Idioti a Parigi è un libro uscito per le edizioni Mediterranee nel 1996. Contiene i diari personali di John ed Elizabeth Bennett durante il loro soggiorno parigino in compagnia di Gurdjieff, nell'estate del 1949.
Quando Elizabeth Bennett decise di pubblicare questi diari, nel mondo anglossassone l'autobiografia di John Bennet era già uscita da trenta anni: ciò rendeva Idiots in Paris più comprensibile al lettore inglese. In Italia è successo l'incontrario: Witness, l'autobiografia di JG Bennett, è uscito venti anni dopo Idioti a Parigi: ovvero, per due decadi buone parti di quest'ultimo siano rimaste indecifrabili al lettore italiano.
Elizabeth Bennett sapeva che era necessario fornire un minimo di contesto a quei diari privati: detestando le note a pie' di pagina, optò per una prefazione esplicativa. Qui è dove Idioti a Parigi può aiutare a capire Witness.
Scrive Elizabeth Bennett del marito: "[Egli era] così sicuro di sapere come lavorare, così cieco alle opportunità di fronte a lui, così privo di humour, così convinto che la forza - fisica, mentale e morale - lo avrebbe portato alle soglie del paradiso! In quel mese di agosto 1949 era ossessionato da se stesso e dai suoi stati soggettivi".
Per capire cosa stava succedendo, abbiamo bisogno sia di Witness che di Idioti a Parigi. Dal primo, sappiamo che da anni Bennett era rimasto senza guida nel Lavoro: dopo la partenza degli Ouspensky per l'America, scoprire che Gurdjieff era ancora vivo a Parigi fu un miracolo. Dal secondo, sappiamo cosa Bennett si era messo a fare da solo, anche se non tanto dai suoi appunti, quanto dai commenti di Gurdjieff e dalle osservazioni di Elizabeth.
Gli diceva infatti Gurdjieff: "Lei lavora troppo duramente. Questi risultati possono essere molto dannosi. Meglio non lavorare così faticosamente. Se non ci fossi qui io, lei non sarebbe in grado di tornare indietro. Finirebbe diritto in manicomio".
Nel 1923, al Prieuré di Gurdjieff, Bennett aveva dei fatto dei supersforzi che lo avevano portato a un'esperienza di risveglio. Venticinque anni dopo egli, rimasto senza Maestri, cercava con supersforzi solitari di ottenere lo stesso risultato. A detta di Gurdjieff, questi supersforzi in solitudine lo rendevano il candidato perfetto per un manicomio.
Affiora qui una lezione già nota, ma sempre valida: il Maestro e la comunità offrono protezione, gli sforzi solitari rischiano di essere dannosi. In verità, già la presenza della moglie proteggeva JG Bennett da se stesso, ma poiché Bennett non l'ascoltava, era necessario che parlasse Gurdjieff.
Per chiudere con le parole di Elizabeth Bennett: "Quel mese [con Gurdjieff] fu il punto di svolta per lui. La sua tolleranza, umiltà e amore - la sua profonda comprensione - così facile a vedersi alla fine della sua vita, cominciò a emergere durante le visite a Gurdjieff riportate in questo libro. Quelli di noi - così tanti di noi - che hanno beneficiato dei suoi ultimi insegnamenti dovrebbero ringraziare non soltanto JG Bennett, ma soprattutto il suo Maestro, Gurdjieff".
Elizabeth Bennett sapeva che era necessario fornire un minimo di contesto a quei diari privati: detestando le note a pie' di pagina, optò per una prefazione esplicativa. Qui è dove Idioti a Parigi può aiutare a capire Witness.
Scrive Elizabeth Bennett del marito: "[Egli era] così sicuro di sapere come lavorare, così cieco alle opportunità di fronte a lui, così privo di humour, così convinto che la forza - fisica, mentale e morale - lo avrebbe portato alle soglie del paradiso! In quel mese di agosto 1949 era ossessionato da se stesso e dai suoi stati soggettivi".
Per capire cosa stava succedendo, abbiamo bisogno sia di Witness che di Idioti a Parigi. Dal primo, sappiamo che da anni Bennett era rimasto senza guida nel Lavoro: dopo la partenza degli Ouspensky per l'America, scoprire che Gurdjieff era ancora vivo a Parigi fu un miracolo. Dal secondo, sappiamo cosa Bennett si era messo a fare da solo, anche se non tanto dai suoi appunti, quanto dai commenti di Gurdjieff e dalle osservazioni di Elizabeth.
Gli diceva infatti Gurdjieff: "Lei lavora troppo duramente. Questi risultati possono essere molto dannosi. Meglio non lavorare così faticosamente. Se non ci fossi qui io, lei non sarebbe in grado di tornare indietro. Finirebbe diritto in manicomio".
Nel 1923, al Prieuré di Gurdjieff, Bennett aveva dei fatto dei supersforzi che lo avevano portato a un'esperienza di risveglio. Venticinque anni dopo egli, rimasto senza Maestri, cercava con supersforzi solitari di ottenere lo stesso risultato. A detta di Gurdjieff, questi supersforzi in solitudine lo rendevano il candidato perfetto per un manicomio.
Affiora qui una lezione già nota, ma sempre valida: il Maestro e la comunità offrono protezione, gli sforzi solitari rischiano di essere dannosi. In verità, già la presenza della moglie proteggeva JG Bennett da se stesso, ma poiché Bennett non l'ascoltava, era necessario che parlasse Gurdjieff.
Per chiudere con le parole di Elizabeth Bennett: "Quel mese [con Gurdjieff] fu il punto di svolta per lui. La sua tolleranza, umiltà e amore - la sua profonda comprensione - così facile a vedersi alla fine della sua vita, cominciò a emergere durante le visite a Gurdjieff riportate in questo libro. Quelli di noi - così tanti di noi - che hanno beneficiato dei suoi ultimi insegnamenti dovrebbero ringraziare non soltanto JG Bennett, ma soprattutto il suo Maestro, Gurdjieff".
Ed elli a me: Questa montagna è tale,
che sempre al cominciar di sotto è grave;
e quant'om più va su, e men fa male.
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