giovedì 15 gennaio 2015

La Grande Bellezza



C’è un racconto di Gogol che si intitola Roma. Alla fine di esso, sul Gianicolo e mentre il cannone spara, il protagonista si perde nella contemplazione di Roma e “dimentica se stesso e il mondo intero”.

Il film La Grande Bellezza sembra cominciare laddove Roma di Gogol finisce. Sullo stesso punto del Gianicolo e subito dopo il cannone di mezzogiorno, un giapponese ammira il panorama di Roma e ha un mancamento, forse addirittura muore.

Alla fine del film, invece, il protagonista Jep Gambardella si apre alla grande bellezza e rinasce. Tutto quello che è avvenuto nel frattempo sembra essere ciò che gli ha permesso di vedere la bellezza senza dimenticare né perdere se stesso. In questo senso, il film diventa un percorso di formazione e l’inizio e la fine si saldano, diventando parti di una spirale che ritorna allo stesso punto di partenza, ma a un livello più alto.

Più volte è stato detto che La Grande Bellezza si rifà alla Dolce Vita. C’è una differenza: al termine della Dolce Vita, Marcello resta sulla spiaggia del mostro e non riesce a sentire la voce dell’«angelo rinascimentale» che lo chiama dall’altra sponda; al termine della Grande Bellezza, Jep sente il richiamo della santa che ha ospitato a casa sua, si apre alla grande bellezza e come per incanto i diecimila uccelli (i diecimila io) che hanno nidificato sul suo terrazzo si dissolvono.

La santa “conosce il nome di battesimo di tutti quegli uccelli” – conosce gli io – ma tace, al contrario di un’altra figura religiosa, alla stessa tavola, che parla sempre: “Perché la povertà (= l’assenza degli io) si vive, non si racconta”.

La giraffa che scompare nelle Terme di Caracalla “è un trucco”, come il ricordo di sé che fa svanire gli io. “Fa’ sparire anche me”, chiede Jep al mago della giraffa. Osho definì esplicitamente la meditazione “un trucco”; Gurdjieff disse che per un uomo è impossibile capire il ricordo di sé.

Nelle ultime scene, Jep si riconcilia con il proprio passato e torna a scrivere dopo molti anni; la santa sale in ginocchio la Scala di S. Giovanni, perché “Quando raggiungi la vetta della montagna, bisogna continuare a salire” (detto Zen).

Lume non è, se non vien dal sereno
che non si turba mai

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