Cento anni fa, forse proprio nella settimana tra il 6 e il
12 aprile 1915, Piotr Demjanovich Ouspensky incontrava Georges Ivanovitch
Gurdjieff. È un incontro che ha fatto la storia come quello tra Dante e Beatrice sulle rive dell’Arno, o tra Socrate e
Platone sotto i marmi dell’Acropoli.
Per l’occasione rileggiamone il racconto, al capitolo uno di Frammenti di un
insegnamento sconosciuto.
“Me ne ricordo molto bene…” è l’incipit quanto
mai beneaugurante, poiché la Scuola di Gurdjieff è la Scuola del Ricordo.
Tuttavia, già un capoverso sotto Ouspensky aggiunge: “Non ricordo l’inizio
della nostra conversazione”, e alla pagina successiva “Mi è difficile
ricostruire l’inizio della conversazione con gli allievi di G.”: qui Ouspensky assomiglia a tutti noi, uomini addormentati che non sappiamo bene come
entriamo nelle situazioni della nostra vita. Le cose ci accadono, non siamo
ancora in grado di fare.
“Eravamo arrivati in un piccolo caffè lontano dal centro…” Ecco l'inizio della tradizione, ancora viva dopo cento anni, di tenere gli incontri di
Quarta Via in caffè o atri d’albergo.
“Vi era un uomo … che mi colpì subito perché sembrava del
tutto fuori posto in quel luogo e in quell’atmosfera … Quest’uomo dal viso di
Rajah indiano o Sceicco arabo, produceva, in quel piccolo caffè di bottegai e
rappresentanti … l’impressione inattesa, strana e quasi allarmante di un uomo …
che non è ciò che pretende di essere.” Gurdjieff è in un ambiente
antitetico al suo essere e il contrasto genera energia. Ouspensky comincia ad avvertire
che davanti a lui è in atto qualcosa di insolito: una persona si mette volontariamente
in una situazione di attrito, perché quest’ultimo alimenta il suo lavoro
interiore.
“G. parlava un russo scorretto con un forte accento caucasico,
e quell’accento, al quale siamo abituati ad associare qualsiasi cosa eccetto
che idee filosofiche, rafforzava ancora la stranezza e il carattere
sorprendente di quella impressione.” Non solo Gurdjieff è in un presente
inatteso: anche il suo passato è sorprendente. Si intuisce che per arrivare lì
dove è ha compiuto una lunga strada, costellata di attriti trasformati in carburante per qualche processo interiore.
“… Mi parve che mettesse in ogni risposta molto più di
quanto gli chiedessi. Mi piaceva il suo modo di parlare che era, a un tempo,
prudente e preciso.” Tutto l’incontro è all’insegna dell’equilibrio tra gli
opposti, dell’elettricità tra i contrari. Gurdjieff è un rajah in un caffè di
bottegai, parla di filosofia con una lingua da mafioso, si esprime in modo
generoso e riservato. Ouspensky è magnetizzato.
“Non lo capivo bene.” Eppure, in un certo senso, Ouspensky
capì benissimo, tant’è che alla fine dell’incontro si rese conto di dover
chiedere subito un altro appuntamento, altrimenti rischiava di “perdere ogni
contatto con lui”. La vera comunicazione tra Ouspensky e Gurdjieff stava avvenendo oltre le parole, a livello sottile. I discorsi erano solo un pretesto.
“Tutto quanto G. aveva detto mi aveva profondamente
interessato. C’erano, lo sentivo, punti di vista nuovi, diversi da tutto quanto
avevo incontrato fino a quel giorno.” Ouspensky non era l’ultimo arrivato, ma un
conferenziere e uno scrittore di successo, proprio sui temi dell’esoterismo. Conosceva
bene l’ambiente, e se ci dice che quei discorsi suonavano assolutamente nuovi
nel 1915, possiamo credergli: dopo cento anni, producono lo stesso effetto.
I due prendono una vettura e si recano in un appartamento, secondo Gurdjieff, lussuoso e costosissimo; secondo Ouspensky, di proprietà comunale, disadorno e dato in affitto gratuitamente. “C’era
qualcosa di così singolare in questo bluff troppo scoperto che io pensai subito
dovesse avere un significato particolare.” Il camuffamento prosegue. Tra le
apparenze e la realtà, i fatti e le parole, c’è una distanza in cui l’uomo
ordinario rischia di smarrirsi. Urge trovare punti di riferimento e
attenervisi: anche il discepolo deve cominciare a essere attivo, o il suo
apprendistato si è già concluso.
Le impressioni contrastanti aumentano. Nello stanzone
comunale ci sono altri studenti di Gurdjieff, ma: “Gli allievi non potevano
competere con il maestro. Appartenevano tutti a quel particolare ambiente
piuttosto povero dell’«intellighenzia» moscovita … dal quale non potevo
aspettarmi nulla di interessante”. Gurdjieff, dopo aver mostrato la parte
positiva dell’Insegnamento (lui stesso, con la sua energia), sottopone l’aspirante
allievo alle prime prove: ostacoli da superare per cominciare a meritarsi l’Insegnamento stesso.
“Sentivo in loro qualcosa di calcolato e artificiale, come
se recitassero una parte imparata in precedenza.” Un’altra tradizione di Quarta
Via.
“G. non rispose nulla e la conversazione si interruppe. Ma io
avevo subito sentito in G. qualcosa di straordinario, e man mano che la serata
avanzava, quell’impressione non aveva fatto che rafforzarsi.” Ouspensky è ora
lasciato solo a se stesso: deve trovare al proprio interno le ragioni per
continuare a frequentare Gurdjieff. D’altra parte, anche nel silenzio prosegue
la trasmissione tra Maestro e discepolo.
E qualcosa effettivamente è cambiato: per la buona sorte di centinaia
di migliaia di persone, Ouspensky capisce in un lampo che al momento del
commiato deve ottenere un altro incontro, o potrebbe non vedere più Gurdjieff. "L’indomani,
stesso posto, stessa ora", è la risposta di Gurdjieff. Sottinteso: bisogna
cominciare a essere regolari e continuativi nei propri sforzi.
Poi Ouspensky se ne va con un giovane studente di Gurdjieff. Ha la
tentazione di fare una battuta stupida, ma si trattiene: la camminata tra i due
avviene in silenzio e ciò depone a favore di entrambi. Con questo esempio di
proficua continenza, si conclude il resoconto di quel giorno di cento anni fa. La sua onda
lunga ancora trasforma uomini e donne di tutti i continenti.