giovedì 31 dicembre 2015

Congedo


La "sua gente" era venuta a dire addio al Maestro che aveva insegnato loro a dire "Io sono". Kathryn Hulme, sul funerale di Gurdjieff

Questo blog è stato dedicato ai due Maestri che mi hanno insegnato a dire "io sono"; che mi hanno mostrato come l'io sono possa essere sempre, ma ogni volta in modo diverso: una cosa è l'io sono da soli, un'altra in compagnia; da un lato c'è il suo sapore quando si è attivi, dall'altro quando si è inattivi. L'io sono è sempre nuovo e, sin dal primo momento, antico. L'io sono è il ricordo di sé: "Tutto più intenso". Lo si paga con azioni apparentemente non pertinenti, perfettamente disinteressate e altruiste: la terza linea di Lavoro. La vita deve alimentare l'io sono, affinché quest'ultimo nutra la vita. La vita, anche quando sembra cieca e senza respiro, può essere trasformata sino a diventare "io sono". I due Maestri che compongono l'indirizzo di questo blog mi hanno insegnato che ogni situazione può essere una declinazione dell'io sono, del BE, del verbo essere.

Il Lavoro deve sostenere la vita, affinché la vita possa sostenere il Lavoro. Jane Heap

Sul nostro stesso respiro camminiamo come su una corda tesa. Quando perdiamo la stabilità, riacciuffiamolo al più presto: è uno dei pochi fili d'Arianna di cui disponiamo.

Giunto in Occidente, Gurdjieff fondò il suo Istituto al Prieuré di Fontainebleau. Quest'estate, al Priorato di Fontanellato, non lontano da dove mi ero appena trasferito, è stato aperto "il più grande labirinto del mondo". Il suo centro coincide con l'uscita: una piramide di mattoni. Di fronte a un labirinto ("Un'architettura concepita affinché l'uomo si perda", disse Borges) l'unica domanda sensata è: come se ne esce? Lo scopo di questo blog è stato cercare di dare più forza all'unica via di fuga che io conosca.

Una sola cosa è certa, tutto il resto è menzogna. Omar Khayyam

«Quel dolce pome che per tanti rami
cercando va la cura de’ mortali,
oggi porrà in pace le tue fami.»

Virgilio inverso me queste cotali 
parole usò; e mai non furo strenne 
che fosser di piacere a queste iguali.

Tanto voler sopra voler mi venne 
de l’esser sù, ch’ad ogne passo poi 
al volo mi sentia crescer le penne.

Come la scala tutta sotto noi 
fu corsa e fummo in su ‘l grado superno, 
in me ficcò Virgilio li occhi suoi,

e disse: «Il temporal foco e l’etterno 
veduto hai, figlio; e se’ venuto in parte 
dov’io per me più oltre non discerno.

Tratto t’ho qui con ingegno e con arte; 
lo tuo piacere omai prendi per duce; 
fuor se’ de l’erte vie, fuor se’ de l’arte.

Vedi lo sol che ’n fronte ti riluce; 
vedi l’erbette, i fiori e li arbuscelli 
che qui la terra sol da sé produce.

Mentre che vegnan lieti li occhi belli
che, lagrimando, a te venir mi fenno,
seder ti puoi e puoi andar tra elli.

Non aspettar mio dir più né mio cenno; 
libero, dritto e sano è tuo arbitrio, 
e fallo fora non fare a suo senno: 

per ch’io te sovra te corono e mitrio».

domenica 27 dicembre 2015

Viaggio


Il 31 si torna, per l'ultimo articolo del blog.

Tratto t'ho qui con ingegno e con arte;
lo tuo piacere omai prendi per duce;
fuor se' de l'erte vie, fuor se' de l'arte.


venerdì 25 dicembre 2015

Il "Quarto Yoga" di Orage - II


Estratti dagli scritti degli allievi di Orage.

Oltre ai nostri centri intellettuale, emozionale e fisico, c’è un quarto centro chiamato “io”. Ma lì non riceveremo mai passivamente un’impressione, perché le uniche impressioni accessibili a questo centro vanno prese attivamente. Nemmeno Dio e tutti i suoi angeli possono mettervi un’impressione. Qualcuno deve dirigere la nostra attenzione sull'esistenza del Quarto Centro - nel nostro caso, Gurdjieff - ma solo “io” posso riempirlo (da L. Welch).

Domanda: Cosa ci dice del centro catalitico?
Risposta: Esso è il quarto centro. Esiste un “io”, un quarto centro, un’anima potenziale. Se potessimo dire “Ho un corpo” con la stessa facilità con cui diciamo “Ho un’automobile”, potremmo cominciare a capire che questo corpo è un nostro possesso. “Questo corpo è un apparecchio di trasformazione; così come ho un'automobile o un frigorifero, ho una macchina da usare”. Questo non vuole dire “Io sono una macchina” (da Blanche Grant).

Orage sembra non adoperare mai l’espressione di Ouspensky “ricordo di sé”: piuttosto, usa “consapevolezza”. Il quarto centro è la consapevolezza, e la consapevolezza è qualcosa di molto preciso (da Blanche Grant ).

Il seguente passo ricorda, con qualche variante, la metafora dei “tre elefanti” di Nicoll: Nulla comincia mai nel cervello viscerale [centro emozionale], tutto comincia nel cerebrale [centro intellettuale] o nello spinale [centro istintivo-motorio]. Gli esercizi muscolari, il massaggio, producono stati emozionali. Questo metodo è impiegato dagli psicoanalisti. Essi manipolano i muscoli e rilasciano tensioni che causano certi stati emozionali ... Uno stato emozionale può essere provocato in modo fisiologico. Anche il cervello cerebrale [centro intellettuale] può controllare le emozioni. Ciò viene effettuato cambiando immagini. Il nostro cervello emozionale è cieco;  risponde solo alle immagini, da un lato, e alla pressione, dall’altro. Diciamo che il secondo cervello [emozionale] non è parte degli altri due, ma è la forza neutralizzante tra loro. Quando gli altri due sono in perfetto equilibrio, non ci sono emozioni (da Blanche Grant).

Sono possibili 347 emozioni (7 volte 49). In generale, una persona fa esperienza di 27 di esse. La nostra speranza è sperimentare ogni genere di emozione (da Blanche Grant).

Orage non parla di Sistema o Lavoro, ma di Metodo: Lo scopo di questo Metodo è sviluppare i tre centri. Noi non diciamo, con Freud, che questi centri sono stati sublimati quando raggiungiamo il nostro second wind. Non è necessario pervenire al second wind esaurendo il first wind. Non parliamo di superuomini. Dunque non diciamo “centro intellettuale superiore”, “centro emozionale superiore” o “centro istintivo superiore”, perché verrebbe da pensare che questi tre centri sono stati sublimati. Piuttosto, parliamo di Volontà, Consapevolezza e Individualità (da Blanche Grant)

Noi prescriviamo un certo Metodo … Questo Metodo consiste nel tentativo di essere simultaneamente e continuativamente consapevoli dei movimenti, del tono di voce, della posizione, delle espressioni facciali e dei gesti. Questa tecnica genererà nel più breve tempo possibile quello stato che renderà possibile la prosecuzione dell’esplorazione (da Blanche Grant).

Nè Orage sembra parlare di Quarta Via, ma di “Quarto Yoga”: Le scuole antiche miravano a sviluppare uno o tre di questi super-stati. 
Hatti-Yoga sviluppava il centro istintivo
Bakhti Yoga sviluppava il centro emozionale
Gniani Yoga sviluppava il centro intellettuale. 
... Esiste un quarto Yoga, lo scopo del quale è produrre simultaneamente e armoniosamente l’effetto degli altri tre Yoga. La sua tecnica è questo Metodo. Non può esserci una scuola, in questo Metodo (da Blanche Grant)

Il primo esercizio nelle suole di Bakhti Yoga è manifestare l’opposto di ciò che senti. Se senti un’emozione piacevole, ne mostri una spiacevole, e viceversa. Contraddici la tua inclinazione. Fanne la prova, come un esercizio (da Blanche Grant)

Qualcosa che Orage aveva in comune con Ouspensky: il disinteresse per la psicoanalisi. La psicoanalisi, secondo me, è una forma di Voodoo con riti osceni (da Blanche Grant).

È stato detto di questo Metodo: “Non è: ‘Vieni e vedi’, ma ‘Vai e fai’” … Le emozioni passeggere sono emozioni inferiori; le emozioni durature, emozioni superiori (da Blanche Grant)

Il primo shock è l’autosservazione. Il secondo, la contemplazione dello scopo dell’universo o dell’esistenza. L’autosservazione è cercare di essere consapevoli di tutti i nostri fenomeni con non-identificazione. L’osservazione che non porta con sé l’idea che ogni nostro comportamento è il comportamento di esso (l’organismo), ci legherà ancora più strettamente a esso. Continua a dire esso, esso, esso, esso. Io non sono esso. Io non sono Orage. Io osserverò il comportamento di esso (da Sherman Manchester).

L’intervallo tra mi e sol richiede un aiuto o shock esterno, mentre tra il si e il do lo shock richiesto può essere fornito da noi stessi, dal nostro interno (da Sherman Manchester).

Tutte le droghe tendono a espellere le correnti magnetiche. Gurdjieff ha detto che a nessuno dovrebbe essere consentito cominciare a lavorare in questi gruppi che hanno fatto uso di droghe. Essi diventano apparentemente folli. Nella risistemazione delle correnti magnetiche, finiscono fuori equilibrio (da Sherman Manchester).

Nessuno ha il diritto di consigliare niente a chicchessia, se non è in grado di seguire egli stesso quel consiglio, o qualcosa di più difficile (da Sherman Manchester).

Siamo come bambini cui vengono dati milioni di dollari, e non sappiamo cosa farci (da Sherman Manchester).

Conoscere è positivo, fare è negativo, essere è neutralizzante. Senza il conoscere e il fare, l’essere non esiste (da Sherman Manchester).

Il vero uomo è colui che sa perché vive. Se dici alla pecora: “Tu vivi per dare carne e lana”, essa risponderebbe “Non capisco”. Allo stesso modo, quando Belzebù dice: “Sei cibo per la luna e il sole”, tu rispondi “Non capisco” (da Sherman Manchester).

Il teatro moderno esiste per due ragioni: il piacere e la propaganda (Shaw). Esso non è mai usato come un “mistero”, perché non c’è un pubblico per tale uso. Gurdjieff sostiene che ogni attore, oggi, recita dall’esterno e non dall’interno. Egli dice che lo spettatore non viene mai sfidato da nessuna manifestazione inattesa di un attore. Oggi il teatro non è un’esperienza, ma una ri-esperienza. Gurdjieff la chiama titillazione, perché nei centri non arriva alcun nuovo influsso, ma solo associazione. Procrea, ma non crea. Induce, ma non produce stati … Il Mistero differiva dalla recita ordinaria perché introduceva dei semitoni nell’ottava comune. Un poliziotto, a esempio, di tanto di tanto manifestava la sua capacità di regolare la propria condotta introducendo azioni determinate dalla sua anima e non dal ruolo o dall’imitazione. L’intento era indurre nello spettatore l’aspettativa del normale: a quel punto, l’attore passava dalla recita del ruolo alla rappresentazione propria di un essere conscio. Questo richiedeva un elevato livello di ricettività nello spettatore (da Sherman Manchester).

Queste poche citazioni non rendono giustizia delle centinaia di pagine da cui sono tratte. Si spera però di aver suscitato l’interesse di approfondire.


Tratto t'ho qui con ingegno e con arte;
lo tuo piacer omai prendi per duce;
fuor se' dell'erte vie, fuor se' dell'arte.

giovedì 24 dicembre 2015

Il "Quarto Yoga" di Orage - I


Alfred Richard Orage conobbe Gurdjieff nel febbraio '22 e pochi mesi dopo lasciò tutto per andare a vivere con lui nel Prieuré. Nel dicembre '23 Gurdjieff lo mandò in America (al posto di Maurice Nicoll, che si era rifiutato) per introdurvi l'Insegnamento. Qua egli rimase fino al 1930, come primo insegnante di Quarta Via in America. Tornato a Londra, vi morì prematuramente nel novembre '34. Secondo la sua studentessa L. Welch, per tutta la vita Orage non aveva quasi mai accettato di farsi visitare da un medico; a causa di un malore il giorno prima di morire, avrebbe promesso alla moglie di recarsi da un medico l'indomani, ma morì nella notte. La Welch scrive di essere stata presente quando la notizia raggiunse Gurdjieff: del tutto inaspettatamente, questi cominciò a piangere, dicendo "Quest'uomo... mio fratello".

Alcuni  aspetti della vita di Orage ricordano Ouspensky. Entrambi frequentarono assiduamente Gurdjieff per circa due anni e saltuariamente nei cinque anni successivi, entrambi erano intellettuali famosi, entrambi insegnarono la Quarta Via in terre remote a persone che non avevano mai udito idee simili ed entrambi vennero sconfessati da Gurdjieff (almeno inizialmente).

Una differenza tra i due è che l'insegnamento di Ouspensky è noto in tutto il mondo, mentre quello di Orage è rimasto in forma di appunti dattiloscritti degli allievi. The Oragean Version di C. Daly King è il compendio più noto. Altri appunti sono quelli degli allievi Sherman Manchester e Blanche B. Grant. Leggendoli (e decifrandoli, vista la scarsa intelligibilità di diversi punti), si resta colpiti da alcune differenze con l'insegnamento di Ouspensky. A cosa si devono tali differenze? Quando Ouspensky entrò in contatto con gli allievi di Orage, otto anni dopo la morte di quest'ultimo, disse semplicemente che Orage aveva ricordi imprecisi del Sistema. Un'altra possibilità è che i due, avendo frequentato Gurdjieff in anni diversi, avessero sentito versioni diverse dello stesso Insegnamento (ma la "versione di Orage" non compare negli insegnamenti di Nicoll, che fu al Prieuré insieme a Orage). In una lettera scritta poco prima di morire, Orage espresse l'intento di parlare di Gurdjieff "senza usare una sola parola spirituale o filosofica, ma facendo ricorso unicamente al vocabolario dell'uomo della strada": forse, alcune alterazioni si devono a questo proposito (ovvero all'inevitabile affiorare della personalità di Orage). Infine, non si può escludere che gli allievi di Orage non abbiano riportato fedelmente le sue lezioni.

Senza la pretesa di offrire alcuna risposta, nel prossimo post riporteremo alcuni passi dagli appunti degli allievi di Orage, con pochi o nessun commento.


Tratto t'ho qui con ingegno e con arte;

lo tuo piacere omai prendi per duce;
fuor se' de l'erte vie, fuor se' de l'arte.

mercoledì 23 dicembre 2015

La mia Africa


Emozione più distacco: nell'unione tra questi due elementi apparentemente contraddittori sta parte del fascino del romanzo La mia Africa di Karen Blixen. L'emozione è quella dell'Africa, della sua natura straripante; il distacco è il fatto che essa appartiene al passato dell'autrice. L'emozione è l'uso della prima persona singolare; il distacco, la declinazione al tempo passato dell'intero romanzo.

Emozione più distacco vuol dire emozione superiore: da qui, il magnetismo del libro. Tutti i libri scritti al passato e in prima persona generano un'emozione superiore? No. Ne La mia Africa c'è anzitutto la natura - onnipresente, forte, grande - che solleva l'uomo sopra se stesso. La prima e l'ultima frase del libro sono dedicate all'altopiano del Ndong (la natura, l'emozione), sempre visto in lontananza (il distacco).

Anche raccontare le vite e le storie di esseri umani molto diversi – gli indigeni – permette l’emozione distaccata: “Il cordone ombelicale della natura, per loro, non è stato mai reciso”. Il paesaggio è uno specchio dell’uomo, ne esemplifica gli stati interiori. La Blixen sceglie sempre quegli elementi naturali che hanno una valenza simbolica. A esempio, l’episodio del vecchio Knudsen: pioggia e lampi alla sua morte, il bosco che ricorda la Danimarca quando l’anziano vagabondo trova una seconda giovinezza nell’industria del carbone ecc. Le metafore esplicite sono poche (capitolo cinque: esplicita analogia tra animali e varie tribù indigeni), gli inserti poetici ancora meno: il romanzo è descrittivo, sta al lettore cogliere i nessi.

Nella Mia Africa c'è poi la sua autrice, la contessa Blixen, colei che diede a Solita Solano la sensazione “Talvolta … di trovarsi con Gurdjieff … Non presentava il minimo difetto nel comportamento o nel suo senso dell’osservazione. Avevo sempre saputo che non era femmina, ma fatta di roccia e di fuoco, come un vulcano; e lei sapeva che io lo sapevo… Sentivo spesso di trovarmi alla presenza di un gigante al confronto con il quale l’umanità sembrava molto piccola”. La forza dell’individualità di Isak Dinesen (aka Karen Blixen) e della sua scrittura era forse questo: essere allo stesso tempo emozionata e distaccata.

Tratto t'ho qui con ingegno e con arte;
lo tuo piacere omai prendi per duce;
fuor se' de l'erte vie, fuor se' de l'arte.

martedì 22 dicembre 2015

Fiat Lux


Se ci pensiamo, le chiese di Roma sono luoghi strani. Le pareti appaiono interamente dipinte con fatti sacri avvenuti in altri tempi e luoghi. Nulla di sacro sembra essere nel qui e ora: queste chiese sono i templi dell’Altrove. Non c’è metro quadro che non rimandi ad altro da sé. Se non si raffigurano eventi biblici o santi del passato, le decorazioni simulano comunque altre realtà: piante, animali, ornamenti classici. Il nudo muro è da evitare, nelle chiese antiche di Roma (quando si vede una parete di mattoni, è probabilmente un restauro otto-novecentesco). Lo stesso momento centrale del rito – l’eucaristia – implica l’immaginazione: la cialda non è più pane azzimo, ma il corpo di Cristo.

Un esempio eclatante di questa mentalità si è avuto con l’apertura dell’anno santo 2015, l’otto dicembre. Lo spettacolo Fiat Lux ha proiettato sulla facciata di San Pietro tutto l’immaginario contemporaneo della Chiesa cattolica: dalle specie animali a rischio di estinzione ai paesaggi naturali, passando per i poveri, le tribù e le razze di tutto il mondo. In questo caso, una facciata che sin dall’origine era un supporto per raccontare storie (le statue del Redentore e i dodici apostoli; i bassorilievi evangelici; l’ordine corinzio colossale che simula un tempio antico, a sua volta emulazione – pare – di una capanna) diventa schermo per un ulteriore storytelling, più aggiornato.

Anche se è possibile vivere questi apparati come mero intrattenimento, e probabilmente molte persone così hanno vissuto la sera dell'otto dicembre, c'è dell'altro. L’immaginazione, quando è intenzionale e non involontaria, può avere un posto in un cammino spirituale, compresa la Quarta Via. Lo scrittore gesuita Marko Ivan Rupnik ha scritto che il cristiano impara ad assaporare il cibo grazie all’eucarestia: immaginare di avere in bocca il corpo del Maestro può renderlo così presente al cibo che questa attenzione si estende a tutti i pasti. Una volta Ouspensky disse che immaginare di essere già consci poteva aiutarci a diventarlo. L'esercizio contemplativo dato da Gurdjieff a George Adie e divulgato da Joseph Azize, detto dei Quattro Ideali o dei Quattro Profeti, richiede proprio di pensare a quattro figure di "santi" planetari (Maometto, Buddha, "Lama" e Gesù). In modo simile, la meditazione su fatti, persone e luoghi lontani nel tempo e nello spazio poteva e può aiutare il cattolico dentro una chiesa.

Tratto t'ho qui con ingegno e con arte;
lo tuo piacere omai prendi per duce;
fuor se' de l'erte vie, fuor se' de l'arte.

lunedì 21 dicembre 2015

I lunedì della poesia - Santo Stefano Rotondo


"Pavimento instabile - Tenere per mano i bambini"
Non so voi
      ma io un bambino 
lo tengo sempre per mano
Mi guida tra i monumenti
Prende corpo dal mio respiro
             Nasce tra le gambe 
             mentre cammino

Accanto a lui
Gli oggetti non mi derubano
Guardare non mi impoverisce
   Gli occhi si muovono come mossi da fili
Un padrone li tiene
Lo sguardo
non è qualcosa di me
che perdo nell'altro
ma una corda che lancio all'esterno
tenuta saldamente per un capo
      (Prima la gettavo fuori tutta
          Vivevo fuori di me
Inconcludente    inconsistente    sterile
     Tornare indietro era impossibile)

Con lui posso chiudere gli occhi
Tirare le reti arriva 
      oppure
lasciare che qualcuno giochi con l'altro capo

Tornato a casa
il bambino mi manca
       Finiti i palazzi
       è rimasto là

(2003)

Tratto t'ho qui con ingegno e con arte;
lo tuo piacere omai prendi per duce;
fuor se' de l'erte vie, fuor se' de l'arte.

domenica 20 dicembre 2015

L'incontro Gurdjieff/Orage


Sherman Manchester fu uno studente di Alfred Richard Orage a New York. A lui si devono pagine e pagine di appunti sugli insegnamenti di Quarta Via che Orage impartì in America, a partire dal 1924.

Uno di questi appunti ha qualità letteraria e racconta, in modo mitico, il primo incontro Gurdjieff/Orage. Esso è datato 1/1/24: una data simbolica, in quanto la prima presentazione del Sistema in America sarebbe avvenuta solo il giorno successivo (Orage era arrivato a New York il 13/12/23, dopo circa due anni di studi con Gurdjieff al Prieurè).

Nel racconto compaiono solo due nomi propri: “Orath” e “Sherman Grath”. Il dattiloscritto è pieno di errori e correzioni. Sulla prima pagina, in alto, qualcuno ha aggiunto a penna e tra parentesi il nome “Orage”.

Il personaggio “Orath” è seduto davanti a un camino e racconta all’io narrante come iniziò la sua avventura spirituale. Circa otto anni prima (in realtà Orage aveva incontrato Gurdjieff solo nel febbraio 1922), a un party, egli aveva udito delle strane musiche suonate al pianoforte da una ragazza vestita d'arancione: tali musiche venivano da lontani monasteri asiatici. Turbato da queste musiche, egli uscì dalla festa e salì su una collina. Giunto in cima, racconta di essersi addormentato e di aver visto in sogno l’autore di quelle musiche, un uomo orientale, con turbante, mustacchi neri e occhi vivissimi (la descrizione lascia pensare a Gurdjieff, anche se il nome non viene fatto). L'orientale comincia subito a dire: “Prima viene il Sole. Poi la terra, i pianeti, la luna, l’infra-luna, il genere umano, gli animali, i vertebrati, gli invertebrati, le piante, i minerali, il metallo”. È la prima, singolare esposizione di un’idea del Sistema. Ne seguiranno altre: tutte ricordano la Quarta Via che conosciamo, ma con lievi alterazioni. Ogni volta, il disincantato Orath risponde con frasi di circostanza e sorrisi educati, finché l’orientale non ribatte: “‘Come sei sempre gentile’, mi disse, guardandomi obliquamente. ‘A parte i casi in cui non ci si capisce, la gentilezza non sarebbe mai necessaria. Se io comprendo un mio amico, la gentilezza sarebbe inutile. Se però non ci capiamo, dobbiamo essere gentili l’uno con l’altro, oppure litigare. E poiché a poche persone piace litigare, e pochi sono davvero amici, tutti devono essere gentili con i propri vicini. Dunque, il grado di gentilezza che occorre adoperare dipende sempre dal livello di incomprensione reciproca. Noi siamo massimamente gentili con le donne’”.

Finora, “Orath” aveva detto che l’orientale sembrava il sole e i suoi occhi erano sempre scintillanti, ma non prendeva sul serio le sue parole. Ora comincia a mostrare un interesse crescente per quelle idee mai udite prima.

L’esposizione del Sistema prosegue: è quello che abbiamo conosciuto tramite Ouspensky, ma non sempre. A esempio, i centri superiori dell’uomo non sono due, ma tre: l’emozionale superiore, l’intellettuale superiore e l’istintivo superiore. Alla pagina 20, si trova un passaggio che avrebbe interessato Antonio Bertoli, ex studente di Quarta Via da poco scomparso: “Poiché siamo quasi sempre degli automi, e poiché ognuno eredita la sua struttura fisica, si può dire che i peccati del padre o della madre possono ricadere sui figli e le figlie anche fino alla terza o quarta generazione. Dopo, si dissolvono”. Sono parole che ricordano molto da vicino uno dei concetti chiave della psicobiogenealogia di Bertoli.

Quando ha finito di raccontare il proprio sogno, l’io narrante chiede a Orath: “Da allora ha più incontrato quell’uomo?”.
“Oh, certo.”
“In sogno?”, chiesi.
“In un sogno ricorrente”, rispose. “La vita.”

Uno degli elementi più interessanti di questo dattiloscritto sono le variazioni rispetto all’Insegnamento diffuso in tutto il mondo dai libri di Ouspensky. Chi è l’autore delle parole messe in bocca all’orientale “solare”: Manchester, Orage o Gurdjieff stesso? Difficile dirlo, ma prossimamente cercheremo di tornare sull’argomento.

Tratto t'ho qui con ingegno e con arte;
lo tuo piacere omai prendi per duce;
fuor se' de l'erte vie, fuor se' de l'arte.


venerdì 11 dicembre 2015

Undici dicembre


Visse relativamente poco, cinquantanove anni, ma molto intensamente. E oggi ne avrebbe fatti ottantaquattro.

Questo link resterà pubblico solo oggi.

Io sono in ripartenza, e tornerò a scrivere la settimana prossima.

Tratto t'ho qui con ingegno e con arte;
lo tuo piacere omai prendi per duce;
fuor se' de l'erte vie, fuor se' de l'arte.

domenica 6 dicembre 2015

In viaggio


Il prossimo articolo, venerdì 11.

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fuor se' de l'erte vie, fuor se' de l'arte.


venerdì 4 dicembre 2015

Un monito sui moniti


Non mi hanno mai convinto quelle parti di un insegnamento spirituale che esprimono negatività verso un altro cammino. Questo vale anche per Osho e la Quarta Via. L’ho scritto in passato su William Patterson e lo ripeto oggi per Solange Claustres. Leggiamo cosa scrive quest'ultima nella sua introduzione a G.I. Gurdjieff e la presa di coscienza:

Nessuna delle persone a capo delle tante organizzazioni che sono sorte nel nome di G.I.Gurdjieff è stata istruita da lui o da Madame de Salzmann. 
Alcuni sono stati discepoli di discepoli, di provenienza diversa, privi di un'esperienza approfondita di questo insegnamento. 
Altri, conoscendo un discepolo, le idee, i libri di o su Gurdjieff, hanno dato vita a gruppi a lui dedicati, senza aver mai avuto pratica del suo lavoro. 
Vengono così deformati alcuni aspetti delle idee come dei movimenti. 

Chiaramente, in questo passaggio Madame de Salzmann viene ritenuta titolata a condurre un'organizzazione nel nome di Gurdjieff e a indicare chi altro può farlo. Eppure, ella introdusse nell’Insegnamento di Gurdjieff lo zazen, ovvero la pratica della meditazione seduta. Gurdjieff non parlò mai di quest'ultima. Tale introduzione rappresenta dunque una “deformazione”, peraltro macroscopica, del Lavoro originario. C’è chi dice che la De Salzmann imparò la pratica della meditazione da William Segal, studente di Quarta Via e monaco zen. Comunque siano andate le cose, non la imparò da Gurdjieff. Nel libro uscito qualche anno fa in America, Martin Benson speaks, lo studente di Gurdjieff Martin Benson sostiene che il Lavoro abbia con tale introduzione smarrito la sua natura. Poiché ciò avvenne negli anni Sessanta, lo stesso periodo in cui Francis Roles portava gli "orfani" di Ouspensky verso l’India, Benson sostenne provocatoriamente che la Gurdjieff Foundation si era trasformata nel gruppo americano degli studenti di Ouspensky.

Personalmente, tuttavia, non rimprovero ciò a Madame de Salzmann, anche se continuò sino alla fine dei suoi giorni a insegnare in nome di Gurdjieff. Quest’ultimo, infatti, era il primo a “deformare” il suo insegnamento in base a chi si trovava di fronte. Quello che disse a San Pietroburgo nel 1915 era diverso da ciò che disse a New York nel 1930 o a Parigi nel 1945. 

L’introduzione della Claustres termina così:

Altri infine, negli Stati Uniti e in altri paesi, usando la denominazione di "Insegnamento di Gurdjieff", hanno costituito dei gruppi che si sono rivelati una sorta di setta, un'aberrazione, totalmente contraria al suo vero insegnamento.

Si può ricordare, a questo proposito, che diverse persone hanno detto la stessa cosa di Gurdjieff e la sua Scuola. Tra i primi, René Guenon e D.H. Lawrence; tra i più recenti, Lois Palken Rudnick, Anthony Storr e Frank Kermode (Taylor, Shadows in Heaven). Certo Gurdjieff non faceva molto per impedire questa cattiva fama: tra le regole del Prieurè, dove era signore assoluto, c’erano il controllo della posta in entrata e in uscita, e il divieto di uscire dalla proprietà senza il suo permesso (Nott, Teachings). Difficilmente oggi si troverebbe qualcosa di più “settario”, se non entrando in un monastero. Per Gurdjieff, la differenza tra una religione e una setta era soltanto nel numero di cannoni e navi posseduti, come scrisse in Belzebù: dunque, a certe critiche non dava peso.

Anche noi, cerchiamo di non dare peso alla negatività di un Lawrence o una Claustres, se non per riconoscerle parte di quella forza contraria che sorge inevitabilmente quando si Lavora.

Tratto t'ho qui con ingegno e con arte;
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giovedì 3 dicembre 2015

La poetica di Alfred R. Orage


Oggi, Alfred Richard Orage è ricordato come uno dei principali studenti di Gurdjieff. Una volta, era famoso per le sue attività letterarie, che nel mondo anglosassone furono di primo piano. Di esse parla l'unico libro pubblicato in italiano di P.B. Taylor, Gurdjieff e Orage, fratelli in elisio. La poetica di Orage è ben riassunta in un testo per ora disponibile solo in lingua inglese, The Art of Reading (1930).

La letteratura, scrive Orage, è un sostituto dell'oralità. Dappertutto si riconosce che la scrittura tocca i suoi vertici quando riproduce al meglio la presenza viva dell'autore: "in breve, quando 'parla'". Nei tempi andati, allorché il rapporto era uditore/oratore e non lettore/scrittore, il primo giudicava il secondo come un qualsiasi essere umano. Ogni parola dipendeva dalla presenza generale di chi la pronunciava: "ciò che di una persona si vedeva e si sentiva era il solo e unico criterio".

Qualcuno potrebbe pensare, allora, che basterebbe trascrivere i dialoghi per fare dell'ottima letteratura, ma sarebbe un'ingenuità. Scrive Orage: "Passare dalla voce alla scrittura, dall'udito alla lettura, richiede ben più che una semplice trascrizione: al testo verbale vanno aggiunte tutte le caratteristiche evidenti dell'oratore, come i gesti, gli occhi, i movimenti, la personalità. La trasmissione, all'interno della cornice verbale della letteratura, dell'uomo stesso - oltre, prima e dopo le sue parole - è quello che viene propriamente definito 'stile'. In letteratura, lo stile è l'uomo."

In altri termini, la letteratura ha valore nella misura in cui riporta in vita "ciò che di una persona si vede e si sente". Allora, come in antico, si può giudicare della presenza generale di un individuo, e quindi della sua comunicazione verbale. 

Sono parole successive all'incontro Gurdjieff/Orage, e si sente. Ciò che conta non è tanto la parola, quanto l'energia dietro di essa; non il discorso, ma l'uomo. Avendo conosciuto un uomo di presenza come Gurdjieff, Orage aveva toccato con mano l'importanza di essere, prima e oltre ogni parola

Tratto t'ho qui con ingegno e con arte;
lo tuo piacere omai prendi per duce;
fuor se' de l'erte vie, fuor se' de l'arte.

mercoledì 2 dicembre 2015

Lavoro finto, lavoro vero


Nell'estate 1924 Jessie Dwight, moglie di A.R. Orage, scrisse nel proprio diario: 

Per quanto potevo vedere (ma come potevo esserne sicura?), tutti [al Prieuré] lavoravano perché dovevano e lo facevano soltanto quando Gurdjieff era presente. Nessuno sembrava farlo perché ... era indispensabile al proprio sviluppo interiore, per uscire dalla routine, per costituire una riserva di energia, per andare oltre un'attività meccanica, oltre la fatica fisica, raggiungendo un altro piano di sforzo consapevole e, nel farlo, osservare obiettivamente se stessi.

Novantuno anni dopo, è facile che chi lavora in una comunità spirituale continui a riconoscersi in queste parole. L'idea è che "la cosa vera", the real thing, sia altrove: nell'ora di meditazione, nei momenti in cui si è con il maestro, in ciò che comunque si farà una volta finito di lavorare. A quel punto, esattamente come nella vita ordinaria, si lavora di malavoglia e solo perché ci si è costretti.

Per fortuna, questa situazione non è inevitabile. Intanto, la citazione di Jessie Dwight contiene un elenco tale delle motivazioni ideali del lavoro, da far sospettare che anche lei, nonostante tutto, avesse intravisto qualcosa. Inoltre, diverse fonti ci riportano un quadro migliore. È il caso a esempio di Fritz Peters, che nel suo primo libro gurdjieffiano racconta di una signora la quale "probabilmente aveva svolto un ottimo lavoro su di sé". Sin dal primo giorno, questa signora spiegò al giovane Peters che l'importante era lavorare con tutto il proprio essere e osservare se stessi. Questa signora colpì Peters per la grazia con cui lavorava: persino gli abiti erano eleganti (i due erano all'opera in giardino). Infatti, mentre tagliava una siepe, ella si era resa conto che l'autosservazione "rendeva armonioso, funzionale e quindi bello ogni movimento del proprio corpo".

All'inesperto Peters sembrava che in realtà le siepi tagliate da lei non fossero perfette, al che la signora gli spiegò che "quando il nostro sé o essere profondo si alimenta di ciò che stiamo facendo", non era importante nemmeno finire il lavoro. In altri termini, a Peters sfuggiva che "ciò che il Metodo fa ... non è altro che il completo e assoluto ribaltamento di tutto ciò che conta nella vita di un individuo" (G. Munson). Il fatto che il Prieuré fosse disseminato di progetti mai portati a termine cominciò quindi ad apparire una Peters sotto una nuova luce. Significativo appare anche il passo del libro di Tchechovitch, in cui Gurdjieff distrusse e rifece personalmente un lavoro ben eseguito, solo perché l'operaio (Tchechovitch stesso) si era vantato della propria bravura.

"Chi ha un obiettivo in mente, fa in modo che tutto sia utile per raggiungerlo", ha scritto Orage. Chi non ce l'ha, fa in modo che tutto sia inutile: anche lavorare al Prieurè.


Tratto t'ho qui con ingegno e con arte;

lo tuo piacere omai prendi per duce;
fuor se' de l'erte vie, fuor se' de l'arte.

martedì 1 dicembre 2015

Fudenji


Arrivando al monastero Zen Fudenji di Salsomaggiore, viene naturale pensare al famoso detto orientale: “Non guardare il dito che indica la luna, ma la luna”. Poca o nessuna istruzione riceve il nuovo arrivato in questo perfetto angolo di Giappone nella pianura padana: egli deve immediatamente imparare a muoversi nel luogo imitando gli altri, e poiché la mera imitazione non conduce a niente (dal punto di vista interiore), deve fare appello a tutto il suo bagaglio di essere e conoscenza per rendere fruttuoso il suo soggiorno. Qui, il dito che indica la luna è ridotto all'osso: ogni cura è posta affinché l'osservatore passi subito alla luna.

Chi avesse dello Zen un'idea superficiale, dovuta all'uso disinvolto che si fa di questo nome (ormai è anche una marca di shampoo), potrebbe restare scioccato nell’accorgersi che l’autentico Zen di tradizione Soto, quale si può vedere a Fudenji, è una tradizione rigida e formale. Già all’arrivo si viene invitati a parcheggiare la macchina in retromarcia, cioè con una difficoltà in più e non strettamente necessaria, vista l’ampiezza del parcheggio. Da quel momento, ogni dettaglio della vita a Fudenji sembra normato: quali sandali indossare, come camminare, come tenere le mani, come entrare negli ambienti, come mangiare, come tenere un libro, come sedersi ecc. Nulla è lasciato al caso: la vita, qui, è intenzionale.

All’ingresso del monastero, in bacheca si può leggere dei tre voti del Buddha: vivere secondo gli insegnamenti del Buddha, vivere in armonia con gli altri e creare gioia intorno a noi. Al nuovo venuto, il terzo punto potrebbe sembrare fuori posto. Come possono manifestare e diffondere gioia persone apparentemente così serie? L’interrogativo sorge soprattutto pensando alle numerose proposte della nuova spiritualità in cui si invita a esprimere gioia in modo spontaneo e disinibito. Il fatto è che la gioia è il segreto di Fudenji. Sotto la grande disciplina e grazie all’intensa attenzione del praticante, c’è un cuore ardente: e più il suo calore viene contenuto e osservato, più si espande; più la vita esteriore appare disciplinata, più quella interiore sembra liberarsi; più le norme si addensano intorno alla porta stretta, più lo spazio al di là di questa si illumina e dilata.

Per noi la nebbia è come l’acqua per i pesci. È il luogo dove vediamo meglio, non solo dentro, ma anche fuori. L’uomo nella nebbia, fatto di nebbia, è come un pesce nell’acqua che, per quanto nuoti, non trova limiti all’acqua né al suo nuotare. Tutta l’acqua è il pesce che nuota… e vai a spiegare ai pesci e ai draghi che abitano le acque profonde, o le vaporose nubi del cielo, che gli uomini bevono le loro case! (Fatti di nebbia)

Tratto t'ho qui con ingegno e con arte;
lo tuo piacere omai prendi per duce;
fuor se' de l'erte vie, fuor se' de l'arte.