mercoledì 8 aprile 2015

Pasolini e la morte


Dopo aver scritto il post sulle Ceneri di Gramsci, ho scoperto un testo (Giuseppe Zigaina, Pasolini e la morte, edizione Marsilio 1987) che esplora specificamente il tema dei rapporti tra Pasolini e la morte: molto di ciò che avevo intuito era stato ovviamente già detto. Addirittura, Enzo Siciliano si era chiesto nel ’79 se la morte di Pasolini non fosse stato un “un suicidio per delega”.

Riguardo l’ossimoro, la cifra stilistica del poeta, ho scoperto che esso era nel sangue di Pasolini già dalla nascita, essendo lui nato non a Casarsa, come tutti sanno, ma a Casarsa della Delizia: e “casa arsa” e “delizia” già contengono quella coniunctio oppositorum, quel cortocircuito concettuale che ritroviamo spesso nella sua opera.

Le frasi che più mi hanno colpito dal testo di Zigaina sono due, entrambe tratte da “Empirismo Eretico”: “È la morte che compie il fulmineo montaggio della nostra vita”; “Finché siamo vivi, manchiamo di senso”.

Pasolini è l’esempio di un intellettuale infaticabile, sempre dedito al supersforzo. Non si accontentò dei successi in nessun campo, ma rilanciò sempre il suo impegno verso altre frontiere: dalla pittura passò alla poesia, quindi alla prosa, alla saggistica, al teatro e al cinema, per riapprodare alla pittura poco prima di morire. In quasi tutte le sue attività ottenne risultati di rilievo internazionale. La sua energia era tale che riuscì a far dimenticare l’episodio che lo riguardò all’inizio dell’età adulta: il processo per atti osceni con un minore. Molti sarebbero stati schiantati da una simile infamia a inizio carriera, lui trasformò quell'attrito nello stimolo a superare costantemente se stesso.

Questa infaticabilità è tra le cose positive che possono ispirare una persona che abbia messo al centro della propria vita lo scopo di Risvegliarsi, ovvero un uomo numero quattro, secondo la terminologia della Quarta Via.

Ma le due frasi che ho citato prima sono di quelle che devono mettere la stessa persona in allarme. Bisognerebbe cercare di fare il montaggio della propria vita, trasformandola in una freccia con una direzione identificabile, prima che sia la morte, con il suo sigillo, a dargli forma compiuta.

"È necessario vivere con uno scopo. Se la tua vita non ha uno scopo, non sei un uomo. Tu sai qual è lo scopo della tua vita? Ti offro un esempio molto semplice: morire di una morte onorevole. Tutti possono far proprio questo scopo, senza bisogno di filosofeggiare: non perire come un cane." Gurdjieff

Con “perire come un cane”, Gurdjieff intendeva il morire senza aver sviluppato un’anima, possibilità concessa esclusivamente all’essere umano. Gurdjieff non avrebbe mai detto che prima di morire la sua vita “mancava di senso”.

Non per niente, il testo che ho citato in apertura si sforza di trovare affinità tra l’Oriente spirituale e l’ultima arte di Pasolini, i mandala tibetani e i quadri che componeva nella villa di Chia: un’ipotesi critica priva di solide base che è rimasta senza seguito.

Ed elli a me: Questa montagna è tale,
che sempre al cominciar di sotto è grave;
e quant'om più va sù, e men fa male.

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