Una delle più note metafore gurdjieffiane dell'uomo è quella di carrozza, cocchiere e cavallo: le tre C. La si trova in Frammenti e Vedute sul mondo reale. Secondo questa metafora, il cocchiere è il centro intellettuale, la carrozza il centro motorio e il cavallo il centro emozionale.
Ordinariamente tutto è sottosopra, perché il cocchiere, anziché accudire le varie parti del mezzo di locomozione, passa il tempo a ubriacarsi in taverna. Il primo passo è dunque far tornare il cocchiere vicino alla carrozza, affinché dia da mangiare al cavallo, controlli che l'abitacolo sia in buono stato e risalga a cassetta. A questo punto, e solo a questo punto, dentro la carrozza può apparire il Padrone, il quale comincerà a dare indicazioni al cocchiere su dove andare.
In Frammenti, Gurdjieff dice che il Lavoro deve cominciare dal cocchiere. Lo stato di ubriachezza di quest'ultimo corrisponde all'immaginazione, ai sogni a occhi aperti che non consentono al centro intellettuale né di prendersi cura del resto della macchina umana né tanto meno di guidarla.
Uno degli aspetti più interessanti di questa metafora è il fatto che il cavallo - il centro emozionale - porta avanti tutto. Ovvero, le emozioni sono la forza trainante dell'essere umano. Anche se intellettualmente mi sono persuaso di una cosa, sono le emozioni ciò che determinano cosa farò della mia vita. Se sono più emozionale verso gli sport che verso il Risveglio, dedicherò più attenzione ai primi che al secondo. Per questo, si dice che l'oggetto della contesa tra sé inferiore e sé superiore è la nostra energia emozionale.
Sappiamo dalle testimonianze che Gurdjieff parlava spesso dell'importanza dei collegamenti tra una parte e l'altra di questa carrozza. I cavalli sono collegati alla carrozza dalle stanghe, il cocchiere ai cavalli tramite le redini, l'eventuale Padrone al cocchiere tramite la voce. In particolare, Gurdjieff insisteva sull'importanza delle redini. Cavallo e cocchiere non parlano la stessa lingua: il cocchiere non può rivolgersi al cavallo in italiano, deve usare un linguaggio comprensibile dall'animale.
Quando ci salta la mosca al naso, i ragionamenti intellettuali hanno poca efficacia, semplicemente perché le emozioni non capiscono questo linguaggio. Occorre rivolgersi alla parte emozionale in modo diverso. Consultando la letteratura del Sistema, vediamo che un possibile linguaggio del centro emozionale è quello delle immagini: vedere un uomo calmo e sereno ci provoca immediatamente una sensazione di tranquillità, così come un rilassante paesaggio naturale. Esiste però un altro linguaggio capace di venire compreso dal centro emozionale: quello della consapevolezza. Se, quando ci salta la mosca al naso, anziché argomentare con noi stessi, pratichiamo l'autoricordo ("Io sono", "Io sono", come insegnava Gurdjieff) od osserviamo a esempio il nostro respiro, il centro emozionale inizia a tranquillizzarsi. Forse questo è uno dei metodi "fraudolenti" di cui parlava Gurdjieff in Vedute sul Mondo Reale, laddove ammetteva che bisognava anche saper manipolare e ingannare il cavallo.
Sull'addestramento delle emozioni, un altro spunto interessante contenuto nel Sistema è la metafora dei tre elefanti. Tuttavia, non la si trova connessa alla "carrozza" e pare che risalga esclusivamente a Ouspensky; Maurice Nicoll la cita più volte nei Commentari. Ouspensky, nel suo viaggio in India, vide un elefante imbizzarrito e apprese che l'unico modo di tranquillizzarlo era legargli ai fianchi due elefanti calmi. Egli chiosò: l'elefante imbizzarrito era il centro emozionale, quelli laterali il centro motorio e il centro intellettuale. Morale: non si può lavorare direttamente sul centro emozionale, occorre intervenire sugli altri due centri. Solo quando il corpo e l'intelletto sono calmi, si placano anche le emozioni. Basta che uno dei due "elefanti" sia agitato e le emozioni ne risentono.
Se ci pensiamo un attimo, la metafora dei tre elefanti si accorda con quella della carrozza. Infatti, non appena il cavallo viene legato a quest'ultima, comincia a essere meno libero. Non può più scorrazzare fuori controllo. E tanto più la carrozza è ben tenuta, tanto più frenerà il cavallo. Dunque, un centro motorio in buono stato aiuta a tenere sotto controllo le emozioni.
È importante realizzare che questa metafora non si applica a momenti speciali della nostra vita: la carrozza è sempre in corsa e le redini sono necessarie a ogni ora. Non appena il cocchiere sparisce, il cavallo va per conto proprio: bastano pochi secondi di immaginazione perché le emozioni si facciano confuse.
È importante realizzare che questa metafora non si applica a momenti speciali della nostra vita: la carrozza è sempre in corsa e le redini sono necessarie a ogni ora. Non appena il cocchiere sparisce, il cavallo va per conto proprio: bastano pochi secondi di immaginazione perché le emozioni si facciano confuse.
La metafora della carrozza risale agli anni Dieci dell'insegnamento di Gurdjieff. Verso la fine della sua vita, negli anni Quaranta, egli cominciò a parlare del "taxi". In questo caso, l'abitacolo è il centro motorio, l'autista il centro intellettuale e il motore il centro emozionale. Se tutto è pronto, nel sedile posteriore può salire il passeggero (o il Padrone, o il vero Sé). La metafora così ammodernata regge ancora, ma è meno efficace: il motore non può imbizzarrirsi e andarsene per conto proprio, come un cavallo. Anche per questo, fu meno usata da Gurdjieff.
Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
dell’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso.
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