martedì 3 novembre 2015

"Tango"


Guardiamo il cortometraggio Tango (1981) di Zbigniew Rybczynski.

Trentasei personaggi, uno dopo l'altro, entrano ed escono da una stanza, ripetendo ossessivamente le stesse azioni. Alcuni interagiscono, ma la maggior parte è chiusa nel proprio mondo. 

Si avverte subito che questo film breve (premio Oscar 1983 per i cortometraggi) parla di noi. La stanza caotica del film richiama una metafora famosa: la "casa" gurdjieffiana nella quale, in assenza del padrone, regna il caos. Quasi tutti i personaggi agiscono come se non esistesse nessun altro, le interazioni sono minime e i gesti meccanici. Queste persone rappresentano i nostri io, o "diecimila idioti": tranne in un caso, il loro copione è scritto e privo di varianti. 

Il primo "io" a entrare in scena è un bambino, l'ultimo una persona anziana che per un attimo, sdraiata a letto, sembra morente. Il bambino perde la palla, la recupera e la riperde, incessantemente: da questo prende il via la catena degli io compulsivi, rappresentanti le età della vita e le occupazioni dell'uomo (manca però una figura religiosa).

Tutti i personaggi si sfiorano come in un balletto surreale (da qui forse il nome Tango), senza mai entrare davvero in contatto. Intorno al minuto 6:30 la stanza è così ingombra da sembrare priva d'aria: siamo nello stato di immaginazione prolungata, quando gli io hanno preso tutto lo spazio e l'anima non può respirare. 

Il "balletto" asfittico termina allorché l'oggetto apparso per primo, il pallone perduto, lampeggia e viene prelevato dall'ultimo personaggio. Nell'unico gesto fuori dal copione, la sola variante imprevista ("non meccanica"), il personaggio anziano prende questo pallone e lo porta con sé attraverso un'altra uscita ("la crepa nel muro della meccanicità"?). Dal bambino all'anziano, la parabola della vita si è conclusa. La sfera rotolante che ha dato il via alla giostra viene portata via e tutto torna come al principio: nella stanza non è cambiato nulla, perché tutte le azioni che abbiamo visto erano irreali.

Le fronde onde s’infronda tutto l’orto
dell’ortolano eterno, am’io cotanto
quanto da lui a lor di bene è porto.

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