stargli seduti vicino era piacevole"; quando ascoltava, "stava seduto immobile e silenzioso come un Buddha. Gurdjieff non faceva mai gesti inutili". L'autrice, se veniva interrogata e doveva parlare, non trovava nell'espressione del Maestro né approvazione né disapprovazione. Era costretta a continuare trovando in sé ogni energia. Se agli inizi dell'Insegnamento Gurdjieff era così, alla fine non sarebbe cambiato: come leggiamo nel secondo volume del Dossier H, nei suoi ultimi anni spesso lasciava cadere le domande nel vuoto, limitandosi a fissare l'interlocutore.

Secondo Pierre Schaeffer, quella di Gurdjieff era una "tranquillità attiva": all'esterno appariva passivo, ma interiormente la sua presenza era attiva. Questi aneddoti, uguali all'inizio e alla fine dell'Insegnamento, dimostrano che Gurdjieff era un Maestro che "incarnava ciò che insegnava", come scrisse Ravi Ravindra. L'eliminazione delle inutili tensioni corporee, insegna Gurdjieff in Vedute sul mondo reale, è prerequisito del Lavoro su di sé. La gesticolazione meccanica che accompagna il parlare è un velo che impedisce la presenza, quindi va tenuta sotto controllo.

Per chiudere tornando al libro di Anna Butkovsky-Hewitt, un giorno Gurdjieff le disse: "A che pro leggere degli sforzi altrui? Non è di aiuto. Solo i propri sforzi contano". Si tratta di un'indicazione da tenere a mente per tutti questi libri. Se non facciamo sforzi personali, ogni lettura, anche attinente al Sistema, non fa che moltiplicare gli io.


“Lo sol sen va”, soggiunse, “e vien la sera;
non v’arrestate, ma studiate il passo,
mentre che l'occidente non si annera”.

giovedì 15 ottobre 2015

La scelta di Elizabeth Gordon


Benché la mole di letteratura sulla Quarta Via sia notevole, alcuni tra i principali studenti di Gurdjieff continuano a restare nell'ombra. È il caso a esempio di Elizabeth Gordon, un'inglese che fu al fianco di Gurdjieff dagli inizi del Prieurè fino all'arresto e la morte in un campo di concentramento tedesco. 

Di lei non si sa quasi nulla, se non che fu una grande devota del Maestro caucasico, il quale a un certo punto le chiese di dirigere il gruppo detto della "Cordata". La ritroviamo vicino a Gurdjieff anche quando in tanti lo avevano lasciato: alla chiusura del Prieurè e allo scoppio della seconda guerra mondiale. Nell'ottobre 1943, la trascrizione di un incontro gurdjieffiano inedito la registra tra i presenti. Poi, tutto quello che si sa è che venne arrestata dai tedeschi in quanto cittadina inglese e deportata in un campo di concentramento. Nel 1945 morì di stenti, nel lager o subito dopo la fine della guerra, a Parigi. 

Una delle poche tracce di lei è nel libro di Louise March. In una lettera da Parigi (1937), Elizabeth scrive: "Gurdjieff è a Parigi, ovviamente, altrimenti non avrebbe senso il mio essere qui". Tornano alla mente le parole con cui Kenneth Walker parlava di Madame Ouspensky: "Ella aveva soltanto una ragione per vivere, e se in Inghilterra non si poteva più continuare il Lavoro, doveva andare ovunque ciò fosse possibile". Bennett sarebbe forse stato d'accordo: "Di tutte le molte persone notevoli che ho incontrato nella mia vita, Madame Ouspensky risalta in modo ineguagliato per la sua unicità di intento e la sua incrollabile ricerca del suo scopo. La sua auto-disciplina è stata un'ispirazione per tutti coloro che l'hanno conosciuta".

Una donna come Elizabeth Gordon, che non insegnò a nessuno perché rimase invisibile al fianco di Gurdjieff, pur sapendo che dal 1940 questo significava rischiare la vita, era forse un personaggio simile. Costanza, valutazione e coraggio sono gli aggettivi che vengono in mente pensando a lei.

Si parva licet, un bivio simile tra Lavoro e non-Lavoro arriva per tutti gli studenti di Quarta Via. Per alcuni, non c'è scelta: il Lavoro è l'unica via di fuga, anche se non sembra, e tornare indietro non è possibile. Se non c'è il Lavoro, "non ha senso essere qui", come scrisse Elizabeth.

Non sappiamo cosa Miss Gordon visse nel campo di concentramento. Sappiamo che esso fu un luogo capace di estrarre eroismo e santità da più di una persona, ma la scarsità di informazioni riguardo Elizabeth ci costringe al silenzio. Ignoriamo anche se Gurdjieff l'avesse esortata a scappare da Parigi o a restare con lui. L'unica cosa che possiamo dire è che l'essere rimasta sino alla fine accanto al suo Maestro, settanta anni dopo, continua a sembrarci ammirevole.

“Lo sol sen va”, soggiunse, “e vien la sera;
non v’arrestate, ma studiate il passo,
mentre che l'occidente non si annera”.

mercoledì 14 ottobre 2015

Sì, giocare


Per George Gurdjieff, il gioco era una cosa seria. Ce lo dice, a esempio, Fritz Peters. Nel suo primo libro, La mia fanciullezza con Gurdjieff, egli scrive: "In molte occasioni ho sentito [Gurdjieff] prendersi gioco della seriosità altrui e ricordare che per ogni essere umano equilibrato era essenziale il 'gioco'. Usava precisamente questa parola, e si riferiva all'esempio della natura: tutti gli animali, al contrario degli esseri umani, conoscono il valore del 'gioco'. Sembrava semplice quanto il trito e ritrito 'Tutto lavoro e niente gioco fanno di Jack un ragazzo stupido' e nessuno poteva accusare Gurdjieff di non giocare. Al suo confronto, gli allievi anziani erano lugubri e tetri". "A volte, avevo la sensazione che quel tipo di 'gioco' [di Gurdjieff] non fosse altro che un diversivo, qualcosa che gli serviva a dimenticare la costante pressione impostagli dal lavoro".

Sfortunatamente, sembra che crescendo lo stesso Fritz Peters avesse dimenticato il valore del gioco. Anzi, secondo Gurdjieff, nello stesso Prieuré egli non giocava abbastanza. Ecco cosa il Maestro caucasico disse a un Peters ormai adulto (I miei anni con Gurdjieff): "Una cosa che non hai mai imparato è come giocare, anche se ho cercato di insegnartelo quando eri bambino. Adesso esci e fai qualcosa che ti diverta, qualsiasi tipo di gioco, poi torna qui alle dieci". Uno degli esercizi che Gurdjieff insegnò all'adulto Peters era "stilare un programma giornaliero di attività, prevedendo i tempi delle inevitabili interruzioni o distrazioni e, soprattutto, riservando delle ore al lavoro e altre al gioco".

Per quale motivo il gioco era importante nell'Insegnamento di Gurdjieff? Un suggerimento ce lo dà Alfred Richard Orage in una delle sue ultime conferenze sulla Quarta Via (Incontri con Gurdjieff). Descrivendo il deterioramento delle funzioni dell'uomo, in particolare del centro emozionale, Orage parla di "incapacità di provare qualsiasi sentimento", specificando: "Abbiamo termini che descrivono uomini e donne le cui emozioni si inaridiscono: chiamiamo le donne acide e gli uomini irritabili o scontrosi. Sono incapaci di reazioni spontanee di fronte a situazioni nuove; non possono giocare".

Il gioco è, pertanto, una ginnastica del centro emozionale. Come l'esercizio fisico tiene in forma il centro motorio, così il gioco mantiene agile e vivo il centro emozionale. La buona salute del centro emozionale è importante per lo studente di Quarta Via, in quanto scopo del Lavoro è "risvegliare il centro emozionale" (Nicoll), l'unica parte che ci permette di accedere ai centri superiori. Un'altra frase di Nicoll la ricorda Kenneth Walker: "Le persone che si occupano di cose serie non devono mai perdere la capacità di ridere".

Tornando a Orage, nelle pagine successive egli ricorda che il nostro scopo non è diventare pienamente vivi in uno solo di questi centri, a esempio l'emozionale. Sviluppando un solo centro - che sia l'intellettuale, l'isintivo-motorio o l'emozionale - "ci sorprenderemmo ad aver creato un mostro". È importante prendersi cura di tutti i centri: questo fu ciò che Orage disse nel maggio 1931, in una delle sue ultime dichiarazioni pubbliche sul Sistema. 

“Lo sol sen va”, soggiunse, “e vien la sera;
non v’arrestate, ma studiate il passo,
mentre che l'occidente non si annera”.

martedì 13 ottobre 2015

Fontanellato


Questo articolo tratta di due opere pittoriche che hanno tre cose in comune: sono in Emilia, sono del Cinquecento e rappresentano un uomo che muore dopo aver visto il Divino.

"Giove che incenerisce Semele" è un quadro del Tintoretto visibile nella Galleria Estense di Modena. Giove e Semele sono genitori di Bacco, dio del vino. Uno è immortale, l’altra mortale. Semele è però una mortale che vuole vedere direttamente il divino, e per questo muore incenerita. Il mito contiene l’idea che Bacco (il vino) nasce dall’incontro tra il divino e l’umano, e che l’umano troppo bramoso di vedere il divino muore. Nell'amore ultraterreno che dona il vino all'uomo si cela dunque un pericolo contro cui bisogna stare in guardia. Il vino può portarci vicini a Dio, ma anche distruggerci: questo si legge in filigrana nel mito.

In provincia di Parma, a Fontanellato, Parmigianino ha dipinto il noto camerino di Diana, dove si vede un altro mortale perire per aver visto il divino. Atteone è a caccia con i suoi cani, quando si imbatte nella dea Diana: essa non può tollerare su di sé lo sguardo di un mortale, quindi tramuta Atteone in un cervo che viene subito sbranato dai cani. Dopo aver visto il divino senza permesso, l'uomo viene dilaniato da quelli che erano i suoi strumenti. I cani lo avevano portato troppo avanti: superato il limite, gli si ritorcono contro.

Nel primo caso, Dio scende sull'uomo facendogli dono del vino; nel secondo, l'uomo raggiunge Dio attraverso i suoi strumenti (il cane, "miglior servitore dell'uomo"). Entrambe le situazioni presentano dei rischi: per Semele, la rovina consiste nell’ascoltare la voce mascherata di una divinità malintenzionata (Giunone) che ne titilla la vanità; per Atteone, il problema è che l’incontro con il divino avviene casualmente, con modi non leciti. In tal caso, quello che ha portato l’esploratore davanti a Dio finisce con l'ucciderlo (l’alcool potrebbe essere una di queste cose).

Questo è il motivo per cui la gente nello stato ordinario non può avere coscienza, perché se la coscienza venisse all’improvviso, essa impazzirebbe. Ouspensky

In cima al camerino di Diana è dipinto un cielo azzurro con uno specchio, contornato dalla scritta Respice finem: osserva la fine. Guardando la scritta, ovviamente si vede se stessi riflessi nello specchio, in mezzo al cielo. Forse, la cosa più alta che possiamo osservare siamo noi stessi; forse, così facendo il cielo è la nostra meta ultima.

“Lo sol sen va”, soggiunse, “e vien la sera;
non v’arrestate, ma studiate il passo,
mentre che l'occidente non si annera”.

lunedì 12 ottobre 2015

I lunedì della poesia - Francesco 1


San Francesco salta a piè pari tutte le asperità che l’uomo incontra sul suo cammino e ne fa delle dolcezze.
Alda Merini

1. Le decisioni della nostra vita
sono state prese dalle piante,
i ruscelli, le caverne. Creando
un monastero, istituendo ordini –
abbiamo solo obbedito. E all’Urbe
arriveremo seguendo altre piante,
differenti segni nella natura.
Una lunga scia di sensazioni,
la nostra vita. Guardate che luce
in un prato – non sentite anche voi:
“Dio sta investendo su di me”?
Da qui, negli uomini futuri,
istilleremo percezioni: boschi,
prati e caverne, a rischiararli.
Che cosa altro è il camminare
se non un ritrarsi pieno di grazia,
una gamba che cede il posto all’altra?
Chi va di fretta assassina il suolo –
voi, siate dei seminatori.


2. Chiara –
la donna soffre (è arrabbiata,
si chiude, sta in disparte) perché
non si apre alla ferita dell’uomo,
non si fa carico del suo tormento,
non accetta il martirio per lui.
E l’uomo soffre (è nervoso,
prova scontento, finge noia) perché
non si apre alla ferita della donna,
non ne benedice il rifiuto,
non antepone il suo dolore al proprio.
Si dovrebbe mettere il cuore altrui
al posto del nostro, amare il prossimo
col suo amore – dire: sia fatta
la tua, la sua, la loro volontà.
Io e te, Chiara, passeremo
sopra tutte le tavole del mondo,
ne santificheremo gli avanzi.
C’è un potere immenso nell’essere ultimi.


3. Fratelli –
Dio, in Terra, cerca solo corpi teneri
dove distendersi, aderire esatto.
Creature senza più spigoli vivi,
rotonde. In questo dissolvimento
Lui penetra e prende dimora,
trova l’uscio aperto. Allora voi
non induritevi per i disagi.
Questa pioggia fa di noi il terminale
d’un lungo viaggio attraverso i cieli –
tutti gli strati dell’aria cadono
sul nostro viso, diventiamo lucidi.
Quando accade che ci identifichiamo
con gli alti e bassi della vita –
la pioggia ci ridà il presente.
Ma non impensieritevi: se anche
dissipate energia lamentandovi,
qualcosa la raccoglie, se ne nutre.
Noi siamo doni, offerte – sempre.

“Lo sol sen va”, soggiunse, “e vien la sera;
non v’arrestate, ma studiate il passo,
mentre che l'occidente non si annera”.

domenica 11 ottobre 2015

Consigli per la lettura 2


I giornali andrebbero letti con lo scopo di individuarne le tecniche manipolatorie e quindi sfuggirvi. Come ha detto A.R. Orage (Incontri con Gurdjieff), anche la mente ha uno stomaco e "niente è così degenerante per essa come lasciare che vi scorra un flusso di immagini senza fare alcuno sforzo per digerirle".

È importante essere attivi con i contenuti di un giornale, senza lasciare che essi cadano nelle parti meccaniche dei centri. Aiuta ricostruire il processo creativo di ogni pagina, vedere le soluzioni tecniche, risalire ai problemi di partenza. Si guardi il giornale con il distacco con cui si leggerebbe una rivista di cento anni prima. Accorgersi dei ritocchi fotografici, le frasi a effetto, l'uso dei colori. Nella lettura dei giornali, non sembra esserci scopo più importante, per uno studente di Quarta Via, che riconoscere un tentativo di ipnosi in atto ai nostri danni. Usare le parti intellettuali dei centri è un modo per "digerire" le impressioni, come esortava Orage, e quindi "mangiarle" anziché esserne "mangiati".

Oggi, leggere vuol dire anche stare su Internet. La peculiarità dello strumento può richiedere contromisure particolari, a esempio: avere sempre chiaro lo scopo per cui si sta in Internet; aprire Internet solo a orari prestabiliti; dedicare solo un certo momento della giornata a rispondere alle email; darsi limiti di tempo alla navigazione in Rete. Sono esortazioni pratiche che si ritrovano, non a caso, nei libri motivazionali che "insegnano a diventare ricchi". Se il Sistema è stato usato più di una volta come base per una Business School (Leon MacLaren, fratelli D'Anna), non sorprende che vi siano analogie tra i propri esercizi e i libri degli "scienziati" della ricchezza. Lo scopo del Lavoro, però, non è tanto avere una macchina più efficiente, quanto andare oltre di essa. Altri esercizi davanti al computer non hanno a che vedere tanto con l'uso efficace del proprio tempo, quanto con la pratica della presenza: alzarsi e passeggiare ogni mezz'ora (così come si interrompe la lettura del libro e lo si chiude, ogni tanto), non tenere la mano sul mouse se non lo si usa, circondarsi di belle impressioni (un vaso di fiori sulla scrivania). Se dobbiamo ricordare noi stessi "sempre e dovunque", "tutto e ogni cosa" può fungere da carburante del nostro sforzo.

“Lo sol sen va”, soggiunse, “e vien la sera;
non v’arrestate, ma studiate il passo,
mentre che l'occidente non si annera”.

venerdì 9 ottobre 2015

Consigli per la lettura


Fritz Peters racconta di aver visto molto raramente Gurdjieff con un libro in mano. Secondo Charles Nott, al Prieuré vi era la più bella libreria in cui fosse mai stato, solo che aveva gli scaffali vuoti. Pertanto, non sembra che Gurdjieff leggesse molto, né che consigliasse ai suoi studenti questa attività. Quando però l'argomento cadeva sulla lettura, i suoi consigli erano come sempre originali.

Ecco cosa disse a un incontro parigino durante la guerra: "Tu leggi solo con la tua testa. Devi leggere solo un po': una pagina ogni volta. All'inizio devi cercare di comprendere con la testa, poi sentire, quindi fare l'esperienza. Infine, torna indietro e pensa. Esercitati a leggere con i tuoi tre centri. In ogni libro c'è materiale per arricchirsi. Non importa cosa leggi, non importa quanto leggi. Importa solo la qualità della tua lettura".

Esistono diversi esercizi per cercare di ricordare se stessi mentre si legge, adoperando più di un centro. Nel Lavoro, la precisione dell'esercizio è importante. Si può dividere l'attenzione tra le parole e altre impressioni, anche visive: il bordo della pagina o lo sfondo che vediamo oltre il libro.

Si possono fare piccole pause durante la lettura, anche più di una a pagina; si può arrivare a chiudere il libro a ogni pausa. Se si stanno leggendo dei sutra, dei racconti o comunque dei paragrafi, la pausa può essere alla fine di ognuno di essi: ciò aiuta a spezzare il momento della meccanicità. 

Facilmente la lettura di un libro genera torpore. Per restare svegli, si può stare attenti alla propria posizione: i gomiti leggermente distanziati dal busto, la schiena eretta, una posa non scomposta. Importante è evitare movimento oziosi con le dita, le gambe o altre parti del corpo. 

Per essere presenti durante la lettura, è utile anche che il libro sia ben fatto, ovvero bello come oggetto: carta fine, nastri segnalibro di seta, copertina rigida, bei caratteri ecc. Così erano i libri di un tempo, così sono i libri che ho contribuito a creare in una Scuola di Quarta Via.

Questi sforzi non ci impediranno di capire quanto stiamo leggendo. Nel Sistema, uno stato più elevato non sostituisce, ma si va ad aggiungere a quelli inferiori. Le funzioni ordinarie non vengono cancellate.

Anche se Gurdjieff ha detto che non è tanto importante quello che si legge, l'oggetto della nostra attenzione può aiutare. A esempio, Gurdjieff e Pitagora scrivevano in modo oscuro. I loro scritti sono un esercizio di attenzione e pazienza, il cui scopo sembra quello di estrarre dal lettore uno stato di attenzione superiore al normale. Può essere utile, al fine di raggiungere la necessaria concentrazione, leggerli a voce alta o scandire ogni parola dentro di sé. Pitagora e Gurdjieff hanno scritto nel modo giusto (=oscuramente), perché fanno faticare il lettore, lo costringono a essere più attivo. Solo se fatichiamo, se siamo attivi, le cose diventano nostre.

Tutto questo non è facile. Ma fallire può anche significare che siamo sulla via giusta per noi: quella di cui non siamo esperti. L’esercizio più valido è quello che ci scordiamo sempre di fare.

“Lo sol sen va”, soggiunse, “e vien la sera;
non v’arrestate, ma studiate il passo,
mentre che l'occidente non si annera”.

giovedì 8 ottobre 2015

Le parole dell'identificazione



Louise March ci ha lasciato scritto (The Gurdjieff Years) che secondo Gurdjieff la filologia è una via alla verità migliore della filosofia. In un post precedente, ho scritto che in Europa vi sono diverse traduzioni del "ricordo di sé"; ci si aspetterebbe che sia così anche per il suo opposto, "l'identificazione". E invece no.

"Identificazione" è una parola che si ripete pressoché uguale nelle lingue europee: identifizierung, identification, identifikation, identificación, identificaçao, identyfikacja ecc. L'origine latina è idem-fieri, "diventare il medesimo", con una radice id che significa "esso" ed evoca un processo di reificazione. Anche nei rari casi in cui la radice non è id, come nel tedesco gleichsetzung o il greco tautotèta, le radici gleich e tautò significano "stesso, medesimo". L'equivalente russo, secondo Ouspensky, indicherebbe (Viaggio nella Quarta Via) "la fusione di un piccolo affluente con il corso di un fiume principale. Il ruscelletto scompare come entità separata e diviene parte di qualcos'altro. Lottare contro l'identificazione significa fare uno sforzo per mantenere la sensazione di 'io' in presenza di emozioni, pensieri o situazioni che minaccino di inghiottirci". 

Poiché l'identificazione è fatta di "diecimila io" e il ricordo di sé è uno stato unitario, ci si aspetterebbe una molteplicità di espressioni per la prima e una sola variante per il secondo: invece accade il contrario. Pensandoci un attimo, anche questo può avere un senso: se ricordare se stessi vuol dire che "tutto [è] più intenso", secondo la celebre espressione gurdjieffiana, l'identificazione è l'ottundimento delle percezioni e il ricordo di sé, il risveglio alla ricchezza del presente. 

Omar Khayyam ha detto: "Una cosa sola è certa, tutto il resto è menzogna". Parafrasandolo, diremmo: una cosa sola è menzogna, tutto il resto è certo. L'ego è menzogna, le infinite sfumature del Reale sono certe.

“Lo sol sen va”, soggiunse, “e vien la sera;
non v’arrestate, ma studiate il passo,
mentre che l'occidente non si annera”.

mercoledì 7 ottobre 2015

San Giovanni Boccadoro


Nelle prime sale della Galleria Estense di Modena vi è una tavola del 1430 ca., attribuita al "Secondo Maestro di Carpi". Il soggetto è la "Leggenda di San Giovanni Boccadoro". La storia medievale di questo santo (che non ha nulla in comune con S. Giovanni Crisostomo, a volte indicato con lo stesso nome) ha conosciuto una gradevole trasposizione in versi a Venezia nel 1813. Da questa edizione verranno le nostre citazioni.

Un certo Schirano, dopo una vita peccaminosa, decide di redimersi e si confessa da un frate. Questi gli assegna tre condizioni: non commettere adulterio, non uccidere, non bestemmiare. Schirano giura di ubbidire e si ritira in una cella dentro la foresta. Un giorno, il re del luogo va a caccia nella foresta, portandosi dietro la figlia. Al termine,
La notte era già quasi approssimata,
Il Re con la gente ritornava,
E la sua figlia si dimenticava.
Terrorizzata, la principessa chiede ospitalità all'eremita Schirano. Questi prima acconsente, poi la violenta e l'uccide, facendone sparire il cadavere in un pozzo. Quando arrivano le guardie del re alla ricerca della principessa, egli giura su Dio di non aver visto nessuno da tre anni. Ripartite le guardie, si rende conto di avere commesso tutti e tre i peccati che doveva evitare, e per espiazione comincia a vivere come un animale, a quattro zampe, nutrendosi di erbe e senza più dire parola.


Sette anni dopo, durante un'altra battuta di caccia, il re nota lo strano uomo-animale e lo porta a corte, come una curiosità. Qui, il primo gennaio, la regina dà alla luce un altro figlio, che miracolosamente parla dopo sette giorni. Rivolgendosi all'eremita, gli dice: "I tuoi peccati sono perdonati, torna all'eremo". Schirano allora parla per la prima volta dopo sette anni e chiede carta e penna. Mancando l'inchiostro, intinge la penna nella sua bocca e l'inchiostro che ne esce è d'oro (da qui il nome Boccadoro). Confessa in tal modo l'uccisione della figlia del re.
Inteso ch'ebbe il Re simil novella,
Montò a cavallo con sua Baronia,
E come fu arrivato alla sua cella,
Sentì cantar con dolce melodia.
La principessa è ancora dentro al pozzo, viva, e viene subito ripescata e condotta a Corte, per l'allegrezza di tutto il Reame.


Ouspensky diceva che il linguaggio del centro emozionale superiore è l'allegoria, mentre quello del centro intellettuale superiore è il simbolo. Davanti alla leggenda di S. Giovanni Boccadoro, si ha la sensazione di trovarsi di fronte a una parabola per i nostri centri superiori. Molti sono gli archetipi di questa favola: lo smarrimento nella selva, il protettore che diventa carnefice, il fatto che la principessa può tornare a casa solo tramite il protettore-carnefice, la prova che quest'ultimo deve superare per realizzare quanto richiesto ecc.

A un livello, il Re potrebbe essere Dio, la principessa l'Anima e l'eremita il corpo. L'anima perde Dio nella selva, diventa ospite del corpo che però l'uccide e da quel momento si trasforma in un animale. Quando viene perdonato, grazie al rimorso e al bambino che nasce il primo gennaio, egli torna uomo e non solo recupera la favella, ma le sue parole sono d'oro. Simultaneamente, l'anima comincia a cantare nel pozzo. Corpo e anima risuonano coralmente e a quel punto S. Giovanni Boccadoro è riuscito a realizzare la sua missione di riportare la principessa dal Re, ovvero l'anima a Dio. 

Con linguaggio gurdjieffiano, l'eremita è il lupo (la personalità) e la principessa l'agnello (l'essenza). Anziché proteggere la seconda, la personalità uccide l'essenza e decade allo stato bestiale. Solo il pagamento prolungato e la nascita del bambino (il Buon Pastore, simbolo del maggiordomo) permettono a lupo e agnello di tornare a convivere armoniosamente, scrivendo parole d'oro l'uno e intonando melodie l'altra. 

Interessante e arguta la conclusione del "miracolo versificato": 
Chi mia istoria disia di comprare,
Onde se qualcuno comprar la vuole,
Un soldetto mi dia senza parole.
Al di là del livello letterale della leggenda, c'è un significato più profondo che richiede un pagamento: un "soldetto senza parole" (attenzione e presenza).

“Lo sol sen va”, soggiunse, “e vien la sera;
non v’arrestate, ma studiate il passo,
mentre che l'occidente non si annera”.

martedì 6 ottobre 2015

Colorno


Due secoli fa, quando il Palazzo Ducale di Modena venne adibito a sede della prestigiosa Accademia Militare, dovette sembrare una buona scelta. Alle Reggie limitrofe andò peggio: la Reggia di Sassuolo divenne un salumificio, il Palazzo Farnese di Piacenza una caserma, la Reggia di Colorno un manicomio. Con il tempo, molte di queste situazioni si sono sanate, ma a Colorno c'è voluta la legge Basaglia per levare più di mille malati mentali da parco e palazzo ducali. Queste umiliazioni inflitte dai Savoia ai territori conquistati, nei loro luoghi simbolo, non vengono raccontate a scuola, ma balzano all'occhio non appena si viaggi per l'Italia con occhio distaccato: allora ci si rende conto, una volta di più, che siamo vittime di condizionamenti ipnotici anche in questa epoca di "libertà civili".

Una visita alla Reggia di Colorno - le cui sale, pur essendo l'ombra di ciò che furono, possono tuttora regalare emozioni - è dunque utile per aprire gli occhi sui lati oscuri del Risorgimento, ovvero sulla propaganda politica ricevuta da ogni italiano. 

Un altro motivo per visitare Colorno è conoscere la figura di Ferdinando di Borbone, che verrebbe da definire "borgesiana". Questo duca di Parma (1751-1802) era così pio che a Colorno si fece costruire un appartamento adiacente alla cappella, in modo da poter pregare in quest'ultima giorno e notte. Quando non pregava, si ritirava nella sala più alta del Palazzo, il cosiddetto osservatorio astronomico. Esso è l'ultima e più bizzarra tappa dell'odierno itinerario di visita della Reggia. Sotto alle finestre vi era una scrivania dove il duca studiava, mentre al centro un'asta fuoriusciva dalla volta e riportava la direzione delle correnti aeree su una rosa dei venti incisa al suolo. Questa era la stanza dove il duca si appartava senza che nessuno lo disturbasse. In questo romitorio, che interesse poteva avere a conoscere la direzione dei venti? Quando ho posto la domanda alla guida, mi è stato detto che all'epoca andava di moda studiare i venti. 

Quando a livello della mente le cose sembrano senza senso, si può provare ad applicare il metodo psicologico, che come diceva Ouspensky ha due postulati: 1) le cose hanno un significato interiore; 2) le cose sono connesse. Se a livello dei centri inferiori il cosiddetto osservatorio astronomico di Colorno ha poco senso, a livello dei centri superiori (che usano il linguaggio dei simboli e delle parabole) la situazione cambia. Esso diventa il famoso "luogo tranquillo al nostro interno" in cui possiamo ritirarci, sempre restando consapevoli del mondo esterno (i venti). Questo luogo di attenzione divisa è anche il più alto dell'edificio ed è accessibile solo al padrone di casa. Siamo nella parte più interna di noi, ma non ignoriamo come cambiano le condizioni atmosferiche, che ci influenzano. C'è materia per fare di questo spazio un luogo dell'anima, osservabile e assorbibile dai centri superiori. 

Resta da dire che tutto questo non era visibile cinquant'anni fa, quando l'appartamento di Ferdinando era uno studio medico con le pareti imbiancate. A volte, il deserto che nasconde messaggi di una civiltà perduta è sotto casa nostra.

“Lo sol sen va”, soggiunse, “e vien la sera;
non v’arrestate, ma studiate il passo,
mentre che l'occidente non si annera”.

lunedì 5 ottobre 2015

I lunedì della poesia: Autobus


1
Gli uomini seduti intorno a me,
silenziosi, assorti, stanno pregando:
dicono che l’attimo dell’arrivo
non è più grande di quelli del viaggio,
non c’è nulla da aggiungere al sostegno,
i vetri con le réclame, gli adesivi –
da ovunque si trae completezza,
ogni cosa chiude una collana.
Gli occhi sono schermi ove passa un film:
fermo al centro di un bus te ne accorgi,
se osservi le corse dentro i vetri.
È straordinario muoversi da fermi,
sentire che il mondo ti sta portando,
anzi scorre su di te, e tu partecipi –
pure sei fuori – sei dentro.



2
Queste persone che vanno al lavoro
sono più grandi del letto, la casa
che hanno lasciato, una vita comoda.
Il posto a sedere ha la nostra forma –
possiamo rovesciarci da ogni cosa,
siamo il retro degli oggetti.
Il letto è una bocca che ci mangia,
qua ognuno costruisce il suo destino.
Ma l’autobus è esigente: il grigio,
vetri sporchi, pavimento consunto.
Molto bisogna dare per emergere.
Tutta la mano attenta nel sostegno,
l’immediata nascita della fronte.
Nulla di meno ti è richiesto
per arrivare a destinazione.



3
Vedo un uomo che legge un libro,
una ragazza al telefonino,
giovani con gli auricolari:
per vie diverse stanno affiorando
al presente, forano la cortina.
Ognuno porta con sé la sua vita,
come fosse un omaggio all’altare,
così allargando la porta stretta.
Giungiamo più grandi che alla partenza,
ma ogni momento è stato perfetto.
È sufficiente osservare il respiro
perché ognuno possa affermare:
“Io sono, quindi sono felice”.
Uscendo c’è la fila, ma in realtà
è sempre il turno di tutti.

“Lo sol sen va”, soggiunse, “e vien la sera;
non v’arrestate, ma studiate il passo,
mentre che l'occidente non si annera”.

domenica 4 ottobre 2015

Un luogo sacro: il letto


Un mattino di un paio di anni fa, un amico che mi stava ospitando per qualche giorno mi chiese: "Come stai dormendo, queste notti?". La domanda conteneva una curiosità insolita, da cui si capiva che non era retorica. Dopo che ebbi risposto, mi disse: "Sai, quello era il letto di…" e fece il nome di un noto Maestro spirituale. Evidentemente, lui pensava che il materasso contenesse energie particolari e per questo aveva fatto lo sforzo di portarselo a casa.

Il fatto mi riportò alla mente l’episodio di cui era stato protagonista Edwin Wolfe, nel 1939 (Episodes with Gurdjieff). Recatosi a visitare Gurdjieff nel suo albergo newyorchese, egli aveva commesso la leggerezza di sedersi sul suo letto. "Alzati, alzati subito!", l’aveva redarguito il Maestro. "Questo è un luogo sacro. Voi americani siete tutti dei cafoni. Vedi quella tazza e piattino? L'uomo prima di te vi ha messo cenere e sigaretta. Ma tazza e piattino servono a bere, non sono un posacenere. L'uomo americano è un cafone". "Mi dispiace, signor Gurdjieff", fu la debole difesa di Wolfe. "In questa stanza non vedevo sedie." "Allora portala dall'altra stanza, idiota! Non ti sedere mai sul letto di un altro uomo. Questo, te lo ripeto, è un luogo sacro per me."

Qualcuno ha detto che il letto è il luogo più pericoloso del mondo: nascita, amore e morte, ogni cosa tende a succedervi. Per Gurdjieff, doveva essere anche un luogo di intensa ricarica energetica, visto che dormiva pochissime ore a notte. La sacralità del letto è indirettamente confermata dal figlio Nicolas de Stjernvall: "Era esigente, per non dire pedante, sul modo di rifare il letto: questa era una cosa che mi lasciava perplesso, perché la ritenevo un dettaglio assolutamente secondario".

La teoria del Maestro armeno era che "particelle dell'atmosfera" di una persona si fissano sugli abiti, la  biancheria e gli oggetti che gli appartengono, creando quindi un legame tra lui ed essi (Vedute sul mondo reale). Vero o no, io quei giorni a casa del mio amico dormii benissimo.

“Lo sol sen va”, soggiunse, “e vien la sera;
non v’arrestate, ma studiate il passo,
mentre che l'occidente non si annera”.