lunedì 30 novembre 2015

I lunedì della poesia - Antro delle Ninfe


Vento improvviso
   arricchisce il cuore
      di una caverna

Invisibili
   nel buio crepitano
      ossa preistoriche

Mammut tacito
   con pazienza ripete
      "Il Regno è qui"

(Un gufo cieco
   mi fissa gli occhi: "Ora
      inizia a scappare")

(Antro delle Ninfe, Itaca 2014)

Le fronde onde s’infronda tutto l’orto
dell’ortolano eterno, am’io cotanto
quanto da lui a lor di bene è porto.

domenica 29 novembre 2015

Appunti sull'attenzione divisa


Ogni genitore con un bambino piccolo sembra un'incarnazione dell'attenzione divisa: qualunque cosa stia facendo, non può dimenticare il bambino, perché la disattenzione del genitore può significare un pericolo per il figlio piccolo. Ogni genitore sta dunque Lavorando, senza saperlo? Non proprio.

Lo sforzo influenzato dalla necessità o dal desiderio non è sforzo. Ricordare se stessi è uno sforzo, perché nessuno shock esterno può costringerci a farlo. Gurdjieff (dagli appunti di B. Ferapontoff)

L'attenzione divisa che cerchiamo è dunque quella non imposta dalle circostanze esterne. Come per il ricordo di sé, essa deve essere "la propria ricompensa".

Thomas de Hartmann ha parlato di questo nel giugno '54, a un gruppo di studenti. Leggiamo dagli appunti di Thomas C. Daly:

L'attenzione e la volontà generate da oggetti esterni, tramite i sensi, non sono nostre. Fanno parte del meccanismo della Natura: la Natura è all'opera su di noi. Noi non conquistiamo la Natura; la Natura conquista noi ... Tuttavia, esistono un'altra Attenzione e un'altra Volontà che non nascono fuori di noi, ma dentro di noi. Questa Attenzione è l'inizio della vera Consapevolezza, e questa Volontà è l'inizio del libero arbitrio. Con questa attenzione, possiamo osservare noi stessi; con questa Attenzione, possiamo ricordare noi stessi. Con questa Volontà, possiamo fare sforzi per conseguire il nostro scopo più grande: completare noi stessi.

L’attenzione divisa che ci serve non è quella imposta dalle circostanze, ma quella assunta volontariamente. Niente nella situazione ci costringe a dividere l’attenzione, eppure la dividiamo lo stesso. Questo è lo sforzo che fa anima.

All'inizio dell'incontro, la moglie Olga de Hartmann aveva detto (sono le sue uniche parole riportate): C'è una sola cosa importante: sviluppare davvero le nostre potenzialità. Non dovremmo accontentarci di niente altro e niente di meno.

Le fronde onde s’infronda tutto l’orto
dell’ortolano eterno, am’io cotanto
quanto da lui a lor di bene è porto.

venerdì 27 novembre 2015

Taliesin


Nel 1940, lo studente di Quarta Via C.S. Nott soggiornò a Taliesin East, lo studio-scuola di architettura creato da Frank Lloyd Wright. Esso gli apparve "un paradiso in terra, dove i nostri figli cominciarono a sbocciare come fiori trapiantati da un terreno arido a un suolo fertile". "Tornare a Taliesin era tornare alla vita come dovrebbe essere: non una vita di soli denaro, affari e politica, ma la vita propria dell'uomo fisico, dell'uomo emozionale e dell'uomo intellettuale, capaci di lavorare armoniosamente insieme." "Taliesin rappresentava la cultura più elevata rinvenibile in America ... A parte il Prieuré [l'Istituto di Gurdjieff in Francia], che ovviamente si situava a un livello ancora più elevato, la vita a Taliesin era la più piena che si potesse avere su questo pianeta. Era una vita tricentrica: il clima mite, la campagna meravigliosa, il cibo ottimo e il lavoro fisico; l'armonia degli edifici, la musica, i buoni film e il canto; le conversazioni a tavola e le stimolanti lezioni di Frank Lloyd Wright agli allievi ... rappresentavano quanto di meglio la vita ordinaria potesse offrire. Tuttavia, a parte la scuola di architettura, la persona che ispirava la vita della comunità era [la moglie] Olgivanna Lloyd Wright; e lei aveva ricevuto ispirazione dal Prieuré, lavorando con Gurdjieff" (Further Teachings of Gurdjieff).

Diana Huebert Faidy, di cui abbiamo già parlato, riteneva Olgivanna la sua seconda insegnante nel Lavoro, dopo la morte di Gurdjieff, e "una delle tre donne, secondo la mia comprensione, designate da Gurdjieff per portare avanti il suo lavoro". Nei suoi appunti è contenuto, sembra, l'unico resoconto del primo, intenso incontro Gurdjieff/Wright. Il secondo non voleva incontrarlo, ma la moglie lo convinse con queste parole: "Ovunque vai, sei il numero uno. Non ti interesserebbe per una volta essere il numero due?". Quando Wright disse, anni dopo, che avrebbe mandato i propri allievi da Gurdjieff, affinché quest'ultimo iniziasse su di loro il lavoro che lui (Wright) avrebbe portato a termine, Gurdjieff rispose: "Idiota! Tu inizi, io termino!". La moglie troncò la discussione dicendo che il Maestro caucasico aveva ragione.

Nel 1955, Olgivanna scrisse un libro, The Struggle Within. Esso contiene la filosofia che aveva permesso a Taliesin di apparire "un paradiso in terra", dove si conduceva una vita nutriente a livello fisico, emozionale e intellettuale. Questo libro è un testo di Quarta Via che non usa il linguaggio della Quarta Via né cita mai i nomi di Gurdjieff od Ouspensky. "Quando l'uomo dà il benvenuto alle difficoltà e lotta consapevolmente per acquisire comprensione, vede la vita come la grande scuola della conoscenza eterna. Solo allora può colmare l'attività in cui è assorbito mediante contenuti spirituali." "Quando siamo svegli, siamo nutriti da ogni impressione e reazione alla vita. È nel sonno dell'inconsapevolezza che siamo scollegati dal nostro essere interiore, ritrovandoci esauriti alla fine della giornata." "Qualunque sia la tua debolezza - caffè, sigarette, cibo, bevande, discorsi - prova ad abbandonarla per un periodo di tempo che ritieni fattibile. Datti un preciso limite temporale e attieniti al tuo voto interiore ... Chi ritiene di non avere debolezze non ha dentro di sé materiale da costruzione, possibilità di moto ascendente. L'altro lato della debolezza è la forza. La debolezza può essere volta a grandi scopi quando è padroneggiata."

Taliesin East, il paradiso in terra, era stata ottenuta mediante un grande pagamento. Quella che C.S. Nott vide nel 1940 era una comunità che dal 1914 in poi era sopravvissuta a una strage criminale, due roghi e un pignoramento. Averla fatta sempre risorgere deve essere stato un notevole supersforzo. Nelle comunità Taliesin vissero o soggiornarono Madame de Salzmann, i coniugi De Hartmann e Gurdjieff stesso.

Secondo James Moore, all'indomani della morte di Gurdjieff,  Lloyd Wright avrebbe preso la parola a un convegno pubblico per dire: "Il più grande uomo della Terra è appena morto. Il suo nome era Gurdjieff".

Le fronde onde s’infronda tutto l’orto
dell’ortolano eterno, am’io cotanto
quanto da lui a lor di bene è porto.

giovedì 26 novembre 2015

Una frase di Jane Heap


A Monograph (1987) è una raccolta degli aforismi di Jane Heap (1887-1964), nota studentessa e insegnante di Quarta Via.

Alcuni di questi aforismi sono probabilmente suoi, altri certamente no, altri ancora sembrano citazioni di Gurdjieff.

Tra questi ultimi, troviamo un classico enunciato di Quarta Via: "Non opporti mai a qualcuno con lo stesso centro, offrine sempre un altro". Il che vuol dire, a esempio, che se vogliamo controbattere a qualcuno che si è avvicinato a noi con il centro emozionale, dovremmo farlo dal centro intellettuale, e viceversa.

Il punto qui non è tanto entrare in competizione con l'altro, quanto diventare attivi. Reagire con lo stesso centro con cui siamo apostrofati vuol dire subire passivamente le influenze a cui siamo sottoposti; fermare la catena meccanica delle associazioni e passare a un altro centro vuol dire Lavorare.

Ogni bravo venditore lo sa: a una lamentela fatta dal centro istintivo (quindi contenente emozioni negative) egli deve rispondere dal centro intellettuale o emozionale, perché se rispondesse dallo stesso centro, rischierebbe di perdere il cliente.

Questo discorso si ricollega a un aforisma che leggiamo qualche pagina dopo: "Non lavorare contro la forza contraria, ma con essa". In questo caso, se al centro istintivo altrui oppongo il mio, sto operando contro la forza contraria; se adopero intenzionalmente un altro centro, sto usando la forza contraria per essere più presente, ovvero sto Lavorando con essa.

Giova ricordare che essere più efficienti nella vita non è lo scopo del Lavoro. Con questa pratica, questi aggiustamenti di tiro, non accediamo necessariamente a uno stato superiore di coscienza: stiamo semplicemente contenendo il sé inferiore, impedendogli di prendere troppo spazio. 

Le fronde onde s’infronda tutto l’orto
dell’ortolano eterno, am’io cotanto
quanto da lui a lor di bene è porto.

mercoledì 25 novembre 2015

Psicosi di massa


Further Teachings of Gurdjieff di C.S. Nott è un libro che accenna più volte all'atteggiamento con cui Gurdjieff visse gli anni turbolenti della Seconda Guerra Mondiale.

Gurdjieff non rispondeva alle mie domande sulla guerra imminente, ma diceva piuttosto che non bisognava lasciarsi prendere dalla psicosi di massa, che occorreva lottare per affrontare in modo intelligente qualsiasi situazione si presentasse (p. 123; mia traduzione).

Arrivarono degli studenti americani che avevano lasciato Parigi subito prima dell'arrivo dei tedeschi. Gurdjieff li aveva ammoniti a non lasciarsi irretire dall'onda della psicosi di massa e a "contenersi" - 'Iramsamkeep', "io conterrò me stesso" (p. 167).

Secondo questo libro, evitare la psicosi di massa significa anzitutto "porre il Lavoro tra se stessi e la vita". Abbiamo in noi le terrificanti gargoyle di Notre Dame, scrive Nott, e dobbiamo guardarle in modo indiretto, altrimenti ci pietrificherebbero come la testa di Medusa: tra noi e loro ci devono essere le idee dell'Insegnamento, ovvero l'auto-osservazione e il ricordo di sé. 

Quando Kathryn Hulme andò a trovare Gurdjieff nella Parigi appena liberata, ebbe l'impressione che lui fosse ignaro degli eventi principali del conflitto, e glieli riassunse. Uno dei modi di restare indenni alla psicosi di massa potrebbe dunque essere esporsi il meno possibile all'influenza dei mass media, ma in realtà non sappiamo se Gurdjieff, di fronte alla studentessa in divisa dell'esercito americano, non stesse simulando. Più sicuro sembra il fatto che egli non si lasciò mai andare a esprimere degli "io" sulla guerra. Il silenzio di fronte all'attrito fu probabilmente una ricetta per la salute interiore e allo stesso tempo "un modo intelligente" di affrontare la situazione.

Anche se gli eventi erano contro Gurdjieff e la sua vita esteriore sembrava in un'ottava discendente, quella interiore era su un'ottava ascendente, perché lui aveva fatto uso di ogni circostanza ed evento per accrescere il suo essere e quindi la comprensione (p. 71).

La psicosi di massa di ottanta anni fa sembra ricorrente; oggi come ieri, dare troppa attenzione alle notizie che la generano può pietrificarci: in questi momenti si capisce più che mai perché l'Insegnamento viene paragonato a "un'Arca in cui si può trovare riparo dal diluvio", contenente "i semi da cui possono svilupparsi una cultura e una civiltà autentiche" (p. 113).

Le fronde onde s’infronda tutto l’orto
dell’ortolano eterno, am’io cotanto
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martedì 24 novembre 2015

Il cibo del Maestro


Circa un giorno dopo, [Gurdjieff] mi chiamò nella sua dispensa. Questa dispensa, che sarebbe divenuta famosa, traboccava di ogni sorta di cibo delizioso da ogni parte d'Europa e del Medio Oriente ... Gurdjieff prese tre grandi scatole che riempì con venti diverse leccornie: dolci, salumi, marmellate ecc. "Ora", disse, "portane una a Madame Ouspensky" ... Inutilmente [Madame Ouspensky] cercò di dissimulare la gioia quando aprii il pacco per lei." (C.S. Nott, Further Teachings of Gurdjieff)

Quello che fa l'allievo alla presenza del Maestro, è assorbire. In superficie ascolta, assapora l'eventuale cibo (in India: prasada): di questo, nulla va rifiutato. È trasmissione di conoscenza, ed essa non deve incontrare barriere. Improprio, interrompere le parole magistrali con obiezioni: si arresterebbe il flusso. Leggendo le trascrizioni in altro luogo e momento, qualcuno potrebbe dire: "Non sono d'accordo", ma in quegli istanti il disaccordo è impossibile. Le parole sono solo un veicolo. Il cibo che viene offerto dal Maestro nutre a un altro livello e non fa mai male. La cucina di Gurdjieff è il tinello della festa perpetua, del Natale magico. Si ritorna bambini, e da lì si è presenti. 

In certi momenti, a un osservatore esterno l'evento potrebbe sembrare insignificante: una cucina qualsiasi, un pasto, parole normali. Ma l'allievo sa che a un certo punto verranno dette parole significative, dietro l'evento ordinario si scorgerà in filigrana il miracoloso. C'è solo da restare passivi e bere, mangiare nei due mondi. Mangi con la bocca, e allo stesso tempo il cuore si impregna. Odi cose discutibili, vorresti intervenire, controbattere: ma sei oltre. Colano su di te le stelle, in quei momenti. È tutto giusto, tutto sacro: tacendo hai superato una prova e l'esperienza può diventare più profonda. A Roma, nell'oratorio di S. Barbara al Celio, si conserva la mensa di S. Gregorio: quando lui distribuiva il cibo ai poveri, alla sua tavola "appariva un angelo". Il cibo del Maestro, ricevuto in "povertà di spirito", diventa "pane degli Angeli".

Fu detto qualcosa sull'accattivarsi i sentimenti altrui. Io osservai: "In Inghilterra, dicono che per un uomo la via al cuore passa attraverso lo stomaco". Gurdjieff commentò: "Vedi, persino in Inghilterra ogni tanto dicono qualcosa di interessante!". (C.S. Nott, Further Teachings of Gurdjieff)

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domenica 15 novembre 2015

In viaggio


Il rientro, martedì 24.

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venerdì 13 novembre 2015

Edizioni inglesi, edizioni italiane


All'inizio di questo blog segnalai che a mio avviso era preferibile leggere l'originale edizione inglese de L'inconoscibile Gurdjieff anziché la versione italiana. Recentemente, ho pensato lo stesso per altri libri. 

Come ho scritto nei giorni scorsi, Tu l'amerai di T. Tchekovitch è la versione italiana del libro intitolato Gurdjieff: A Master in Life. I due libri sono quasi identici, ma la versione inglese ha delle frasi in più che spiegano meglio il Lavoro interiore (forse aggiunte in un'edizione successiva?).

Gli appunti di Diana Huebert, a cui ho accennato ieri, riportano questo aneddoto che sarebbe stato narrato da Fritz Peters. Non ricordo di averlo letto nei libri gurdjieffiani di quest'ultimo, nemmeno in inglese. Potrebbe essere stato eliminato in edizioni successive (ipotesi corroborata dal fatto che persino questi appunti privati rimproverano Peters per aver riferito in modo incompleto l'episodio). Lo riporto in inglese:

Some members did not survive the shocks and turned from Gurdjieff forever as a teacher. Others were so badly shaken in the upheaval that it was some time before they were able to confront the weakness which Gurdjieff had attempted to expose and uproot with such force.
Fritz Peters has recounted the story of one couple who followed Gurdjieff to New York shortly after his last visit to Chicago, giving up their jobs and uprooting their lives to continue their work in closer proximity to the Master. Their young daughter of fourteen accompanied them and it is quite possible that their move was prompted in part in order that she at an impressionable age would have this early exposure to Gurdjieff and his work.
Mr. Peters did not relate certain facts bearing on the case. But Gurdjieff was aware of the innermost weaknesses and immaturities of their individual natures which had caused each to take a lover although ostensibly holding the marriage intact. Thus when Gurdjieff suggested in dead seriousness and with all the innuendo and subtlety of which he was capable that their daughter become his mistress, they being blind to their own inner state were dealt a blow in the area of the erotic by means of the daughter. Their prurient horror of this base suggestion shattered their faith in Gurdjieff as a teacher which was echoed by another couple, members of our group, who were aunt and uncle to the young girl. To my knowledge, the parents were unable to face their reflection in the mirror and never returned to group work after their hasty departure. The second couple I learned later had become members of the theosophical society.

Da ultimo, segnalo che Gurdjieff e le donne della Cordata di W.K. Patterson (Ladies of the Rope) ha un complemento molto interessante nel libro uscito tre anni dopo, The Women of the Rope, non tradotto in italiano. Esso è la raccolta integrale degli appunti di Kathryn Hulme e Solita Solano, presentata senza commenti.

Le fronde onde s’infronda tutto l’orto
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giovedì 12 novembre 2015

Un doppio ricordo


Diana Huebert fu una danzatrice classica di Chicago, abbastanza nota - sembra - negli anni Venti e Trenta. Dal 1932 al 1935 frequentò assiduamente Gurdjieff. Di quegli incontri, ci ha lasciato deliziosi appunti scritti negli anni Settanta e mai pubblicati. Da essi è tratto il seguente passaggio:

[Diana ha appena manifestato a Gurdjieff il dubbio se continuare a praticare danza, in quanto si sente troppo avanti con gli anni.]
Quando ebbi finito, Gurdjieff si alzò dalla scrivania e venne verso di me. Con grande emotività, mi disse:
"Da dove vengo io, nei monasteri, ci sono molti ottimi danzatori, a tutti gli stadi di sviluppo e di ogni età. Solo i danzatori più anziani, però, hanno il permesso di danzare nei templi. Solo chi ha finito anni e anni di apprendistato. Solo le donne più anziane danzano nei riti. E sono tutte fuoco... tutte perfezione... i loro movimenti sono meravigliosi... ogni cosa viene eseguita con precisione. Tutte queste donne sono anziane, superano i sessanta anni, ma danzano come Dee".

Gurdjieff qui appare come un uomo che per tutta la vita ha portato nel cuore il ricordo non solo di se stesso, ma anche degli Amici con cui ha Lavorato. 

Ordinariamente, quando un uomo si separa dalla sua comunità spirituale, comincia a perdere il Lavoro. Con il tempo, potrebbe anche convincersi che Esso non esiste e lui è stato vittima di un'allucinazione. Per fortuna, esiste anche un punto oltre il quale si crea "una tendenza permanente a evolversi": in quel caso, ovunque si vada, l'Insegnamento resta con noi. A una condizione: che si continui a fare pagamento. La stessa Huebert ci racconta, a esempio, che in cucina Gurdjieff indossava volontariamente un grembiule sporco, in quanto ciò gli dava naturalmente fastidio. 

Lasciava intenzionalmente quelle macchie come sofferenza volontaria ... "Lo faccio per oppormi al fastidio 'schiavizzante'." Questa fu una lezione oggettiva per me e gli altri. Il Maestro usava continuamente ogni mezzo come fattore di Ricordo

Del resto, un altro dei possibili pagamenti è proprio fare lo sforzo di ritrasmettere l'Insegnamento in altre terre, lontano da dove lo si è ricevuto: il che costituì buona parte della vita adulta di Gurdjieff.

Anche se l'Insegnamento viene tenuto in vita dentro di noi, però, resta indelebile il ricordo di chi ce lo ha trasmesso, soprattutto se era un'intera comunità di persone che Lavoravano. Stare vicino a queste persone, percepirne "la Bàraka" (termine islamico impiegato dalla Huebert per indicare l'energia sottile), poteva già essere una forma di ricordo di sé. E quando ci ricordiamo di noi stessi... ce lo ricordiamo.

Le fronde onde s’infronda tutto l’orto
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mercoledì 11 novembre 2015

Il lavoro fisico


Quando si svolge un lavoro fisico, la mente potrebbe vagare per conto proprio e perdersi nei sogni a occhi aperti. Questo non va bene, perché "Niente è così degenerante per la mente come lasciare che vi scorra un flusso di immagini senza fare alcuno sforzo per digerirle" (Orage, Incontri con Gurdjieff).

Siamo a conoscenza di alcuni esercizi che venivano assegnati da Gurdjieff affinché la macchina umana svolgesse il lavoro fisico in modo più armonioso. Il seguente passo è tratto da Tchekovitch, Gurdjieff, a Master in Life, versione diversa e più interessante dell'italiano Tu l'amerai

Al mattino, dopo colazione, ci recavamo al lavoro che ci era stato assegnato. Ogni giorno ci veniva dato un esercizio interiore, il cui scopo era aiutarci a raggiungere uno stato più elevato di consapevolezza. Questi esercizi richiedevano una relazione più equilibrata tra le principali funzioni: fisica, emozionale e intellettuale. Gli esercizi erano costantemente cambiati, potevano essere molto complessi e sembravano venire da un repertorio infinito.
Una volta ci veniva chiesto di effettuare operazioni aritmetiche usando, al posto dei numeri, sedici nomi femminili. Anziché dire che 16 meno 12 dava quattro, a esempio, dicevamo che Nina meno Ada dava Maria, o che Maria moltiplicata per Nina dava Anna Maria, che significava 64 ... Era interessante vedere come il tempo potesse sembrare molto lungo quando i nostri sforzi restavano meccanici, o molto corto quando la nostra attenzione e presenza si liberavano.
In generale, eravamo messi duramente alla prova, ma la ricompensa valeva lo sforzo. Tutta questa ginnastica mentale, figlia di un'esuberante ingegnosità, provocava un alto livello di concentrazione, il risultato finale del quale era la liberazione di un'attenzione indipendente non più soggetta a quelli che il sig. Gurdjieff chiamava "meccanismi associativi".

Ho riportato questa lunga citazione (la traduzione è mia) affinché il lettore italiano possa rendersi conto della differenza con l'edizione nostrana (capitolo "Lavoro").

L'esercizio accennato da Tchekovitch è simile agli "Esercizi con i numeri" nn. 23 e 24 di A.R. Orage, Psychological Exercises. Poiché anche Orage aveva lavorato al Prieuré, gli esercizi del suo libro possono venire direttamente da Gurdjieff, almeno in parte.

In C.S. Nott, Teachings of Gurdjieff, troviamo una variante di questi esercizi, più tradizionale ed emozionale: l'uso del canto ritmico. Essa venne spiegata, durante una dimostrazione newyorchese delle danze sacre, da Olga de Hartmann: 

Questi esercizi sono parte del lavoro ritmico dell'Istituto, ovvero del lavoro manuale effettuato ritmicamente. Essi erano comuni in Oriente, dove si suonava musica durante l'esecuzione di lavori manuali, per accrescere la produttività. Fu grazie all'accompagnamento della musica che molte delle costruzioni colossali del Medio Oriente vennero erette, come è noto dalle incisioni ... Le osservazioni compiute all'Istituto Gurdjieff hanno mostrato che con musica ritmica la produttività di un gruppo aumenta da cinque a venti volte, rispetto al lavoro svolto singolarmente.

Nott commentava:

Nella fabbrica di mio padre, il lavoro veniva svolto manualmente, e ogni volta che le ragazze cominciavano a cantare spontaneamente insieme, lavoravano di più e meglio. Ora tutto questo sembra scomparso a causa della pianificazione e dell'automatismo. Il ritmo umano nel lavoro, che è una cosa istintiva ed emozionale, è stato sostituito dal ritmo non-umano della macchina e della catena di montaggio. Un profondo bisogno istintivo resta insoddisfatto e questo porta alla brama di cose abnormi, se non addirittura al crimine.

Sembrerebbe che, tenendo intenzionalmente attivi i nostri centri, non solo siamo più armoniosi, ma ci viene anche meglio l'attività fisica. Dalla divisione intenzionale dell'attenzione traggono vantaggio sia il Lavoro che il lavoro. La prossima volta che facciamo qualcosa di manuale, cerchiamo di ricordare tutto ciò.


Le fronde onde s’infronda tutto l’orto
dell’ortolano eterno, am’io cotanto
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martedì 10 novembre 2015

Lezioni di Economia


L'otto aprile 1924, a New York, un uomo chiese a Gurdjieff con quali soldi mantenesse il suo Istituto. La risposta di Gurdjieff costituisce l'ultimo capitolo del libro Incontri con uomini straordinari e comincia così: "La domanda che lei mi pone, stimatissimo dottore, ha sempre incuriosito una quantità di gente intorno a me".

Novantuno anni dopo, la situazione non è cambiata. Gli studenti di Quarta Via si sentono spesso chiedere: "Come si manteneva, Gurdjieff?". Il sottinteso è che se lo mantenevano i suoi studenti, era un personaggio sospetto. Eppure, in tutto il mondo gli uomini di religione (preti, monaci, cardinali, papi) vengono mantenuti volontariamente dai loro fedeli. Se fosse stato così anche per Gurdjieff, non sarebbe uno scandalo.

Il fatto è che lui costituisce un'eccezione. Salvo circostanze particolari, i soldi posseduti da Gurdjieff venivano da altri lavori. "Ho molti ruoli nella vita... Fa parte del mio destino. Tu pensi che io sia un maestro, ma in realtà [...] ho molte attività", disse Gurdjieff a Fritz Peters (I miei anni con Gurdjieff). Alcune di queste attività sono elencate nel succitato capitolo di Incontri: compravendita di azioni petrolifere, perizie di beni antiquariali, gestione di due ristoranti parigini. A proposito di quest'ultima, esiste un aneddoto curioso: Gurdjieff sfidò ai fornelli lo scultore Constantin Brancusi e il giudice fu Ezra Pound. La palma del vincitore andò al primo (P.B. Taylor, Real Worlds of Gurdjieff). Negli anni Quaranta, Gurdjieff disse a Fritz Peters: "Ho un fiorente commercio di tappeti e possiedo una fabbrica di ciglia finte" (I miei anni con Gurdjieff). P.B. Taylor, storico della Quarta Via, scrive che nel '39 Gurdjieff andò in America con numerose scatole di ciglia finte da vendere (Gurdjieff - A New Life). Come capitò che uno dei maggiori insegnanti spirituali del XX secolo avviasse una simile attività imprenditoriale, non è chiarissimo. Più note sono le sue attività di guaritore e taumaturgo, che gli consentirono di vivere dignitosamente nella Parigi occupata dai nazisti.

In tutte queste attività, Gurdjieff dovette avere un discreto successo, se è vero che per lunghi anni mantenne i suoi famigliari e aiutò (soprattutto durante la guerra) centinaia di persone in difficoltà. Già il primo giornalista occidentale che si occupò di Gurdjieff, C.E. Bechhofer Roberts, in A Journey Through Georgia (1921), scrisse: "[Gurdjieff] non sfrutta i suoi allievi; al contrario, mantiene molti di loro tramite le sue sempre più sottili finanze".

Per l'Istituto e "l'Opera" il Maestro caucasico accettava donazioni, ma (almeno all'inizio) con riluttanza. Lo stesso Fritz Peters faticò a regalargli un migliaio di franchi, alla fine della guerra. Perché? La risposta affonda le radici nell'Insegnamento e si trova sempre alla fine di Incontri: "I miei amici e le persone che provavano interesse o simpatia per le mie idee mi avevano varie volte proposto del denaro, ma io avevo sempre rifiutato, anche nei momenti difficili, perché preferivo superare gli ostacoli con i miei propri sforzi".

Qui è dove il discorso si fa pratico e contiene una lezione, per uno studente di Quarta Via. Quando Gurdjieff diceva che il Lavoro cominciava dal livello del buon padre di famiglia, sapeva di cosa parlava. Egli per primo incarnava le sue parole: "Nessuna via può cominciare a un livello inferiore a quello dell'obyvatel [il buon padre di famiglia]... La capacità di orientarsi nella vita è, dal punto di vista del Lavoro, una delle qualità più utili. Un buon obyvatel è di levatura tale da far vivere con il proprio lavoro almeno una ventina di persone" (P.D. Ouspensky, Frammenti).

Alla domanda "Come si manteneva Gurdjieff?", si può allora rispondere: "Lavorando tanto da mantenere più di una ventina di persone".


Le fronde onde s’infronda tutto l’orto
dell’ortolano eterno, am’io cotanto
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lunedì 9 novembre 2015

I lunedì della poesia - Il corridore di Maratona



1
Sono felice,
i sensi distesi sul piano,
il verde i fiumi il cielo
le mie spinte,
ad Atene trasmetterò tutto
– paesaggi ascese cadute,
già dissemino le parole affidate,
il mio messaggio non è un compito 
   – un regalo,
       la campagna mi giunge incontro,
foglie e insetti.

Ricordo l’inizio della corsa:
case involate nell’azzurro,
cristalli e polvere,
   la vita ricominciava altrove,
dieci cento metri più in là,
                  distintamente vedevo il giorno frangersi,
le ore ricomporsi in nuova forma,
   innumeri destini battere col mio
al fondo del viaggio.

Ora corro senza sosta,
avvicino le stelle alla loro meta,
con segno chiaro
le spighe approvano il viaggio
– Riavvolgo
lo scorrere della terra sotto di me,
so essere più grande della strada mancante,
tutto è già percorso,
ogni falcata un abbraccio.

C’è realtà alla fine,
i respiri un solo grande fiato,
prende nuova forma Atene,
esce dalla campagna,
portici e tende, tori,
la destinazione in ogni passo,
giungo al destino di ogni uomo:
ripetere
– finita è la corsa, trasmesso il messaggio,
ora un’altra ascesa.



Le fronde onde s’infronda tutto l’orto
dell’ortolano eterno, am’io cotanto
quanto da lui a lor di bene è porto.

domenica 8 novembre 2015

Una religione scenografica


Intorno al 1937, Kathryn Hulme raccontò a Gurdjieff il nuovo fenomeno dei predicatori religiosi americani, in particolare di Aimee Semple McPherson. Quest'ultimo teneva sermoni in stile hollywoodiano, facendosi accompagnare da un'orchestra, sullo sfondo di un plenilunio e con luci colorate roteanti. Il commento di Gurdjieff fu "l'opposto di quanto ci aspettavamo: 'Questo dimostra che la gente ha fame di qualcosa di più', disse gravemente. 'Ogni anno, sulla terra, appaiono cose del genere: l'anno scorso, in Russia. Non sono una cosa negativa. Persino tale fraintendimento è meglio del vostro fox-trot. Non importa quanto poco contenuto abbia, per la gente ha sempre qualche realtà...'" (Undiscovered Country).

Forse, se le donne della "Cordata" avessero conosciuto Gurdjieff prima degli anni Trenta, la loro sorpresa sarebbe stata minore. Lo scenografo delle rappresentazioni delle danze gurdjieffiane ai Champs-Elysées e in America era stato Alexandre de Salzmann, "artista celebre in Europa, considerato il maitre des lumiéres tra i più geniali dell'epoca". Quest'ultima citazione è tratta dalla monografia di Carla di Donato, Alexandre de Salzmann e la scena del XX secolo, testo dedicato allo studente di Gurdjieff che fu marito di Jeanne de Salzmann. Prima di incontrare Gurdjieff, Salzmann era diventato famoso per i suoi allestimenti a Hellerau, in particolare per l'impianto di illuminazione che da lui prese il nome (1912-13): 3000 lampadine bianche e blu poste dietro un velario. Questo particolare sistema di illuminazione fu ricostruito negli anni Settanta a San Francisco, per effettuare delle rappresentazioni filmate dei Movimenti gurdjieffiani. La poetica di de Salzmann fu così riferita da Artaud: "Il teatro ... è fatto per trasgredire il mondo dei sensi. La vita dei sensi, la viviamo quotidianamente. Se il teatro non serve a superare noi stessi, a cosa servirà?". Secondo la Di Donato, la luce di de Salzmann serviva a "vedere l'invisibile" (Alexandre de Salzmann e la scena del XX secolo).

Questo spettacolo di luci e colori era ovviamente cibo per il centro emozionale. Quando le donne della Cordata videro la Messa ortodossa, Gurdjieff ne fu felice: avevano avuto una "feeling experience", un'esperienza emozionale. "Per tutto, nella vita, esiste un'usanza. Solo in America l'usanza non si sa cosa sia. L'america non ha altro che l'usanza del fox-trot!". Invece, uno spettacolo come il Natale ortodosso "opens up all your feelings", apre tutte le tue emozioni. Forse, nelle case di Gurdjieff, le imposte erano sempre chiuse e le luci accese perché l'illuminazione - un certo tipo di illuminazione - per il Maestro caucasico era importante.

Dunque, non è strano che ancora oggi in Quarta Via vi sia l'usanza di tenere gli incontri con una particolare cura per le impressioni, dall'ambiente all'abito. Lord Pentland faceva indossare la cravatta ai suoi studenti e Gurdjieff stesso, l'unica volta che entrò nella cattedrale di Chartres, ne indossò una (The Gurdjieff Years). Il linguaggio delle immagini può aggiungere qualcosa di più alle parole.

Le fronde onde s’infronda tutto l’orto
dell’ortolano eterno, am’io cotanto
quanto da lui a lor di bene è porto.

venerdì 6 novembre 2015

Il Padre Nostro


Il discorso con cui Ouspensky introdusse l'esercizio della preghiera incessante, riferito da Bennett, sembra essere quello riportato alle pagg. 277-281 di Un nuovo documento. Le date non corrispondono, ma gli elementi ci sono tutti: l'uso del Padre Nostro, la ripetizione in più lingue, il conteggio e il tentativo di mantenere l'esercizio anche mentre si legge e si parla.

Il discorso è l'ultimo del libro succitato, prima del "Frammento autobiografico" di chiusura. L'esercizio, dice Ouspensky, può aiutare a ricordare se stessi e a mantenere l'attenzione ("Come dovete già sapere, queste due cose sono quasi equivalenti, perché l'una non può esistere senza l'altra... O almeno il ricordo di sé non può esistere senza l'attenzione"). L'esercizio della ripetizione di una breve preghiera va associato al respiro e al digiuno, "altrimenti ben presto diventa troppo facile. Voglio dire che risveglia l'attenzione solo all'inizio". Per tale motivo, Ouspensky decise di tentare con una preghiera lunga: il Padre Nostro. Lo scopo restava quello di risvegliare il centro emozionale, ovvero "farlo lavorare più intensamente". Secondo Ouspensky, mentre la ripetizione di una breve preghiera era descritta in diversi testi, quella di una preghiera lunga come il Padre Nostro non era trattata in nessun libro tradizionale, anche se lui poté ascoltare direttamente la descrizione di tale metodo. 

Come scrive Bennett nella sua autobiografia, per conservare il più a lungo possibile l'attenzione, si possono usare diverse lingue o contare le ripetizioni, con le dita o un rosario: "In questo modo la ripetizione non potrà sfuggire all'attenzione". L'idea di questa forma di ripetizione, dice Ouspensky, è "creare una nuova funzione ... che a un certo momento passerà da un centro all'altro, divenendo inconsapevole (quando è nei centri meccanici) e poi nuovamente consapevole, quando giungerà nelle parti superiori dei centri. Questa funzione ... attraversando tutti i centri ... può diventare il mezzo per passare ai centri superiori". Se si mantiene la ripetizione mentre si legge, vuol dire che essa è passata al centro motorio; se mentre si parla, al centro istintivo. "Ma queste capacità sono molto lontane", concluse Ouspensky, anche se Bennett avrebbe poi scritto che in dodici anni sarebbe riuscito a realizzare tutti i passaggi.

Un testo in cui si può leggere Gurdjieff parlare di argomenti simili è Undiscovered Country di Kathryn Hulme. Non ci viene detto con esattezza quali esercizi Gurdjieff assegnasse alle donne della "Cordata", ma poiché andavano effettuati con un rosario da portare sempre con sé, nascosto in tasca, si può ipotizzare che si trattasse della ripetizione interiore di una formula verbale. Il fatto che Gurdjieff additasse come esempi gli orientali che sgranavano rosari al caffè rafforza questa ipotesi. Questi esercizi, scrive Hulme, andavano fatti tutti i giorni, in tutte le condizioni. L'idea del conteggio affiora in questo passaggio: "Non li farete una sola volta... Non li farete cento volte... Li farete mille e una volta, e allora forse qualcosa accadrà. Ora è tutta immaginazione, ma presto o tardi diventerà un fatto, perché il vostro animale è 'law-able', [sensibile alla legge, soggetto alla legge]". Coincidenza: mille volte al giorno era il numero di Padri Nostri che Bennett giunse a ripetere ogni giorno.

Poco prima, a pag. 93, a proposito del pensiero associativo involontario (ovvero dell'immaginazione) Gurdjieff aveva detto: "Non potete mai fermare le associazioni. Finché respirate, le associazioni avvengono: sono automatiche. Pertanto, con questo esercizio non dovete cercare di arrestarle; lasciate che le associazioni fluiscano, ma non siate attive. Con l'altra parte della mente, invece, lavorate a questo nuovo esercizio, che è attivo. Ben presto, scoprirete di avere il principio di un nuovo tipo di 'cervello', e allora l'altra parte diventerà completamente passiva. È molto importante che conosciate il corpo come un tutto, in questo esercizio. Molto importante". La "nuova funzione" di Ouspensky sembra corrispondere al "nuovo cervello" di Gurdjieff.

Che Gurdjieff assegnasse ripetizioni in lingua straniera, lo racconta Louise March a proposito del giovane Michel de Salzmann. 

In conclusione, non sembra inverosimile che Gurdjieff e Ouspensky insegnassero esercizi simili per lo sviluppo dell'attenzione.

Un'ultima osservazione. Tornando a Undiscovered Country, prima di cominciare un nuovo esercizio Gurdjieff faceva giurare che esso non sarebbe stato usato solo per se stessi, ma per tutta l'umanità. Secondo Kathryn Hulme, questo voto di beneficiare tutti attraverso la propria pratica aveva "un effetto potentissimo".


Le fronde onde s’infronda tutto l’orto
dell’ortolano eterno, am’io cotanto
quanto da lui a lor di bene è porto.

giovedì 5 novembre 2015

Dopo Gurdjieff


Dopo la morte di Gurdjieff e Ouspensky, diversi loro studenti si rivolsero ad altre vie spirituali. Sul versante ouspenskyano, Francis Roles passò all'induismo attraverso il guru Shantananda Saraswati, Rodney Collin al cattolicesimo. Sul versante gurdjieffiano, si convertirono al cattolicesimo Bennett e Kathryn Hulme. Com'è noto, Bennett ebbe anche frequentazioni sufi. Lo studente gurdjieffiano Pierre Elliott nel 1977 venne nominato "sheikh mevlevi" in una confraternita derviscia. William Segal divenne buddhista zen, Paul Anderson si rivolse al buddhismo tibetano. Hugh Ripman racconta nella sua autobiografia di incontri con insegnanti zen, sufi, taoisti. Ethel Merston, la coordinatrice del Prieuré di cui ci ha lasciato un ritratto impietoso Fritz Peters, andò a vivere in India negli anni Trenta e divenne devota di Ramana Maharshi. Di quest'ultimo, ha scritto: "Se ho capito qualcosa della sua tecnica di auto-indagine, è solo grazie a Gurdjieff". Qualcosa di simile è raccontato da Bennett nella sua autobiografia, a proposito del Subud, e su Roles a proposito delle sue frequentazioni indiane. 

L'autodisciplina appresa in Quarta Via è una chiave per accedere a pratiche così diverse. Poiché la Quarta Via è fatta per essere praticata sempre e dovunque, il suo pilastro, il ricordo di sé, funziona anche tra i sufi e nei dojo zen. Anzi, secondo Ouspensky, se uno non ricorda se stesso, non può meditare.

Esplorando altri cammini, molti di questi "transfughi" avevano la sensazione di stare continuando in altra forma il Lavoro di Gurdjieff, se non addirittura di stare adempiendo un obbligo nei suoi confronti. Si trattava di un arricchimento reciproco: la pratica della presenza appresa in Quarta Via rendeva più proficue le altre tecniche, queste ultime a loro volta sembravano aprire nuovi scenari nel Lavoro o favorire il superamento di un intervallo. Secondo Bennett, "il metodo di Gurdjieff dipendeva per la sua efficacia dalla sua presenza, per cui alla sua morte divenne ineffettivo. Più precisamente, esso dipendeva dalla trasmissione di una particolare energia o sostanza che Gurdjieff possedeva in quantità limitata" (Bennett, Transformation). A detta di Bennett, altri studenti gurdjieffiani (Reginald Hoare, Aubrey Wolton) erano giunti alla conclusione che "era impossibile seguire il sistema di Gurdjieff senza il suo personale aiuto" (Bennett, Subud). Inoltre, prima di morire il Maestro caucasico gli avrebbe detto: "Non resterai solo, dopo di me verrà qualcun altro" (Bennett, Witness).

A fronte di queste posizioni, ci furono quelli che invece ritenevano tali sconfinamenti deviazioni dal vero Lavoro. Secondo James Moore, "Il fiume dell'esoterismo ... si indebolisce, non si rafforza, attraverso l'incauta contaminazione con affluenti tributari" (da W.J. Thompson, J.G. Bennett's Interpretation of the Teachings of Gurdjieff).

Ma con l'eccezione di Ethel Merston e Kathryn Hulme, tutti i personaggi citati in apertura hanno una cosa in comune: sono stati insegnanti di Quarta Via, per gruppi più o meno grandi, sino alla fine dei loro giorni. La sensazione è che se fossero rimasti immuni a "contaminazioni", ciò non sarebbe successo.


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mercoledì 4 novembre 2015

La lotta tra il sì e il no


La fusione, l'unità interiore, si ottengono per mezzo dell'attrito, della lotta tra il sì e il no all'interno dell'uomo. Gurdjieff (riferito da P.D. Ouspensky, Frammenti).

Cos'è questa lotta tra il sì e il no? Boris Ferapontoff, segretario di Gurdjieff morto nel 1930, ce ne ha lasciato nei suoi appunti un'interpretazione: "Si può accrescere l'energia solo mediante la lotta tra il sì e il no. Se vuoi una cosa, fanne un'altra. Il risveglio ha bisogno di energia. La cosa più difficile è vedere il proprio desiderio dominante".

Tornano alla mente gli Incontri gurdjieffiani in tempo di guerra: "Crea una lotta tra la tua testa e il tuo animale ... Tu sai meglio di me con cosa lottare. Per esempio, se al tuo corpo piace qualcosa, se è abituato a riceverla, non dargliela più. La cosa importante è avere in sé un processo continuo di lotta, perché hai bisogno della sostanza che quella lotta ti darà" (Meeting Fifteen); "In te hai un cane che ti ostacola in tutto ... Devi distruggere questo cane" (Meeting One, 7/12/41); "Il corpo è un animale ... esso deve capire che deve obbedire, non comandare. Metti ognuno al suo posto" (Meeting Eighteen); "Fai l'opposto di ciò a cui il corpo è abituato. Fallo soffrire. Questo è l'unico modo di sviluppare la forza che ti manca" (Meeting Twentyfour, 20/4/44).

La lotta tra il sì e il no sembra dunque quella tra l'uomo e il suo animale. L'animale dice "Sì, voglio questo", e l'uomo "No", affinché il corpo capisca "che deve obbedire, non comandare". L'esempio che viene fatto spesso è quello della golosità, in particolare degli zuccheri. Bisogna sempre cominciare sulla piccola scala, con obbiettivi fattibili. Il Buddha disse che il cavallo migliore era quello che obbediva alla sola ombra della frusta: quando il corpo si rende conto che comanda qualcun altro, ubbidisce velocemente.

Tornando agli appunti di Ferapontoff (inediti in italiano, ma preziosi perché sono l'unica trascrizione delle conferenze costantinopolitane di Gurdjieff): "Bisogna cominciare con abitudini molto piccole. A volte sono difficili da vincere, perché sono connesse alle altre. Se uno sconfigge un'abitudine, ne scompariranno molte altre"; "Se ogni lotta è concentrata sull'accrescere la consapevolezza, non può avvenire una fusione sbagliata"; "Il metodo è individuale; qualcuno può avere bisogno di una cosa, qualcun altro di un'altra. Qualcuno potrebbe non avere bisogno di distruggere i suoi piccoli io, ma di acquisirne di nuovi".

La citazione finale introduce un elemento di relatività. Non ci sono formule universali, percorsi che vanno bene per tutti. Tanto meno ci sono parti del Sistema che possono essere applicate trascurando tutte le altre. Per quante istruzioni ci vengano date, alla fine dovremo sempre imparare a reggerci sulle nostre gambe.

Le fronde onde s’infronda tutto l’orto
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martedì 3 novembre 2015

"Tango"


Guardiamo il cortometraggio Tango (1981) di Zbigniew Rybczynski.

Trentasei personaggi, uno dopo l'altro, entrano ed escono da una stanza, ripetendo ossessivamente le stesse azioni. Alcuni interagiscono, ma la maggior parte è chiusa nel proprio mondo. 

Si avverte subito che questo film breve (premio Oscar 1983 per i cortometraggi) parla di noi. La stanza caotica del film richiama una metafora famosa: la "casa" gurdjieffiana nella quale, in assenza del padrone, regna il caos. Quasi tutti i personaggi agiscono come se non esistesse nessun altro, le interazioni sono minime e i gesti meccanici. Queste persone rappresentano i nostri io, o "diecimila idioti": tranne in un caso, il loro copione è scritto e privo di varianti. 

Il primo "io" a entrare in scena è un bambino, l'ultimo una persona anziana che per un attimo, sdraiata a letto, sembra morente. Il bambino perde la palla, la recupera e la riperde, incessantemente: da questo prende il via la catena degli io compulsivi, rappresentanti le età della vita e le occupazioni dell'uomo (manca però una figura religiosa).

Tutti i personaggi si sfiorano come in un balletto surreale (da qui forse il nome Tango), senza mai entrare davvero in contatto. Intorno al minuto 6:30 la stanza è così ingombra da sembrare priva d'aria: siamo nello stato di immaginazione prolungata, quando gli io hanno preso tutto lo spazio e l'anima non può respirare. 

Il "balletto" asfittico termina allorché l'oggetto apparso per primo, il pallone perduto, lampeggia e viene prelevato dall'ultimo personaggio. Nell'unico gesto fuori dal copione, la sola variante imprevista ("non meccanica"), il personaggio anziano prende questo pallone e lo porta con sé attraverso un'altra uscita ("la crepa nel muro della meccanicità"?). Dal bambino all'anziano, la parabola della vita si è conclusa. La sfera rotolante che ha dato il via alla giostra viene portata via e tutto torna come al principio: nella stanza non è cambiato nulla, perché tutte le azioni che abbiamo visto erano irreali.

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lunedì 2 novembre 2015

I lunedì della poesia - Francesco 2


4. Tutti coloro che su queste strade
vedete correre dietro al profitto
portano via la luce dal denaro,
perché si dimenticano di sé.
Altrimenti, il denaro è così bello
che anche quando ce ne stacchiamo,
ci illumina. Ma la sua luce
è un riflesso: se gli levate il sole,
si spegne. Voi dovete essere caldi,
quando adoperate le monete –
assolutamente passionali,
in modo da vincere il loro fuoco.
Affrontatele al loro livello,
triplicatele come i pani e i pesci.
Questo lo otterrete se ogni volta
starete dando il denaro a Dio.
Chi mai vi infiamma in uguale misura?
Che sia il carrettiere o il doganiere,
pagate Dio, sempre e dovunque.

5. Fratelli, vedete la salamandra
che sta tra le fiamme e non brucia:
io a voi chiedo di bruciare
fin dentro le ossa, andare scalzi,
non avere nulla e inchinarvi
a chi ha tutto, il Potente, il Papa.
Vedete poi lontano quel casale:
è occasione di preghiera.
Il verso degli uccelli: preghiera.
Inspiro: “Gesù”. Espiro: “Gesù”.
In questo modo, un passo dietro l’altro
sino all’inchino finale, avremo
tanta grazia che ognuno ci amerà –
sarà attratto e danzerà con noi.
Ma ora dimenticate quanto ho detto:
tutto ciò non è in nostro potere.
Andrà bene, andrà male; il saio,
la tiara: preghiera, preghiera.
Dio chiamò e Samuele disse: “Eccomi!”.

6. Camminare su una strada vuol dire
subirne le delicatezze, avere
il blu, il verde, il rosso, come alleati.
Io ti tengo per mano, mondo mio,
ti porto con me a quelle altezze
dove mi innalzi. Non mi preoccupano
il buio notturno, il freddo, i pericoli:
la sofferenza, come tutto ciò
che esce da me, è un omaggio a Dio.
Gli uomini che incrociamo sono cupi,
sospettosi, perché non sono morti.
Noi siamo in pace: da tempo
abbiamo rinunciato a ogni cosa,
diventando offerta vivente a Dio.
Né all’uomo possiamo dare alcunché
di più ampio della nostra morte – due occhi
che già guardano dall’altra sponda.
Tutte le strade portano a Roma – 
noi ci spingeremo oltre, molto oltre.

Le fronde onde s’infronda tutto l’orto
dell’ortolano eterno, am’io cotanto
quanto da lui a lor di bene è porto.

domenica 1 novembre 2015

On the road...


...Per un giorno: lunedì si ritorna.

Le fronde onde s’infronda tutto l’orto
dell’ortolano eterno, am’io cotanto
quanto da lui a lor di bene è porto.