mercoledì 11 marzo 2015

Dopo Osho, dopo Gurdjieff


"Se mai un giorno abbandonerete questo Lavoro, sarebbe meglio per voi non averlo mai cominciato, perché ciò che di buono potreste aver costruito tramite di esso potrebbe tramutarsi in qualcosa di sbagliato" Ouspensky

Per molti anni ho rimpianto di non essere nato prima e aver conosciuto personalmente Osho. Poi una sera, sul finire degli anni Novanta, in un pub romano mi imbattei in una persona che aveva vissuto molti anni con Osho: stava alzando il gomito senza ritegno e sembrava un ubriacone triste e malinconico. Eppure  era uno di quegli uomini che invidiavo: nei video di dieci anni prima appariva in estasi ai piedi del Maestro. Com’era possibile che ora sembrasse uno sbandato qualsiasi?

Qualche anno dopo, il medico di Osho disse a me e un’amica che eravamo stati fortunati ad arrivare a Pune (dove è l'ashram di Osho) dopo che il Maestro aveva lasciato il corpo: loro, la generazione di quelli che l'avevano conosciuto, erano caduti in fascinazione davanti alla sua bellezza, dimenticando di fare il lavoro necessario per reggersi sulle proprie gambe. In altre parole, finché Osho era stato in vita, quei discepoli erano “vissuti di rendita” sulla sua energia. Scomparso lui, dopo pochi anni cominciarono a manifestarsi sbandamenti simili a quello cui avevo assistito nel pub. Questo non riguardava tutti, ma il rischio c'era.

Non mi sono quindi stupito troppo quando ho visto che nel mondo di Gurdjieff era avvenuto qualcosa di simile. Leggiamo (da Gurdjieff e le donne della Cordata di William Patrick Patterson) cosa scriveva Janet Flanner - una studentessa a cui dobbiamo ottime descrizioni dell’insegnamento di Gurdjieff - quando il Maestro non c'era più: “La tristezza di cui soffro è così profonda che il fatto di essere in vita mi è praticamente insopportabile”. “Non ci sarà più nessun cambiamento … Sarò per sempre sveglia, con lo sguardo fisso, scioccata, in lacrime. Non solo non ho più fede nel futuro, ma ormai il passato mi ha raggiunto e con esso il fatto che non posso più sfuggirgli.”

Ecco invece Margaret Anderson (autrice de L’inconoscibile Gurdjieff) nel 1967: “La mia vita è stata così meravigliosa che preferisco porvi fine anziché vivere in modo mediocre. Oggi la mia esistenza non serve a niente, nessuno ha bisogno della mia devozione. La mia morte in questo frangente è a propos”. “Gurdjieff – un vero miracolo – ci ha suggerito che si può vivere al di fuori dell’umana follia e impotenza. Cos’è avvenuto di quel miracolo? Si è trasformato in un ricordo.”

Fritz Peters ha scritto su Gurdjieff due apprezzati libri. La sua vita successivamente alla morte del Maestro fu piena di rabbia, gelosia, malattie di nervi e alcolismo. Era anche il nipote di Margaret Anderson, con la quale non andava d’accordo e a cui scriveva lettere astiose.

Solita Solano fu segretaria di Gurdjieff e i suoi appunti costituiscono una miniera di spunti per gli studenti di Quarta Via. Prima di morire, nel 1975, cominciò a bere smodatamente e secondo Margaret Anderson "era resa quasi folle dai suoi nervi"; ogni sera il suo chiacchiericcio era "isterico".

Kathryn Hulme, che ha raccontato le sue esperienze con Gurdjieff in un'autobiografia, morì nel 1981, non senza aver prima scritto: “La mia vita è tetra da quando ogni comunicazione con le amiche Solita, Margaret e Janet si è interrotta. Gurdjieff ci aveva avvertito: «Provo pietà per voi. Quando non potrete più sedere alla mia tavola, soffrirete tantissimo…»”.

C’è un filo conduttore nelle ultime deprimenti confessioni di queste persone. Nessuna menziona mai il ricordo di sé, la necessità di fare sforzi per dividere l’attenzione sempre e dovunque. Esistevano gruppi di persone che cercavano di portare avanti il Lavoro di Gurdjieff, ma come aveva scritto Kathryn Hulme, “Com’era possibile affiliarsi a uno di quei gruppi dopo aver bevuto alla Sorgente?”.

Purtroppo il Lavoro non procede per inerzia. Se in passato si è avuto accesso a stati elevati di coscienza, questo non garantisce che lo stesso avverrà in futuro, soprattutto se non si fanno sforzi. Come ha detto uno di coloro che, per ragioni cronologiche, hanno dovuto Lavorare lontano da Gurdjieff: “Chiunque può perdere il Lavoro, basta smettere di fare sforzi”.

O voi che avete l'intelletti sani,
mirate la dottrina che s'asconde
sotto 'l velame de li versi strani.

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