giovedì 3 settembre 2015

Il cantastorie Gurdjieff

Ingresso all'ex bagno turco - Prieuré 2011
Per accedere al bagno turco del Prieuré, Gurdjieff poneva una condizione ai nuovi venuti: raccontargli almeno tre storie. Se il nuovo arrivato non aveva tre storie da raccontare, non poteva accedere ai bagni con il Maestro.

Il giornalista Carl Zigrosser ha scritto forse il miglior articolo su Gurdjieff mentre quest'ultimo era in vita, nel giugno 1929 per The New Republic. In esso leggiamo che Gurdjieff diceva di apprezzare tre tipi di uomini: chi sapeva bere, chi sapeva raccontare storie e il terzo... sarebbe stato rivelato più in là (cosa che non avvenne).

Sorge una domanda: cosa voleva fare Gurdjieff esortando i suoi allievi a raccontare storie? Sappiamo che lui era un cantastorie figlio di un cantastorie. Forse, voleva esortare i suoi studenti a trasformarsi in cantastorie a loro volta. Sul ruolo della favola in contesto esoterico ha scritto un bel saggio M.L. Travers, autrice di Mary Poppins e allieva di Gurdjieff (Pauwels, Monsieur Gurdjieff). 

Proviamo a fare delle ipotesi. Esporre l'Insegnamento in modo discorsivo è relativamente facile: mascherarlo tramite parabole significa introdurre una difficoltà in più, il che nel Lavoro è sempre utile. Le "storie" richiedono l'uso di tutti e tre i centri: non solo l'intellettuale e l'emozionale, ma anche l'istintivo-motorio, giacché si recitano davanti a un pubblico (appare significativo, al proposito, che per correggere i suoi stessi libri Gurdjieff se li facesse rileggere a voce alta: "Gurdjieff impara più dalle orecchie che dall'occhio", scrive il succitato Zigrosser). Ancora: la favola consente di parlare dei mondi interiori senza usare la parola "io". Si svolge in una dimensione fuori dal tempo e dallo spazio.

Secondo le testimonianze, Gurdjieff faceva spesso ricorso a metafore e parabole. La sensazione è che fossero farina del suo sacco. Una volta, negli incontri parigini durante la guerra, disse a uno studente: "Non adoperare i termini che uso io: trova le tue parole, le tue espressioni". In altre parole, gli stava chiedendo di essere creativo come lui. Ecco forse un altro motivo per cui Gurdjieff domandava ai suoi studenti di raccontare storie, ovvero di esercitare la creatività. Il ricordo di sé, in fondo, è anche una questione di creatività: l'arte di essere presenti non si può racchiudere in una formula valida per tutti i momenti, ma ogni volta richiede di scoprire la strategia migliore nel momento.

Quanto agli ascoltatori, il fatto che Gurdjieff parlasse spesso per metafore imponeva uno sforzo in più: il discorso andava preso alla lettera o no? Nel secondo caso, cosa voleva dire veramente? Lui stesso metteva in guardia i nuovi venuti: "Non credere mai a ciò che mi senti dire. Impara a distinguere tra ciò che va preso alla lettera e ciò che è metaforico" (C.S. Nott, Teachings). Sul finire dei suoi anni, ai bambini diceva: "Imparate a raccontare storie. Le storie fanno la verità. Non bisogna credere a tutte le cose che dico, anche se sono sempre vere". "Non mentite mai: recitate. Siate qualcosa di diverso rispetto a ciò a cui siete abituati. Conoscete cosa non siete e saprete cosa siete. Recitare un ruolo insegna la sincerità e permette di mutare i propri atteggiamenti" (P.B. Taylor, Real Worlds).

Per concludere con le parole che J.G. Bennett mise in bocca a Gurdjieff: "Non cercare mai di insegnare direttamente. Sempre con i bambini inizia da lontano. I bambini devono scoprire da soli, altrimenti cresceranno come schiavi" (Bennett, Witness).

Vien dietro a me, e lascia dir le genti: 
sta come torre ferma, che non crolla
già mai la cima per soffiar di venti.

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