Guardiamo il cortometraggio Tango (1981) di Zbigniew Rybczynski.
Trentasei personaggi, uno dopo l'altro, entrano ed escono da una stanza, ripetendo ossessivamente le stesse azioni. Alcuni interagiscono, ma la maggior parte è chiusa nel proprio mondo.
Si avverte subito che questo film breve (premio Oscar 1983 per i cortometraggi) parla di noi. La stanza caotica del film richiama una metafora famosa: la "casa" gurdjieffiana nella quale, in assenza del padrone, regna il caos. Quasi tutti i personaggi agiscono come se non esistesse nessun altro, le interazioni sono minime e i gesti meccanici. Queste persone rappresentano i nostri io, o "diecimila idioti": tranne in un caso, il loro copione è scritto e privo di varianti.
Il primo "io" a entrare in scena è un bambino, l'ultimo una persona anziana che per un attimo, sdraiata a letto, sembra morente. Il bambino perde la palla, la recupera e la riperde, incessantemente: da questo prende il via la catena degli io compulsivi, rappresentanti le età della vita e le occupazioni dell'uomo (manca però una figura religiosa).
Tutti i personaggi si sfiorano come in un balletto surreale (da qui forse il nome Tango), senza mai entrare davvero in contatto. Intorno al minuto 6:30 la stanza è così ingombra da sembrare priva d'aria: siamo nello stato di immaginazione prolungata, quando gli io hanno preso tutto lo spazio e l'anima non può respirare.
Il "balletto" asfittico termina allorché l'oggetto apparso per primo, il pallone perduto, lampeggia e viene prelevato dall'ultimo personaggio. Nell'unico gesto fuori dal copione, la sola variante imprevista ("non meccanica"), il personaggio anziano prende questo pallone e lo porta con sé attraverso un'altra uscita ("la crepa nel muro della meccanicità"?). Dal bambino all'anziano, la parabola della vita si è conclusa. La sfera rotolante che ha dato il via alla giostra viene portata via e tutto torna come al principio: nella stanza non è cambiato nulla, perché tutte le azioni che abbiamo visto erano irreali.
Le fronde onde s’infronda tutto l’orto
dell’ortolano eterno, am’io cotanto
quanto da lui a lor di bene è porto.
dell’ortolano eterno, am’io cotanto
quanto da lui a lor di bene è porto.
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