Chiunque amando insegua le gioie
della forma fuggitiva, volge la mano alle fronde per cogliere frutti, ma
raccoglie solo amarezze.
Questi versi del cardinale Maffeo Barberini si leggono (in latino) sotto la statua berniniana di Apollo e Dafne, alla Galleria Borghese. Benché appartengano a una poesia scritta prima che la statua venisse scolpita, molti pensano che ne siano stati ispirati, e quindi ne rivelino il significato allegorico.
Proviamo però, come è prassi in questo blog, a vedere la statua attraverso gli insegnamenti della Quarta Via.
Chi sta "volgendo la mano" in
questo caso non è un mortale che insegue piaceri terreni, ma
un dio che scende da una ninfa. Dafne non è totalmente umana, ma nemmeno
divina: quando la mano del dio la sfiora, urla di terrore e precipita in uno
stato subumano, trasformandosi in vegetale. Il dio Apollo mantiene invece
un’espressione serena.
Questo è il motivo per cui la
gente nello stato ordinario non può avere coscienza, perché se la coscienza
venisse all’improvviso, essa impazzirebbe. Ouspensky
È detto nel Lavoro che non esistono
garanzie, non si ricevono gradi per la lunghezza del tempo in cui si è rimasti
nel Lavoro: ogni giorno c’è un esame e si può sempre venire bocciati. Dafne,
pur essendo un livello sopra l’uomo ordinario, non si dimostra pronta
all’arrivo del dio.
Una chiave per decifrare l’arte
antica è spesso nelle espressioni dei soggetti: ciò che è superiore mantiene
un’espressione serena (Apollo), ciò che inferiore appare identificato con le
emozioni (Dafne).
Per il Sistema, essere
impreparati alla venuta del divino vuol dire non saper produrre gli "io" giusti in quel momento critico. O, il che è solo apparentemente diverso, non sapersi separare dagli "io" meccanici. Un altro modo di dire ciò è che la persona impreparata non ha fatto i pagamenti
necessari. In questa statua, Dafne reagisce all'epifania del
divino identificandosi con gli "io" istintivi (la paura), e quindi manca l'appuntamento.
Per capire meglio Apollo e Dafne, prendiamo un caso analogo: Calipso e Ulisse.
Quando la divina Calipso offre all'uomo Ulisse l'immortalità nel paradiso di Ogigia, Ulisse rifiuta. Lui ricorda il suo scopo (Itaca) e non si identifica con la situazione del momento. Come Dafne, respinge il dio, ma a differenza della ninfa, non sprofonda in uno stato subumano. Tutta l'Odissea di Ulisse, il coraggio e gli sforzi fatti sino a quel momento, costituiscono il pagamento che gli dà la forza di Lavorare anche in un momento critico, laddove "Lavorare" vuol dire "mantenere il distacco".
Il seguito è noto: i cieli si aprono ed Hermes ingiunge a Calipso di lasciar partire Ulisse verso Itaca. Non solo, ella l'aiuterà a costruire la zattera: perché quando con l'aiuto divino Ulisse supera gli ostacoli sul suo cammino, questi si trasformano negli indispensabili alleati.
La ninfa Dafne, che fino a quel
momento aveva avuto un'esistenza comoda e senza attriti, entra in contatto col
divino senza aver fatto pagamento, e impazzisce.
Più non si va, se pria non morde,
anime sante, il foco: intrate in esso,
ed al cantar di là non siate sorde.
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