Per un periodo ho fatto yoga da solo e ho fatto danni, perché mancava l’amore. L’amore può nascere solo quando ci stanno altre persone: fare pratiche spirituali con gli altri è protettivo.
Nel cammino spirituale la comunità non è un optional, qualcosa che ci può indifferentemente essere o non essere. Quanto possiamo fare da soli altro non è che una fase preparatoria, un’apertura al passaggio della Grazia che può avvenire unicamente in presenza di altri uomini. Se io sono presente, sono disponibile all’affiorare della Grazia, la quale però richiede la presenza di un’altra persona: l’Amico, l’Amata, il Maestro.
C’è un film piuttosto cerebrale, si chiama Il mare che pensa. Uno dei suoi temi è il danno che può fare una spiritualità solitaria e libresca. In esso vediamo un intellettuale che si chiude in casa con libri di Zen e di Nisagardatta, ruminadoli solitariamente e giungendo a trattare le singole pagine come feticci. Dimentica che quegli insegnamenti nacquero in un contesto relazionale: comunitario-monastico, come nello Zen, o maestro/discepolo, come Nisargadatta.
Gli Amici giusti sono quelli vicino ai quali ricordo me stesso con più facilità: il loro raccoglimento è tale che se li guardi, ti senti guardato pure se i loro occhi sono altrove. L’amico giusto è quello nel cui occhio puoi tuffarti a lungo e in modo sempre nuovo, scivolando fuori dal tempo anche se ti trovi in un Café affollato. L’Amico giusto, con la sua sola Presenza, porta alla luce il tuo cuore.
Lume non è, se non vien dal sereno
che non si turba mai
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