mercoledì 5 agosto 2015

A tavola con Gurdjieff


Nella sua biografia di Maurice Nicoll (Maurice Nicoll: A Portrait), Beryl Pogson racconta che un giorno quest'ultimo andò in gita con Gurdjieff sulle Alpi svizzere. A un certo punto del viaggio in macchina, fu improvvisato uno spuntino ai lati della strada: qui Gurdjieff rimproverò Maurice Nicoll perché mentre mangiava "si lasciava distrarre dalla vista meravigliosa", quando invece avrebbe dovuto essere totalmente presente al suo cibo.

Jessmin e Dushka Howarth ci ricordano (Gurdjieff International Review, November 2003) alcuni pensieri di Gurdjieff sul cibo: "L'uomo dovrebbe mangiare non come un animale, ma consapevolmente"; "Se uno sa come mangiare correttamente, sa anche come pregare"; "C'è più di un tipo di cibo alla mia tavola. Il cibo che mangiate, lasciate che resti solo nella memoria; gli altri tipi di 'cibo', portateli con voi".

Che l'atto del mangiare avesse delle implicazioni spirituali, non era una novità. Nel testo più famoso della mistica ortodossa, La Filocalia, leggiamo: "Otto sono le radici dalle quali nascono tutte le altre forme del pensare agitato. Esse sono: 1) la golosità ... (Evagrio il Monaco)"; "Il ventre è il re delle passioni … Quando lo stomaco è pesante la mente rimane annebbiata, e la preghiera non può essere praticata con chiarezza e costanza (Gregorio il Sinaita)". Più in là nel tempo e nello spazio, l'indiana Uddhava Gita dice: "Per il saggo, il senso del gusto è il più difficile da controllare ... Se tutti gli altri sensi sono sotto controllo, ma non il gusto, il saggio non è ancora padrone dei suoi sensi". 

Se uno è padrone di sé a tavola, dunque, è più facile che lo sia anche in altre aree della vita. Per promuovere ciò, esistono degli accorgimenti: a esempio, usare intenzionalità nella preparazione del cibo e della tavola, oppure limitare il chiacchiericcio. Entrambi venivano impiegati da Gurdjieff. Elizabeth Bennett scrive (Idioti a Parigi): "[Gurdjieff] ha detto che l'ancien règle era una buona cosa, e ha aggiunto che al Prieuré nessuno parlava in sala da pranzo. 'Dopo uscire, fumare, parlare: solo, non in sala da pranzo'". Che il momento dei pasti facesse assomigliare la Scuola di Gurdjieff a un monastero, lo conferma Tchesslav Tchechovitch (Tu l'amerai) portando l'esempio dei picnic a Fontainebleau: "Alla fine di ogni piatto le conversazioni riprendevano, ma Gurdjieff riportava il silenzio facendo servire nuovi piatti". Dell'alto livello estetico della tavola gurdjieffiana, ci informa invece sua nipote Luba Gurdjieff (Luba Gurdjieff, memorie e ricette al Prieuré d'Avon): "La tavola della cena era sempre così bella. Argento e piatti bellissimi e sempre tovaglie meravigliosamente pulite. La stanza da pranzo dove lui mangiava era sempre apparecchiata in modo meraviglioso".

Sembra che con gli anni lo stile della tavola gurdjieffiana si sia modificato, ma secondo le testimonianze (Pierre Schaeffer, in L. Pauwels, Monsieur Gurdjieff), alla tavola del Maestro armeno permaneva sempre "l'obbligo di proseguire un lavoro interiore (evidentemente e senza che nessuno lo avesse mai detto esplicitamente)", in modo tale che a quel desco "mangiare diventava un fatto enorme".

Tra le cose che non cambiarono alla tavola di Gurdjieff: ricordare se stessi mentre si mangiava ("When I eat, I self-remember", in Jassmine e Dushka Howarth, cit.) ed evitare di mangiare da soli. "Brava a mangiare con altri", si sentì dire Rina Hands (Il diario di Madame Egout pour Sweet) un giorno, dopo essersi seduta al tavolino di Gurdjieff in un caffè parigino. Questo è uno degli elementi più importanti per cercare di promuovere la Presenza a tavola: condividere l'esperienza con altri. "La presenza di sé senza la presenza degli altri è davvero una zuppa annacquata", si legge nell'Introduzione al succitato libro di Luba Gurdjieff.

Vien dietro a me, e lascia dir le genti: 
sta come torre ferma, che non crolla
già mai la cima per soffiar di venti.

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