Dopo aver scritto il post sulle Ceneri
di Gramsci, ho scoperto un testo (Giuseppe Zigaina, Pasolini e la morte,
edizione Marsilio 1987) che esplora specificamente il tema dei rapporti
tra Pasolini e la morte: molto di ciò che avevo intuito era stato ovviamente
già detto. Addirittura, Enzo Siciliano si era chiesto nel ’79 se la morte di
Pasolini non fosse stato un “un suicidio per delega”.
Riguardo l’ossimoro, la cifra stilistica del poeta, ho scoperto che esso era
nel sangue di Pasolini già dalla nascita, essendo lui nato non a Casarsa, come tutti
sanno, ma a Casarsa della Delizia: e “casa arsa” e “delizia” già contengono
quella coniunctio oppositorum, quel
cortocircuito concettuale che ritroviamo spesso nella sua opera.
Le frasi che più mi hanno colpito dal testo di Zigaina sono due, entrambe
tratte da “Empirismo Eretico”: “È la morte che compie il fulmineo montaggio
della nostra vita”; “Finché siamo vivi, manchiamo di senso”.
Pasolini è l’esempio di un intellettuale infaticabile,
sempre dedito al supersforzo. Non si accontentò dei successi in nessun campo,
ma rilanciò sempre il suo impegno verso altre frontiere: dalla pittura passò alla
poesia, quindi alla prosa, alla saggistica, al teatro e al cinema, per riapprodare
alla pittura poco prima di morire. In quasi tutte le sue attività ottenne
risultati di rilievo internazionale. La sua energia era tale che riuscì a far
dimenticare l’episodio che lo riguardò all’inizio dell’età adulta: il processo
per atti osceni con un minore. Molti sarebbero stati schiantati da una simile
infamia a inizio carriera, lui trasformò quell'attrito nello
stimolo a superare costantemente se stesso.
Questa infaticabilità è tra le cose positive che possono
ispirare una persona che abbia messo al centro della propria vita lo scopo di
Risvegliarsi, ovvero un uomo numero quattro, secondo la terminologia della
Quarta Via.
Ma le due frasi che ho citato prima sono di quelle che
devono mettere la stessa persona in allarme. Bisognerebbe cercare di fare il montaggio della propria vita, trasformandola in una freccia con una direzione identificabile, prima che sia la morte, con il suo sigillo, a dargli forma compiuta.
"È necessario vivere
con uno scopo. Se la tua vita non ha uno scopo, non sei un uomo. Tu sai qual è
lo scopo della tua vita? Ti offro un esempio molto semplice: morire di una
morte onorevole. Tutti possono far proprio questo scopo, senza bisogno di
filosofeggiare: non perire come un cane." Gurdjieff
Con “perire come un cane”, Gurdjieff intendeva il morire
senza aver sviluppato un’anima, possibilità concessa esclusivamente all’essere
umano. Gurdjieff non avrebbe mai detto che prima di morire la sua vita “mancava
di senso”.
Non per niente, il testo che ho citato in apertura si sforza
di trovare affinità tra l’Oriente spirituale e l’ultima arte di Pasolini, i
mandala tibetani e i quadri che componeva nella villa di Chia: un’ipotesi
critica priva di solide base che è rimasta senza seguito.
Ed elli a me: Questa montagna è tale,
che sempre al cominciar di sotto è grave;
e quant'om più va sù, e men fa male.
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