Questo è forse il più famoso libro di poesia del secondo
Novecento italiano. Già nel titolo è annunciato il binomio amore (Gramsci = passione politica) e morte (le ceneri). Ce lo ritroveremo per tutti i poemetti.
Anzi: segnerà la vita dell'autore fino al tragico epilogo dell'Idroscalo.
“Ebbra simbiosi… di sesso e morte” (III), “disperata passione” (V), “stupende fogne” (V), “cielo di bave” (I), “silenzio fradicio” (I), “passioni sfrenate senza scandalo” (II), “pederasti non ancora casti (II)” ecc.: il vero motore di questa poesia non è l'impegno, come a volte si dice, ma l'erotismo - un erotismo che ha come sfondo un cimitero (quello romano acattolico di Testaccio).
Pasolini sembra il primo a non sentirsi a proprio agio con le sue pulsioni: “impuro”, “vizio” e “peccato” sono parole che ricorrono e alimentano l’eccitazione del poeta. L’erotismo di Pasolini è fatto di proibizione, trasgressione, decadentismo: non solo le fogne sono stupende, ma la sporcizia è afrodisiaca (VI). Egli non vive fisicamente gli istinti che lo animano: “io… soltanto nella storia ho vita”, “potrò mai più con pura passione operare?” (VI), “sussisto perché non scelgo”, “vivo nel non volere… amando il mondo che odio… per un oscuro scandalo della coscienza” (III).
L'unico riscatto è nella trasformazione della sessualità in un lirismo incontenibile: i versi tendono verso una misura metrica, ma sono refrattari a ogni disciplina e sconfinano da tutti i lati; spesso le rime sono solo per assonanza e non effettive. Il vitalismo del poeta si traduce, come spesso capita, in abbondanza di aggettivi. Pasolini non può e non vuole esercitare l’autocontrollo: in un’altra poesia dello stesso libro (Il pianto della scavatrice) definisce l’ordine “spento dolore”. La poesia, per lui, nasce dallo scontro tra istinto e ragione, erotismo e società. I ricorrenti ossimori (“impura virtù”, V; “spenta trepidazione”, II) segnalano l’incessante conflitto.
“Ebbra simbiosi… di sesso e morte” (III), “disperata passione” (V), “stupende fogne” (V), “cielo di bave” (I), “silenzio fradicio” (I), “passioni sfrenate senza scandalo” (II), “pederasti non ancora casti (II)” ecc.: il vero motore di questa poesia non è l'impegno, come a volte si dice, ma l'erotismo - un erotismo che ha come sfondo un cimitero (quello romano acattolico di Testaccio).
Pasolini sembra il primo a non sentirsi a proprio agio con le sue pulsioni: “impuro”, “vizio” e “peccato” sono parole che ricorrono e alimentano l’eccitazione del poeta. L’erotismo di Pasolini è fatto di proibizione, trasgressione, decadentismo: non solo le fogne sono stupende, ma la sporcizia è afrodisiaca (VI). Egli non vive fisicamente gli istinti che lo animano: “io… soltanto nella storia ho vita”, “potrò mai più con pura passione operare?” (VI), “sussisto perché non scelgo”, “vivo nel non volere… amando il mondo che odio… per un oscuro scandalo della coscienza” (III).
L'unico riscatto è nella trasformazione della sessualità in un lirismo incontenibile: i versi tendono verso una misura metrica, ma sono refrattari a ogni disciplina e sconfinano da tutti i lati; spesso le rime sono solo per assonanza e non effettive. Il vitalismo del poeta si traduce, come spesso capita, in abbondanza di aggettivi. Pasolini non può e non vuole esercitare l’autocontrollo: in un’altra poesia dello stesso libro (Il pianto della scavatrice) definisce l’ordine “spento dolore”. La poesia, per lui, nasce dallo scontro tra istinto e ragione, erotismo e società. I ricorrenti ossimori (“impura virtù”, V; “spenta trepidazione”, II) segnalano l’incessante conflitto.
Il destino dell’autore sembra già scritto in queste
poesie: incontrare la morte durante un’avventura erotica. Nel poemetto V, con inconscia
premonizione, Pasolini confessa la propria simpatia per Shelley: "Come capisco ... il vortice dei sentimenti, il capriccio ... che lo inghiottì nel
cieco celeste del Tirreno” durante “la carnale gioia dell’avventura”.
Cieco, ma non del tutto imprevedibile, il seme gettato in queste poesie si sarebbe trasformato venti anni dopo nel frutto amaro dell'Idroscalo, sempre davanti al Tirreno.
Cieco, ma non del tutto imprevedibile, il seme gettato in queste poesie si sarebbe trasformato venti anni dopo nel frutto amaro dell'Idroscalo, sempre davanti al Tirreno.
O voi che avete l'intelletti sani,
mirate la dottrina che s'asconde
sotto 'l velame de li versi strani.
Nessun commento:
Posta un commento