mercoledì 27 maggio 2015

L'uomo di teatro


Il gurdjieffiano "uomo astuto" è un uomo di teatro.

Il Lavoro non si deve vedere nella vita, il che equivale a dire che bisogna saper recitare, dando all’occorrenza l’impressione di essere uomini addormentati.

Per essere un vero attore, bisogna essere un vero uomo. Un vero uomo può essere un attore, e un vero attore può essere un uomo. Tutti dovrebbero provare a essere un attore. Lo scopo di ogni religione, di ogni conoscenza, è essere un attore. Gurdjieff

Gurdjieff era il primo a mettere in pratica queste parole. Le testimonianze lo descrivono capace di recitare molti ruoli, passando dall’uno all’altro senza soluzione di continuità. Egli sembrava sempre padrone di sé e non si tratteneva nemmeno dall’esprimere negatività. Sembra però che non si identificasse, perché nella frazione di un secondo era capace di scivolare da un ruolo al suo opposto. 

Secondo Bennett, questo faceva parte della via sufi cosiddetta "del biasimo": per evitare di venire idolatrato, il Maestro fingeva comportamenti opposti a quelli che ci aspetteremmo da un risvegliato. Evidentemente, per Gurdjieff "la via del biasimo" o qualcosa del genere riguardava anche i suoi studenti, in quanto più volte consigliò loro di Lavorare invisibilmente e di non adoperare, nel mondo, nulla che avessero acquisito tramite il Lavoro.

Jerzy Grotowsky, uomo di teatro con un segreto amore per la Quarta Via, spiegò in una conferenza alla Sapienza di Roma perché, secondo lui, era necessario Lavorare invisibilmente. Egli raccontava che tra i chassidim della sua Polonia girava una storia: quando il diavolo si accorgeva che alcuni uomini parlavano di questioni divine, li prendeva di mira; se però li vedeva intenti ad attività per lui innocue come bere vino, li lasciava stare. Per la salvezza della propria anima, occorre dunque fingere di essere addormentati.

Questo non è poi tanto difficile, perché è ciò che siamo la maggior parte del tempo. La nostra personalità è il ruolo che meglio conosciamo e che possiamo recitare a ogni istante. Interpretare consapevolmente noi stessi implica da un lato conoscersi bene, sapere cosa faremmo meccanicamente in ogni situazione; dall'altro, essere distaccati, perché non si dà recita senza separazione.

Un buon attore non crede mai completamente al suo personaggio, mentre un cattivo attore si getta anima e corpo nella sua interpretazione al punto di perdervisi interamente ... Più l'attore è bravo, meno si identifica con il suo ruolo. Paradosso apparente: meno si identifica, più si impegna profondamente. (Peter Brook) 

Che altro è il teatro, in fondo, se non la messa in scena del sonno? È raro che un attore debba recitare il ruolo di un essere conscio. Tutte le sue interpretazioni sono variazioni del sonno, diversi modi dell’essere addormentati. Non per niente, quando uno studente di Quarta Via muore si dice che “ha completato il suo ruolo”. La vita di uno studente viene detta un "play", non tanto nel senso di gioco, quanto di vera e propria rappresentazione teatrale.

Per recitare se stessi, può essere utile immaginare che ogni atto della nostra vita sia una messa in scena per gli dei. Per loro insceniamo ogni cosa e allestiamo la recita della nostra vita. Come mi disse un Amico, non siamo mai soli: ci sono sempre angeli su di noi, e a loro beneficio mettiamo in scena il "play" che ci è stato assegnato. 

Così la neve al sol si dissigilla;
così al vento nelle foglie levi 
si perdea la sentenza di Sibilla. 

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