martedì 20 gennaio 2015

Acqua dalla roccia



Alcuni dicono che con la morte non si possono fare le prove. Forse però basta andare da soli a qualche evento commerciale o in certi mall e questo diventerà possibile. Netta sarà la sensazione di trovarsi dentro un ingranaggio, con tanto di ruote dentate, che ci starà stritolando, oppure nella bocca di un mostro che si nutre di anime. Fondamentale sarà essere soli, senza la distrazione di amici o parenti. Allora non si potrà che cercare di aprirsi e abbracciare il tutto, ovvero “fare le prove con la morte”.

Mi è capitato recentemente di trovarmi, di notte, a un evento del genere che richiamava grandi folle. Estrarre presenza da quella situazione mi è sembrato come cavare acqua da una roccia. Ma il bello è che anche nelle rocce c’è acqua: lo dimostra Mosè, che l’ha fatta sgorgare picchiando con il bastone.

In qualsiasi situazione, può mancare solo ciò che tu non hai dato” (Un corso in miracoli).

La via del Lavoro è all’indietro e a testa in giù rispetto alla vita, dice Gurdjieff. Cercare acqua nella roccia è un movimento opposto alla corrente ordinaria della vita. A esempio, mantenere il cuore morbido e aperto in certi posti e con certe musiche può essere un modo di rendere più porosa la roccia che a volte abbiamo nel petto.

Importante è sempre, comunque, verificare l’atteggiamento verso gli altri. Se mi sembra di essere in uno stato elevato, ma poi riconosco ancora in me una condanna verso quanti mi circondano, posso sicuramente fare di meglio. Uno stato elevato deve accogliere tutta l’umanità che mi sta intorno. Non può escluderla, tantomeno essere accompagnato da ostilità nei suoi confronti.

I tibetani hanno una bella espressione per indicare la morte: “L’unione della madre con il figlio”. E come si possono unire, madre e figlio, se non abbracciandosi?

Lume non è, se non vien dal sereno
che non si turba mai

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