martedì 14 aprile 2015

JG Bennett, testimone dell'imperscrutabile II



Nel 1956, a sessanta anni, John Godolphin Bennett si abbandona nelle braccia del Tutto. “Chiudi gli occhi. Vi è solo Dio. Fa’ quello che vuoi” è la nuova Via, il Subud o Latihan. Tutto ciò che era stato appreso da Gurdjieff si riconfigura in nuova forma. Prima, ogni cosa era sforzo; ora, tutto sta nell’aprirsi e lasciarsi andare. Sembrerebbe una svolta di 180 gradi, ma per Bennett è solo l’approfondimento dello stesso discorso, un altro sentiero alla medesima vetta.

Benché gli amici di un tempo lo abbandonino, i primi anni sono idilliaci: tutto pare arrivare senza necessità di pagamento, il Mar Rosso è aperto e basta allungare la mano. Ancora una volta, Bennett è accanto alla fonte: il Maestro indonesiano Pak Subuh; ancora una volta, chi vive con lui condivide intensamente l’esperienza: la moglie Polly (di venti anni più grande) e l’amante Elizabeth.

Ma i conti non tornano: il Subud apre il cuore, ma non fa nulla per la forza di volontà. Non c’è più alcun lavoro su di sé, basta “aprirsi”. Il nonsforzo può funzionare nel breve, ma non nel lungo termine. "Avevo fatto affidamento sul latihan per ciò che avrei dovuto fare tramite i miei propri sforzi": dando un grosso dispiacere ai seguaci del Subud (così come aveva fatto con quelli di Gurdjieff), Bennett saluta e se ne va.

Da questo momento, la sua vita sarà una girandola di Vie e Maestri, sempre all’inseguimento dell'elusivo equilibrio tra sforzo e nonsforzo, disciplina e abbandono.

Su suggerimento dell’ultimo Maestro, Hasan Shushud (“Insistette che io fossi un «maestro» e fossi andato oltre tutti coloro che consideravo miei insegnanti”), Bennett apre una scuola tutta sua a Sherborne House. Dura appena tre anni: la morte se lo porta improvvisamente via il 13/12/1974. Nonostante gli avvertimenti di Shushud, si era sovraccaricato di lavoro e questo l’aveva stroncato, come riconobbero quanti gli stavano vicino.

Nella vita di Bennett, la bilancia sforzo/nonsforzo pendeva quasi sempre dal lato dello sforzo. Spesso egli era iperattivo ed esigeva molto da sé. Per citare il suo necrologio, Bennett esemplificava l’insegnamento di Gurdjieff secondo cui la Grazia potesse scendere sull’uomo come risultato di “lavoro cosciente e sofferenza intenzionale”. L’esperienza francese del 1923 l’aveva segnato: quello era stato l’evento fondamentale che aveva informato di sé tutti i fatti passati e futuri, “come la limatura di ferro si orienta a formare una rosa intorno a una calamita” (E. Zolla).

Qui finisce il libro che inizia da quella fine che è il mio inizio. Bennett non vi appare tanto un Maestro, quanto un messaggero di Maestri. Sorprendentemente, questo è proprio ciò che Gurdjieff gli aveva chiesto, quella fatidica sera del 1923: diventare un servitore di ciò che va oltre l'uomo. A modo suo, Bennett ha risposto alla chiamata.

Ed elli a me: Questa montagna è tale,
che sempre al cominciar di sotto è grave;
e quant'om più va sù, e men fa male.

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