mercoledì 2 settembre 2015

Paul Beekman Taylor


Conoscere da bambini un uomo come George I. Gurdjieff è un'esperienza decisiva. Anche se crescendo sembra che ci si dimentichi di essa, in tarda età si realizza che l'incontro con quella persona, e l'esposizione ai suoi insegnamenti, è stato l'evento più importante della propria vita.

È questo il caso di Paul Beekman Taylor, che da quindici anni è noto agli studenti di Quarta Via come autore di diversi libri su Gurdjieff (in Italia è stato pubblicato il solo Gurdjieff e Orage, Fratelli in esilio). Sono libri singolari, spesso curiosi, come Gurdjieff in the public eye: una raccolta di tutti gli articoli di giornale scritti su Gurdjieff finché era in vita. Dietro questi testi vi sono poderose ricerche di archivio che a volte recuperano notizie interessanti (i carteggi degli studenti di Gurdjieff sembrano un'inesauribile fonte di nuovi aneddoti e citazioni del Maestro armeno): questo si deve alla bibliomania dell'autore, che per molti anni è stato professore di Letteratura in diverse università del mondo.

Dal 1998, ritiratosi in pensione, Paul Beekman Taylor scrive praticamente solo di Gurdjieff, che conobbe da bambino (la sua sorellastra era figlia del Maestro). La produzione gurdjieffiana di P.B. Taylor annovera per ora sette titoli, di cui l'ultimo sembra il più interessante: Real Worlds of G.I. Gurdjieff. Il suo interesse non si deve tanto alle nuove curiosità (a esempio, i rapporti segreti dell'FBI su Gurdjieff, molto fantasiosi), quanto al fatto che finalmente l'autore condivide la propria esperienza personale con Gurdjieff, mettendoci a parte di ciò che quest'ultimo gli disse alla fine degli anni Quaranta.

Anzitutto, Taylor ci dice che era la presenza fisica del Maestro la più grande lezione. "Conoscere Gurdjieff personalmente era un'esperienza che conferiva al suo insegnamento una forza che non saprei riprodurre a parole." Questo, anche se Gurdjieff era allo stesso tempo l'incarnazione e la negazione viventi del suo insegnamento. "Dio può recitare la parte del diavolo, ma il diavolo non può recitare la parte di Dio", scrive Taylor, lasciando che ognuno tragga le proprie conclusioni ("Trovare la lezione, con Gurdjieff, era di per sé una lezione").

Di tutte le cose che Taylor bambino e adolescente udì dalle labbra di Gurdjieff, conservandole nella sua memoria per settanta anni, mi piace ricordarne tre.

"Una volta parlò del sonno, sottolineando che i bambini dormivano troppo. Se si imparasse a dormire in modo efficiente, sei ore basterebbero. Diceva che si poteva dormire anche durante il giorno e che esistevano metodi per misurare l'efficacia del sonno. Uno era tenere una matita in mano, appisolarsi, e quando la matita cadeva di mano, era il segno che il sonno era stato sufficiente. Se dormi troppo a lungo, spiegava, cominci a sognare, e quando sogni non raccogli energia in modo efficiente. 'Anzi, potresti perderla'."

"Parlava anche di quanto fosse importante essere consapevoli del respiro, soprattutto mentre si parlava, perché la forza del discorso ha a che fare con la capacità di respirare correttamente."

"Il giorno prima di lasciare Parigi, nell'estate del 1949, camminando lungo Avenue des Ternes ... notai Gurdjieff tutto solo a un tavolino di caffè. Mi lanciò un'occhiata nel suo tipico modo, muovendo gli occhi e non la testa. Sentii che voleva che mi avvicinassi. Per me era l'occasione di salutarlo, e quando mi diressi verso di lui, con la testa mi fece cenno di accomodarmi sull'altra sedia." In quell'ultimo incontro tra Gurdjieff (che sarebbe morto pochi mesi dopo) e il giovane Taylor, parlò solo il primo, dicendo diverse cose. Taylor le riferisce un po' in questo libro, un po' in www.gurdjieff-legacy.org "Gurdjieff raccontò una storia su un uomo che voleva diventare discepolo di un maestro. Quest'ultimo gli disse: 'Adesso vai via e osserva te stesso. Torna dopo averci provato. Se ricordi te stesso, ti accetterò come discepolo'. L'aspirante discepolo se ne va, lavora duro e quando ritorna, l'insegnante gli chiede: 'Ora comprendi cosa vuol dire osservare te stesso, ricordare te stesso?' 'Sì', rispose l'altro. 'Risposta sbagliata', disse il Maestro, e lo mandò via". "Non parlare mai di ciò che in realtà non conosci", furono le ultime parole di Gurdjieff a Taylor, facendogli anche l'esempio negativo di un suo studente all'epoca ben noto.

A quel tavolino di caffè, sembra che Taylor non profferì parola. Settanta anni dopo, sull'argomento avrebbe scritto sette libri.

Vien dietro a me, e lascia dir le genti: 
sta come torre ferma, che non crolla
già mai la cima per soffiar di venti.

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