C’è
un racconto di Gogol che si intitola Roma.
Alla fine di esso, sul Gianicolo e mentre il cannone spara, il protagonista si
perde nella contemplazione di Roma e “dimentica se stesso e il mondo intero”.
Il
film La Grande Bellezza sembra
cominciare laddove Roma di Gogol
finisce. Sullo stesso punto del Gianicolo e subito dopo il cannone di
mezzogiorno, un giapponese ammira il panorama di Roma e ha un mancamento, forse
addirittura muore.
Alla
fine del film, invece, il protagonista Jep Gambardella si apre alla grande
bellezza e rinasce. Tutto quello che è avvenuto nel frattempo sembra essere ciò
che gli ha permesso di vedere la bellezza senza dimenticare né perdere se
stesso. In questo senso, il film diventa un percorso di formazione e l’inizio e
la fine si saldano, diventando parti di una spirale che ritorna allo stesso
punto di partenza, ma a un livello più alto.
Più
volte è stato detto che La Grande
Bellezza si rifà alla Dolce Vita.
C’è una differenza: al termine della Dolce
Vita, Marcello resta sulla spiaggia del mostro e non riesce a sentire la voce dell’«angelo rinascimentale» che lo chiama dall’altra sponda; al termine
della Grande Bellezza, Jep sente il
richiamo della santa che ha ospitato a casa sua, si apre alla grande bellezza e
come per incanto i diecimila uccelli (i diecimila io) che hanno nidificato sul
suo terrazzo si dissolvono.
La
santa “conosce il nome di battesimo di tutti quegli uccelli” – conosce gli io –
ma tace, al contrario di un’altra figura religiosa, alla stessa tavola, che
parla sempre: “Perché la povertà (= l’assenza degli io) si vive, non si
racconta”.
La
giraffa che scompare nelle Terme di Caracalla “è un trucco”, come il ricordo di
sé che fa svanire gli io. “Fa’ sparire anche me”, chiede Jep al mago della
giraffa. Osho definì esplicitamente la meditazione “un trucco”; Gurdjieff disse
che per un uomo è impossibile capire il ricordo di sé.
Nelle
ultime scene, Jep si riconcilia con il proprio passato e torna a scrivere dopo molti
anni; la santa sale in ginocchio la Scala di S. Giovanni, perché “Quando raggiungi la
vetta della montagna, bisogna continuare a salire” (detto Zen).
Lume non è, se non vien dal sereno
che non si turba mai
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