domenica 31 maggio 2015

Palazzo Venezia


La maggior parte dei visitatori di Palazzo Venezia, a Roma, sembra interessata prevalentemente a tutto ciò che è legato al ricordo del Duce: la Sala del Mappamondo, la “sala dell’alcova”, la scrivania, la Sala del Pappagallo ecc. A Palazzo Venezia, però, c’è (e c’era anche prima che arrivasse Mussolini) un museo abbastanza interessante pure da un punto di vista esoterico, anche se poco noto. In esso sono confluiti molti oggetti del museo kircheriano, fondato dal gesuita Athanasius Kircher, erudito seicentesco dai vasti interessi.

Nella sala Cinque del museo (proprio l’ex alcova del Duce), a esempio, sono presenti vari oggetti provenienti da quella collezione: quelli medievali in avorio (tra cui un cofanetto appartenuto a un re armeno), e una scatoletta danese dell’XI secolo, in sui nota il simbolo esoterico (non così diffuso) della croce quale bilancia tra il sole e la luna.


Il pezzo principale della sala, però, è indubbiamente la “cassa di Terracina”, che non proviene dalle collezioni del Kircher, in quanto fu scoperta nel duomo di Terracina alla fine dell’Ottocento (veniva usata per tenervi la legna). Questo raro mobile dell’anno Mille raffigura la lotta tra bene e male attraverso uno stile che mischia non solo influssi barbari, classici e arabi (le fogliette), ma addirittura, si è detto, indiani (l’elefante stilizzato). L’opera è complessa e meriterebbe più studi di quanti ne ha ricevuti, anche se forse è ormai impossibile capirla del tutto.

Il S. Michele che sconfigge il demonio, in sala Dieci, è un’ottima scultura di Michel Pacher, il più importante artista austriaco del Quattrocento. Si notino il sé inferiore raffigurato grottescamente nella pancia del diavolo (ce n’è un altro, non visibile, sotto la bilancia) e, per contrasto, l’espressione serena dell’arcangelo. Una volta, su un piatto della bilancia c’era l’anima di un defunto. Una vecchia foto ancora lo mostra.


Da decenni l’anima è scomparsa e il sacchetto con cui il diavolo cercava di vincere la contesa sulla bilancia è stato trasferito sull’altro piatto.

Nella sala Sedici, dei bronzetti, vi sono due raffigurazioni della dea del silenzio, Angerona, anche esse non molto diffuse: in antico la statua di questa dea era venerata soltanto nel tempio di Voluptas, Voluttà.

Nel Lapidario si notino, dal lato dei reperti classici, il sarcofago che unisce nella decorazioni temi come la morte, l’amore e l’eccitazione sessuale (il Priapo), e dal lato dei reperti cinquecenteschi il fontanile proveniente da Piazza della Chiesa Nuova: era verosimilmente da esso che S. Filippo Neri e i suoi devoti facevano scorta d’acqua ogni volta che partivano per il pellegrinaggio delle sette chiese (il quale appunto cominciava da Piazza della Chiesa Nuova).

Le cose da raccontare su questo museo potrebbero essere ancora diverse, ma per il momento ci fermiamo qui.

Così la neve al sol si dissigilla;
così al vento nelle foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.

venerdì 29 maggio 2015

Un duca pervaso di dolcezza


Questo post è dedicato alla riapertura della Galleria Estense di Modena, che avviene oggi dopo tre anni di lavori, e in particolare al busto di "Francesco I" che il Bernini scolpì a distanza.

Il vento ha appena sollevato il mantello del duca, ma nemmeno un ricciolo dei suoi capelli si muove. Lo sguardo di "Francesco I" (mai conosciuto dal Bernini e quindi monarca idealizzato: per questo ne riportiamo il nome tra virgolette) sembra oltre qualsiasi agitazione, fermo su qualcosa di immutabile. Sopra la fronte intravvediamo un piccolo rilievo, proprio in corrispondenza di quella ghiandola pineale che per Cartesio era la sede dell’anima. È la stessa area in cui il David michelangiolesco, pieno di olimpica serenità, mostra l'unica tensione.

Il Bernini evita ogni rigidità girando a destra il viso del duca e soprattutto reclinandolo impercettibilmente all’indietro: come qualcuno che, avendo sostenuto sino a quel momento un grave sforzo, avesse appena iniziato a sciogliersi dentro una nuova frontiera. L’istante è dialettico: da un lato, l’intensità dello sforzo rivelata dal portamento; dall’altro, un abbandono che sembra appena agli inizi. Quel punto fermo che rende stabile il duca in mezzo all’infuriare dei venti, per ora, è solo intravisto. Questa è la statua di qualcuno la cui vita è piena di tensioni e responsabilità, nondimeno resta capace di istanti rapinosi.



Negli occhi balugina qualcosa di dorato: siamo abituati ad associare sguardi del genere a contemplazioni del sole all’orizzonte, quando per un attimo il mondo si ricopre d’oro. Questo principe si è reso conto che in lui avvengono fenomeni analoghi: uguale bellezza, medesimo struggimento, similare abbandono.

Non solo la testa è voltata a destra e leggermente reclinata all’indietro: anche gli occhi sono appena scostati dall’asse, come di una persona che stesse vedendo tutto e qualcosa di più. Questo "qualcosa" non si può scorgere direttamente, ma scintilla ai margini: richiede attenzione e abbandono allo stesso tempo. Quello che "Francesco I" sta guardando, noi lo intuiamo nella misura in cui ci emozioniamo contemplando lui.

I moti dell’anima sono fatti di piccole scosse, sussulti e trasalimenti: spesso vengono descritti come aure o atmosfere. Interiormente sembrano abissi, esteriormente possono manifestarsi come semplice luce negli occhi.

Oggi, ventinove maggio duemilaquindici, tutti alla Galleria Estense di Modena stanno guardando il "Francesco I" del Bernini, ma lui cosa guarda? Sicuramente qualcosa di invisibile, forse il vento stesso: che in greco si dice anemos e che avvolge ognuno – osservatore od osservato – nel medesimo abbraccio.


Così la neve al sol si dissigilla;
così al vento nelle foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.

giovedì 28 maggio 2015

Il giro delle sette chiese


Il "Giro delle sette chiese" è uno dei super-sforzi della tradizione romana, consistente nel pellegrinaggio delle sette basiliche principali dell'Urbe. L’itinerario di 20 km richiede un giorno intero, ma un tempo veniva effettuato di notte, a esempio da S. Filippo Neri e i suoi devoti, probabilmente per accrescere lo sforzo, favorire l’introversione e in generale trarre vantaggio dalle condizioni insolite.

La particolarità di tale super-sforzo sotto forma di pellegrinaggio è il suo svolgersi nelle vie di tutti i giorni, in mezzo all’esistenza ordinaria. Una volta, il cammino era accompagnato da canti e preghiere; il laico dei giorni nostri potrà adoperare tecniche per sostenere l’attenzione.

Il Buddha consigliava a esempio di camminare tenendo lo sguardo abbassato e fisso a uno-due metri di distanza. Questa è una protezione passiva dell’attenzione, cui si può affiancare un esercizio attivo: a esempio, fare i passi leggermente più lunghi del normale, sentendo ogni volta la parte posteriore del ginocchio distendersi un po’ più del necessario (in tal modo accrescendo lo slancio della camminata).

Quando l’attenzione è così concentrata, sembra di scavare un mondo dentro a un mondo. Molte cose, intorno al pellegrino, cercano di catturarne l’attenzione, ma se quest'ultima è salda si verifica un fenomeno curioso: le strade di tutti i giorni diventano un itinerario trascendente, lo scenario della vita quotidiana si fa terra di pellegrinaggio. A ogni distrazione cui resiste, il viandante aumenta la sua forza interiore.

Ouspensky ha detto che il lavoro fisico non ci toglie energia, al contrario ce la dà. Se tutto va bene, al termine del super-sforzo il pellegrino si sentirà meglio che all'inizio. Usando la fatica fisica per risvegliare l’anima – per avere più energia al fine di dividere l’attenzione – i suoi passi si faranno leggeri come se stesse volando.

Uno dei momenti più belli è quando si scorge il campanile di S. Paolo venendo dalla Porta Ostiense: allora gli occhi si alzano senza che nulla vada perso, il richiamo verticale rapisce i sensi e la camminata acquista una marcia in più. Si ricorderà a quel punto che campanili e obelischi avevano in antico proprio questa funzione: posizionati in asse con le vie principali, erano un richiamo in grado di facilitare il cammino.

Qualche consiglio, ora, sulla visita delle sette chiese vere e proprie. 

A San Pietro è opportuno recarsi quando aprono i cancelli, alle sette del mattino: l’unico momento in cui la chiesa è priva di turisti e più assomiglia a un tempio. A quell'ora, si starà al suo interno esclusivamente con religiosi, religiose e pellegrini da tutto il mondo. Le tante messe celebrate alle sette del mattino sono probabilmente le più suggestive della giornata.

A S. Paolo ci si può raccogliere nella Cappella del Sacramento. Qui una notte arrivarono, ovviamente a piedi, S. Ignazio e i suoi devoti, e con un giuramento diedero nascita alla compagnia del Gesù: uno dei tanti super-sforzi che alla fine crearono la virtù "eroica" di questi santi.

Nella catacomba di S. Sebastiano, S. Filippo Neri ebbe un rapimento mistico (sempre di notte). Il cuore sobbalzò e il petto rimase deforme a vita, con un rigonfiamento nella metà sinistra: un evento mistico tra i più importanti nella storia di questo pellegrinaggio, se pensiamo che fu proprio S. Filippo Neri a riportarlo in auge nel Cinquecento.

Tra S. Sebastiano e S. Giovanni, la tradizione situa la refezione: ma se in uno dei tanti ristoranti o bar tra le due basiliche direte che state a metà del giro delle sette chiese… probabilmente non sapranno di che state parlando.

Con S. Sebastiano si è usciti in campagna, con S. Giovanni si rientra nella città: in questa basilica non si ometta una visita al chiostro (come a S. Paolo), toccante rappresentazione del paradiso in terra, angolo di natura nella vita reclusa dei monaci. Si noti che l’accesso all’hortus conclusus è vigilato da due sfingi e che in alcuni capitelli si nasconde il diavolo (a significare probabilmente che il sé inferiore è ovunque in agguato).

S. Croce in Gerusalemme è lì davanti: non sembra nemmeno di aver fatto una nuova tappa. S. Lorenzo al Verano era probabilmente una meta suggestiva quando si trovava in mezzo alla campagna, ora richiede di attraversare un settore urbano congestionato. Stiamo verso la fine del pellegrinaggio e probabilmente questi sono i passi più faticosi.

La fine arriva a Santa Maria Maggiore. In tutte le chiese si entra da una porta laterale, ma occorre mettersi quanto prima all'inizio della navata principale per contemplarne la simmetria. Tutte le linee tendono verso di noi, i nostri occhi sono il punto di fuga e ogni cosa pare affiorare dal cuore, per rituffarsi in esso. A S. Maria Maggiore, l’unica basilica maggiore che ha conservato le linee costantiniane, questo effetto è più potente. 

Finiamo l'itinerario mistico-artistico con la tomba di un grande artista mistico: Bernini, che volle essere sepolto sotto un gradino dell'altare maggiore. Come a dire: tutta la mia arte non è  stata che un gradino verso Dio.


Cosi la neve al sol si dissigilla; 
così al vento nelle foglie levi 
si perdea la sentenza di Sibilla.

mercoledì 27 maggio 2015

L'uomo di teatro


Il gurdjieffiano "uomo astuto" è un uomo di teatro.

Il Lavoro non si deve vedere nella vita, il che equivale a dire che bisogna saper recitare, dando all’occorrenza l’impressione di essere uomini addormentati.

Per essere un vero attore, bisogna essere un vero uomo. Un vero uomo può essere un attore, e un vero attore può essere un uomo. Tutti dovrebbero provare a essere un attore. Lo scopo di ogni religione, di ogni conoscenza, è essere un attore. Gurdjieff

Gurdjieff era il primo a mettere in pratica queste parole. Le testimonianze lo descrivono capace di recitare molti ruoli, passando dall’uno all’altro senza soluzione di continuità. Egli sembrava sempre padrone di sé e non si tratteneva nemmeno dall’esprimere negatività. Sembra però che non si identificasse, perché nella frazione di un secondo era capace di scivolare da un ruolo al suo opposto. 

Secondo Bennett, questo faceva parte della via sufi cosiddetta "del biasimo": per evitare di venire idolatrato, il Maestro fingeva comportamenti opposti a quelli che ci aspetteremmo da un risvegliato. Evidentemente, per Gurdjieff "la via del biasimo" o qualcosa del genere riguardava anche i suoi studenti, in quanto più volte consigliò loro di Lavorare invisibilmente e di non adoperare, nel mondo, nulla che avessero acquisito tramite il Lavoro.

Jerzy Grotowsky, uomo di teatro con un segreto amore per la Quarta Via, spiegò in una conferenza alla Sapienza di Roma perché, secondo lui, era necessario Lavorare invisibilmente. Egli raccontava che tra i chassidim della sua Polonia girava una storia: quando il diavolo si accorgeva che alcuni uomini parlavano di questioni divine, li prendeva di mira; se però li vedeva intenti ad attività per lui innocue come bere vino, li lasciava stare. Per la salvezza della propria anima, occorre dunque fingere di essere addormentati.

Questo non è poi tanto difficile, perché è ciò che siamo la maggior parte del tempo. La nostra personalità è il ruolo che meglio conosciamo e che possiamo recitare a ogni istante. Interpretare consapevolmente noi stessi implica da un lato conoscersi bene, sapere cosa faremmo meccanicamente in ogni situazione; dall'altro, essere distaccati, perché non si dà recita senza separazione.

Un buon attore non crede mai completamente al suo personaggio, mentre un cattivo attore si getta anima e corpo nella sua interpretazione al punto di perdervisi interamente ... Più l'attore è bravo, meno si identifica con il suo ruolo. Paradosso apparente: meno si identifica, più si impegna profondamente. (Peter Brook) 

Che altro è il teatro, in fondo, se non la messa in scena del sonno? È raro che un attore debba recitare il ruolo di un essere conscio. Tutte le sue interpretazioni sono variazioni del sonno, diversi modi dell’essere addormentati. Non per niente, quando uno studente di Quarta Via muore si dice che “ha completato il suo ruolo”. La vita di uno studente viene detta un "play", non tanto nel senso di gioco, quanto di vera e propria rappresentazione teatrale.

Per recitare se stessi, può essere utile immaginare che ogni atto della nostra vita sia una messa in scena per gli dei. Per loro insceniamo ogni cosa e allestiamo la recita della nostra vita. Come mi disse un Amico, non siamo mai soli: ci sono sempre angeli su di noi, e a loro beneficio mettiamo in scena il "play" che ci è stato assegnato. 

Così la neve al sol si dissigilla;
così al vento nelle foglie levi 
si perdea la sentenza di Sibilla. 

martedì 26 maggio 2015

Yoga a Villa dei Vescovi


Nel weekend appena concluso è nato un nuovo festival dello yoga, quello di Villa dei Vescovi a Luvigliano. Non è frequente che eventi del genere siano ospitati in luoghi belli come questa villa rinascimentale. Più spesso accade che meditazioni o seminari vengano svolti in fienili ristrutturati, palestre di scuole o addirittura stabili occupati abusivamente. Capita che l'itinerario di accesso alla "sala di meditazione" comprenda corridoi e cortili imbrattati da scritte e rifiuti. Eppure, in campo spirituale la bellezza non è un'optional.

Le testimonianze ci dicono che intorno a Osho tutto era pulito e ordinato, anzi: ogni oggetto rappresentava, nel suo genere, il massimo dello standard. Ancora oggi, visitando le sue stanze a Pune in India, si può avere un'idea di ciò. Questo rigore, questa sensibilità verso la bellezza pare fossero presenti anche in Krishnamurti e Gurdjieff (il Café de la Paix, per dirne una, è sempre stato un locale di lusso). 

Leon MacLaren fu una figura minore di Quarta Via, uno studente ouspenkiano fondatore della School of Economic Sciences e grande ammiratore della filosofia indiana. Anche nel suo caso si osservava la massima cura per la bellezza. Un suo studente ricorda: "Mr. MacLaren cercava sempre il meglio, perché lo riteneva ciò che più si avvicinava a quello che Platone chiamava 'il Bene in sé' ... [Nella Scuola] gli standard di pulizia e cura dell'abito, la bellezza degli arredi e delle sale erano superiori perfino a quelli che avevo visto nell'Accademia Militare Reale ... Non solo gli edifici scolastici venivano puliti di frequente e con la massima cura: erano anche mantenuti e decorati in modo eccellente. La chiave era sempre la pratica dell'attenzione ... Lo scopo, ci ripeteva Mr. MacLaren, era rendere la casa adatta a ospitare la Verità. Più tardi scoprimmo che un lavoro attento di questo tipo creava o attirava sattva, la qualità sottile, e guna, che era favorevole al Lavoro spirituale ... La pratica continua di un lavoro siffatto impregnava gli spazi di sattva tanto quanto la meditazione o l'esercizio della filosofia" (NB: la pulizia degli ambienti universitari faceva parte dei "compiti" degli studenti di MacLaren).

Speriamo che iniziative come quella di Villa dei Vescovi durino nel tempo e diventino sempre più numerose, non solo in ambito yoga.


Così la neve al sol si dissigilla;
così al vento nelle foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla. 

mercoledì 20 maggio 2015

In viaggio


Come da titolo, il blog sospende le pubblicazioni per una settimana.

Così la neve al sol si dissigilla;
così al vento nelle foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.



martedì 19 maggio 2015

Il lupo travestito da agnello


A proposito del post “Eternità Estense”, un amico mi ha detto che secondo lui la figura di Aion-Phanes rappresenta il sé inferiore sotto mentite spoglie. Le ali, le fiamme e la mandorla sono simboli positivi, ma certi dettagli come la luna dietro le spalle, gli zoccoli e in generale “l’energia” della figura rimandano al sé inferiore. In effetti, l’espressione della figura modenese è malinconica e non radiosa. L’ipotesi del mio amico è che in questo altorilievo abbiamo il classico “lupo travestito da agnello”. Nelle favole, il lupo è tradito dalle zampe, ma qui l’elemento principale sarebbe l’energia troppo seria che emana dal volto della figura. 


Non sarebbe allora un caso se nelle stampe rinascimentali (Francesco de Rossi, vedi prima immagine) il rilievo di Modena è raffigurato privo di ogni serietà, anzi sorridente e aggraziato come in fondo si conviene a un dio.
Non ha senso chiedersi quale lettura sia più “vera”. Come ha detto il mio amico, tutte le letture contengono una faccetta della verità, come il diamante: l’importante è “lasciare passare la luce senza trattenerla”.

Ma quando è che nel nostro Lavoro il lupo si traveste da agnello? A esempio quando il nostro ricordo di sé è rigido e privo di dolcezza: in tal caso, si dice, il centro istintivo sta imitando i centri superiori. Il difficile è rendersene conto: non appena lo facciamo, l'illusione del finto agnello viene meno. Occorre aver fatto l'esperienza genuina dei centri superiori e ricordarne il sapore: così si potrà distinguere stato da stato.

Uno stato, a esempio, che voglia essere visto e riconosciuto viene dal sé inferiore. Ma accade anche che con il Lavoro si cerchi di manipolare un’altra persona (a esempio per sedurla). Non per niente Gurdjieff ripeteva che il Lavoro deve essere invisibile, che qualunque cosa si ottenga tramite di esso, non va usata nella vita. Un’interessante implicazione di ciò è che bisogna saper recitare il sonno, imparare a sembrare coscientemente addormentati. Il discorso è vasto: sarà affrontato in un post futuro.

Così la neve al sol si dissigilla;
così al vento nelle foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla. 

lunedì 18 maggio 2015

I lunedì della poesia - Via Tor di Nona


Oggi il selciato più antico di Roma
è stato divelto da una ruspa,
dopo centocinquanta anni la terra
germoglia in tutti i suoi colori,
profumo – ti chiedi se ha vibrato
decennio su decennio come ora,
fiume sonoro, ala a tutti i ruderi
che sotto albeggiano per se stessi.

Tutt’intorno un riposo profondo,
espansione: c’è la terra, il violino
nero del nostro cuore, ciò che primo
ci aspirò al momento della nascita.
Polmone improvviso, aria, pozzo.
Stupefà il giorno, ostenta il suo sudore:
tanti sentieri dove camminare,
accensioni sommate l’una all’altra.

Luccichio, vedi la piazza ha un’ospite:
la terra che per anni l’ha pensata
ora rompe tra gli edifici, suda –
la luminosa, la chiara, la zitta.
E risplende, festa tremenda di anni.
Affacciatevi, chi abita, chi transita:
per voi la terra rinasce ogni volta,
la piazza si sfoca, il grembo è d’oro.

Così la neve al sol si dissigilla;
così la vento nelle foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.

domenica 17 maggio 2015

Bologna


Un centro di Quarta Via è nato oggi a Bologna. 
Il primo, sembra, di tutta l'Emilia.
Lunga vita a esso!

Pochi compagni avrai per l'altra via;
Tanto ti prego più, gentile spirto,
Non lassar la magnanima tua impresa.

venerdì 15 maggio 2015

Eternità estense


La Reggia di Sassuolo, a cui ho accennato nei giorni scorsi, rappresenta l’opera maggiore di artisti minori: è bella ma poco nota, quindi scarsamente visitata. Ieri sono stato all’abbazia di San Polirone, in S. Benedetto Po, dove c'è la situazione opposta: essendo l’opera minore di un artista maggiore (Giulio Romano) è anch'essa bella e poco visitata. A metà strada tra le due località vi è la Galleria Estense di Modena, che assomma entrambe le caratteristiche: vi abbondano opere minori di artisti maggiori (Velazquez, Bernini, El  Greco, Veronese, Correggio ecc.) e opere maggiori di arti minori. Il risultato è un ottimo museo poco visitato. In altre parole, tutti e tre i siti offrono l'opportunità di una visita lenta, contemplativa e proficua.

La Galleria Estense è piena di pezzi unici. Uno recentemente ripescato dai depositi, in previsione dell'imminente riapertura dopo tre anni di lavori, è l’Aion-Phanes orfico-mitraico che si potrà osservare all’ingresso. Aion è connesso all’eternità, Phanes alla luce.

L’unione di due divinità rende questo bassorilievo unico. Per tutto il Rinascimento è stato il prototipo delle raffigurazioni di Phanes. L’opera sembra appartenere a un tempo e una mentalità così remoti che potrebbe anche non essere mai più ben compresa. In questo blog ci limitiamo a osservarla con la Quarta Via.

Partiamo da un presupposto: una divinità rappresenta la proiezione di caratteristiche (anche potenziali) dell'uomo: pertanto, l'Aion-Phanes verrà qui considerato come un certo tipo di "uomo".

Quest'ultimo sta in piedi tra i dodici segni zodiacali, ovvero i vari tipi di influssi celesti che possono agire su di lui. Agli angoli destri vi sono volti giovanili, specchiati da volti più maturi a sinistra. Sarebbero personificazioni dei venti, come suggeriscono la posizione e le ali tra i capelli. Soffiando verso il centro, manifestano l’idea degli influssi che raggiungono l’uomo; allo stesso tempo, dividono il bassorilievo in una parte anziana e una giovane: tutto ciò che vi è in mezzo potrebbe essere la vita, tra i due poli gioventù/vecchiaia. Al di sotto, un’epigrafe può essere il nome dell’offerente, ma anche no: Felix Pater, il Lieto Padre.

L’uomo è prigioniero del serpente, che gli impedisce ogni movimento: nel cerchio-prigione degli influssi (le leggi) celesti, l'essere umano è una macchina che funziona automaticamente. 

Zoccoli e ali indicano che egli è allo stesso tempo animale e celeste. Il fuoco da cui sorge, rovesciato, gli illumina la testa: l'energia della vita lo sostiene allo stesso tempo nutrendo (ribaltata) i suoi centri superiori. La luna è alle spalle, come qualcosa di domato.

Tramite la Quarta Via, vediamo questa figura come un uomo incarcerato, ma allo stesso tempo capace di attingere l’eternità (Aion). La torcia che regge è l'unica parte che si spinge oltre il cerchio dello Zodiaco, fuori dal tempo. A questo punto, l'Aion-Phanes di Modena sembra l’esemplificazione di una famosa espressione di Quarta Via: Diventare immortali nei limiti del sistema solare

Le origini della Quarta Via sono misteriose: forse con questo bassorilievo siamo nei paraggi di una delle sue fonti.

Così la neve al sol si dissigilla;
così al vento nelle foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.

giovedì 14 maggio 2015

Comfort Zone


Un Insegnamento è sempre duplice: da un lato fornisce la teoria, dall’altro la pratica. Detto in altri termini: da un lato ti fa naufragare, dall’altro ti indica lo scoglio cui aggrapparti. Prima ti dà gli strumenti per trasformare l’attrito, poi l'attrito vero e proprio.

Nel 1923, JG Bennett e Maurice Nicoll assistettero a una conferenza gurdjieffiana che si svolse così: attesa di due ore, Gurdjieff arriva, guarda a lungo l’uditorio, pronuncia una sola frase e se ne va.

Com’è possibile che nessuno si indignò, fece i bagagli e se ne andò?

Come ha detto un Maestro di Quarta Via: Non sorprendono le persone che lasciano il Lavoro, ma quelle che restano.

La cosa più facile davanti all'attrito è sempre gettare la spugna. Dopo aver svolto i propri doveri nella vita, c’è la tentazione di accasciarsi e fare le cose che vengono più facili, come a esempio guardare la TV. Ricordo che un Amico mi disse che quando si finisce di lavorare, quello è il momento di Lavorare. D'altra parte, “Il lavoro fisico non ti priva di energia, al contrario: te la dà” (Ouspensky).

Altri insegnamenti parlano della necessità di uscire dalla propria “comfort zone”, la “zona comoda”. Uscendo dall’ufficio, è “comfort zone” tornare a casa e fare sempre le stesse cose. Oggi ho provato a fare qualcosa di totalmente nuovo e, guarda caso, si sono verificate diverse sincronicità. Via telefono si è sbloccata una vecchia situazione. Non è la prima volta che l’uscita dalla mia “comfort zone”, per motivi attinenti al Lavoro, ha effetti del genere.

“L’uomo in grado di ricordare se stesso sa cosa vuole” – Ouspensky

Per uscire dalla mia zona comoda, ho dovuto ricordare me stesso. Quando ho raggiunto la giusta centratura, ho saputo cosa volevo e dovevo fare.

Senza ricordo di sé, non possiamo trasformare l’attrito; il maestro che desse attrito senza insegnare il ricordo di sé metterebbe la Via a testa in giù. In realtà, dispensare attrito senza ricordo di sé è la via della vita.

Ma qual è la frase che Gurdjieff disse ai suoi studenti nel 1923, dopo averli fatti aspettare dalle 22 alle 24?

La Pazienza è la Madre della Volontà. Se non avete una madre, come potete nascere?

Così la neve al sol si dissigilla;
così al vento nelle foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.

mercoledì 13 maggio 2015

Dopo Rajneeshpuram


Sulla scia del post di ieri, mi sono tornati alla memoria alcuni aneddoti curiosi (e poco noti) sul campus di Young Life che ha preso il posto della comune di Rajneeshpuram, in Oregon. Si sa che quando Osho venne arrestato e lasciò l'America (tra poco ricorre il trentennale), la sua città solare divenne un campus per la gioventù cristiana, mediante appunto l'associazione Young Life.

Come le foto di Osho di ieri, questi aneddoti sono utilizzabili in due modi opposti. Il primo aneddoto è che quando il palco di Osho fu demolito, sarebbe stato trovato un nido di serpenti sotto di esso. Per i cristiani, il serpente è simbolo del male e quel rinvenimento ha confermato la loro equiparazione Osho = demonio; per gli antichi e gli orientali, il serpente è invece simbolo della sapienza e dell'energia sessuale, quindi la sua presenza sotto la sedia di Osho sarebbe un segno fausto.

Il secondo aneddoto è che non appena la proprietà divenne cristiana, un fulmine avrebbe incenerito la casa in cui Osho era vissuto. Anche in questo caso, gli uni hanno visto in ciò una punizione divina, gli altri (un'ex residente di Rajneeshpuram da me interpellata) il fatto che "l'energia di Osho ha deciso di abbandonare quelle terre".

Sia come sia, questi sembrano simbolismi win-win che accontentano tutti. Apparentemente, ognuno si sente confermato sul proprio percorso dagli stessi segni (comunque, membri volenterosi di Young Life potrebbero anche avere dato fuoco alla casa e inventato tutto il resto quale "mito di fondazione").

Aggiungo un terzo, strano aneddoto che mi sembra nessuno abbia notato, nonostante i fiumi di inchiostro versati su Rajneeshpuram. La grande sala di meditazione della comune prendeva nome da Osho e si chiamava Rajneesh Mandir; ora è una sorta di immensa palestra ribattezzata Washington Family Hall, dal nome della famiglia che l'acquistò e donò a Young Life. Il fatto curioso è che quando Osho fu arrestato illegalmente, il falso nome sotto cui venne registrato in carcere era "David Washington". Per uno scherzo del destino, sembra che il Rajneesh Mandir si sia adattato.

Così la neve al sol di dissigilla;
così al vento nelle foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.

martedì 12 maggio 2015

Osho all'amatriciana


Comprendete bene questo: nei centri superiori il riso non può esistere, perché nei centri superiori non vi è divisione, non vi è “sì” e “no”. Gurdjieff

Che Osho avesse una Presenza speciale, è possibile sentirlo non solo dai suoi libri, ma anche dai suoi video e dalle sue foto. Accostare a una sua immagine una frase triviale genera quel cortocircuito tra “sì” e “no” di cui parla Gurdjieff e che scatena la risata. Ecco perché i fotomontaggi che circolano da qualche mese hanno successo: si percepisce - magari inconsciamente - che tra l’energia dell’immagine e quella delle parole c'è troppa contraddizione. 

Qualcuno ha detto che Osho in persona si sarebbe messo a ridere. Ne dubito. Come si può vedere da migliaia di video, Osho raccontava barzellette, ma non rideva: al massimo, sorrideva. Il punto è interessante e merita un approfondimento.

Non si sono tramandate risate a crepapelle di Gesù Cristo, del Buddha, di Gurdjieff o di Krishnamurti, per fare degli esempi. La citazione iniziale di Gurdjieff forse spiega perché. Leggiamola tutta: “Vi sono diversi modi di non ridere. Taluni non ridono mai perché sono completamente sommersi dalle loro emozioni negative … Altri non ridono perché non possono avere emozioni negative. Comprendete bene questo: nei centri superiori il riso non può esistere, perché nei centri superiori non vi è divisione, non vi è ‘sì’ e ‘no’”.

Chi ride sarebbe pertanto un comune mortale ancora scisso tra il “sì” e il “no”. Ma perché un “no” grossolano faccia ridere, è necessario affiancarlo a un “sì” sottile: ed ecco la trivialità accostata alla spiritualità. Nel caso in questione, sembra che basti un'immagine di Osho perché chiunque percepisca il lato spirituale. 

Ma se Osho non avrebbe riso, forse avrebbe apprezzato. Pare che egli considerasse utile qualsiasi pubblicità, positiva o negativa, e che fosse il primo a ritenere che qualcosa potesse arrivare anche solo attraverso una sua foto. Insisteva, a esempio, che quest'ultima venisse messa sulla copertina dei suoi libri. L’idea non è nuova: per restare alla città indiana di Pune, dove Osho visse e morì, il santo Meher Baba sosteneva che bastasse vedere la sua immagine filmata perché la liberazione dalla "catena della schiavitù" diventasse più facile.

Sempre Gurdjieff ha detto che tutto il nostro Lavoro consiste nello scegliere gli influssi a cui sottoporci (e nel sottoporci effettivamente a essi). L’autore dei fotomontaggi di Osho ha detto in un'intervista che lui e altri si sono avvicinati al “vero” Osho dopo averlo scoperto tramite questa parodia. Attenti, dunque: vedere tutti i giorni Osho non è senza conseguenze.

Così la neve al sol si dissigilla;
così al vento nelle foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.

lunedì 11 maggio 2015

I lunedì della poesia - È vero


È vero:

io sono un nastro trasportatore 
sopra ruote sempre differenti –
ne sento il variare dei dentelli,
i raggi; il sollevarsi, il recedere.
Non ne assumo la forma: neutrale
cresco, scendo, a tratti scorro piano.
E che trasporto? Aria. Sono una nave
di respiri. Il guanto felice
che cambia le cose in emozioni.

Delicato sismografo, in me
ricorrono sussulti sotterranei,
lontane onde pizzicano una corda,
a mia volta riverbero nel cielo.
In qualsiasi circostanza, do
il mio felice ronzio meccanico,
strumento oliato, precisione:
il corpo da abbracciare sino in fondo,
casa dell’uno e dell’altro mondo.

Così la neve al sol si dissigilla;
così al vento nelle foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.

domenica 10 maggio 2015

Un giro all'incontrario


Nella Reggia di Sassuolo c'è un appartamento che è stato ristrutturato anni fa, per un nuovo inquilino che poi non è più arrivato. L'orologio sulla facciata ha una controparte interna in cui il tempo scorre all'indietro.


Le lancette, girando in senso orario nella facciata, ruotano in senso antiorario dentro la casa, e dunque bisogna predisporre all'incontrario il giro delle ore. La spiegazione meccanica è ovvia, nondimeno è suggestivo il fatto che dietro un muro troviamo un mondo alla rovescia, quasi avessimo attraversato lo specchio di Alice.

In Quarta Via c'è un detto: la via del Lavoro è all'incontrario e a testa in giù rispetto alla vita. Ergo, le leggi interiori sono il riflesso capovolto di quelle esteriori. A esempio: nella vita si cerca quello che è facile e senza sforzo, nel Lavoro ha senso quanto è difficile e richiede super-sforzo; nella vita si cerca la via di minima resistenza, nel Lavoro quella di massima resistenza; nella vita si evita la sofferenza, nel Lavoro la si crea intenzionalmente (invisibile e in modica quantità); l'attrito non è una maledizione, ma un aiuto che riceviamo ecc. 


Subito dopo aver visitato quell'appartamento, mi è capitato di leggere, sempre in ambito di Quarta Via: "Il nostro compito è preparare la casa affinché possa ricevere il Padrone. In realtà, non possiamo fare di più".

La metafora è perfetta per ciò che ho visto in quelle stanze. Esse sono state ristrutturate per l'arrivo del Padrone di casa e rappresentano un mondo interiore "all'incontrario e a testa in giù" rispetto alla vita esteriore.

Non è finita. Accedere all'appartamento è stato difficile, perché avevamo preso la chiave sbagliata. Lì per lì avrei mollato la spugna, ma per fortuna chi mi accompagnava è tornato indietro per recuperare il mazzo giusto. Anche così, l'umidità ha costretto a usare la forza per aprire la porta. Infatti, l'appartamento è stato ristrutturato anni fa, ma è rimasto disabitato. Nell'abbandono, i segni del tempo cominciano a farsi vedere. 

L'accesso al mondo interiore richiede uno sforzo in più del normale, anche solo per aprire la porta d'ingresso. Se stiamo soli e non con gli Amici giusti, potremmo fermarci già a questo passo. Inoltre, le cose non vanno secondo i nostri piani. Noi non sappiamo se e quando il Padrone di casa arriverà. L'unica cosa certa è che la "manutenzione" deve essere continua, se vogliamo che la "casa" sia sempre pronta. 

Così la neve al sol si dissigilla;
così al vento nelle foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.

venerdì 8 maggio 2015

Sul balcone


Il balcone è un luogo speciale, perché fa vedere il mondo senza farsi vedere.

L’uomo sul balcone non vede che sopra, sotto, intorno a lui ci stanno altri balconi identici. Grazie a muri e vetri opachi, gli uomini contemplano il mondo senza vedersi tra loro. Il balcone che ci sta accanto è l’unica parte di mondo che non si deve vedere.

Il cammino per arrivare a ogni balcone è inizialmente lo stesso: solo verso la fine vi è uno scarto, la deviazione di pochi passi che isolerà ogni uomo nella sua privata contemplazione. Nessuno si rende conto che il proprio sguardo è seriale e standardizzato.

I balconi escono da una catena di montaggio, come i pensieri di chi vi sta sopra. Meccanico è l’itinerario che porta ognuno al suo balcone, meccanici sono i pensieri del contemplatore che esclude il resto dell’umanità. 

A teatro si osserva la stessa dinamica: un palco esiste solo come affaccio su un altro mondo; serve per guardare in fuori, non anche in dentro. Pure a teatro, i palchi sono divisi da pareti: forse perché vedendo i propri simili in carne e ossa, un uomo ricorderebbe se stesso.

C’è un'opportunità di Lavoro, nel balcone e nel palco di un teatro. Altre persone, intente alla nostra stessa attività, sono intenzionalmente nascoste alla vista. Questa si chiama privacy, ma è qualcosa che il Lavoro cerca di contrastare. Dove c’è fastidio, c’è Lavoro.

Ouspensky: Siamo irritati dagli altri che ci comportano come macchine, perché noi stessi siamo macchine.

Se il vicino di casa ci irrita, è perché siamo macchine come lui. Se la presenza di un altro disturba la mia contemplazione, era una contemplazione meccanica. Ciò che esclude gli altri non è Quarta Via: al massimo, può fare parte della via del monaco. Lo stato che si raggiunge in opposizione agli altri viene probabilmente dal centro istintivo, non dai centri superiori. La vera contemplazione include l'osservatore; il vero Lavoro è voltarsi verso gli altri. 

Così la neve al sol si dissigilla;
così al vento nelle foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla. 

giovedì 7 maggio 2015

La via di fuga



Un tempo, in ville e palazzi c'era una briciola d’infinito.

Alla Reggia di Caserta, il portone centrale si apre su una prospettiva di atri, vasche e cascate che si perdono all’orizzonte. Lo stesso schema – una porta che funge da cannocchiale sull’infinito – si rinviene altrove. Nel Seicento, gli Estensi avevano allestito nel loro Palazzo di Sassuolo un asse prospettico che, dal centro del cortile, raggiungeva gli Appennini tramite portoni, atri, fontane e viali alberati. A volte, quello che viene catturato nel vano d’una porta non è l’infinito, ma una semplice espansione di sé. Se tutti i portoni di Palazzo Santacroce a Roma (con annesse scuderie) fossero aperti, in un punto di Via Arenula si vedrebbe una prospettiva che chiude un atrio, due cortili e una strada, culminando in una fontana barocca. Ovviamente, in città contenere l’infinito in una porta è più difficile. L’asse Louvre-Tuileries-Champs Elysees è il primo e più noto esempio.

L’architetto di un tempo badava a costruire muri e tetti per proteggere la vita di tutti i giorni, ma anche a lasciare un varco da cui si intravedesse l’infinito: metafora dell’uomo, prigione con una crepa da cui è possibile evadere. L’evasione è fantastica, perché inanella cortili, terrazze e cascate come perle di una collana.

C’è uno e un solo punto in cui l’infinito ci raggiunge: uno scostamento di dieci centimetri basta a metterci sotto altri influssi, casuali e non organizzati. Quando troviamo il punto da cui parte l’infinito, la chiave entra nella serratura. L’uomo è in sintonia con qualcosa che lo trascende e lo richiama: una forza centripeta necessaria a non farlo irretire dai tanti, seducenti paesaggi laterali.

Trovare il punto di fuga è cominciare a vedere un disegno nella propria vita, una meta oltre se stessi. Mettersi nel punto giusto e scoprire l’infinito vuol dire cominciare a Lavorare.

Per trascendersi, l’essere umano deve conferire alla propria attenzione la precisione di un laser. Il cielo è un infinito “difficile”, che richiede la nostra dissoluzione; quello prospettato da un portone è un infinito iniziale, utile a muovere i primi passi.

L’uomo mette l’infinito in prospettiva per facilitarsi il cammino. Natura, scultura e architettura puntano nella stessa direzione, come i "fattori di ricordo" che "l’uomo astuto" dissemina nella propria vita per cercare di attenersi al suo scopo.

Una volta che siamo entrati in relazione con l’infinito, il cammino è cominciato. Esso è orchestrato dall’uomo per non farci perdere di vista la meta, ma quest’ultima è oltre l’uomo.

Così la neve al sol si dissigilla;
così al vento nelle foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.

mercoledì 6 maggio 2015

Meditazioni padane



La Galleria Estense di Modena, dove lavoro, è priva di finestre: ricorda la casa di Gurdjieff, con gli scuri sempre chiusi, oppure (ma non è poi così diverso) un monastero dove si cerchi di tenere all'interno l’energia, rifuggendo le dispersioni esterne. La Pianura Padana tutta è di fatto un monastero: il grigio continuo e i colori smorzati ne fanno un immenso convento dove l’energia si accumula, senza fuoriuscire. Quando nulla intorno a noi scintilla (o scintilla raramente), l'attenzione tende a muoversi meno verso l’esterno e più verso l'interno.

Il grigio è uniforme, povero e senza stimoli come il muro innanzi a cui medita il monaco Zen. Gli occhi di quest'ultimo non devono lasciarsi distrarre, ma riposare su un orizzonte essenziale. Non è un caso se l'ultimo libro edito dal monastero Zen di Salsomaggiore si chiami Fatti di nebbia.

Addentrarsi in un campo nebbioso fino a quando i rumori della strada si spengono è un'esperienza metafisica, paragonabile alla chiusura yogica dei cinque sensi. La differenza è che qui non siamo attivi, ma passivi, perché lo stato di assorbimento interiore ci viene servito su un piatto d'argento. Non occorre chiudere i sensi: nella nebbia il mondo è già rifluito in se stesso. La natura offre un abbraccio che va direttamente all'anima, lo stato di meditazione scende senza sforzo in noi: di fronte abbiamo un mondo tra il giorno e la notte, vigile e rilassato, attento e sospeso. L'universo sta meditando. Ora è più facile scivolare nella propria interiorità.

Puntualmente, a mattina inoltrata, il velo si squarcia, l'azzurro fa capolino e il teatro del mondo si riavvia: come nei templi, l'ora di meditazione "naturale" è finita. Intorno ferve il lavoro, e che lavoro: uno dei più produttivi al mondo.

Così la neve al sol si dissigilla;
così al vento nelle foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.


martedì 5 maggio 2015

Cento e un articolo


La poesia di ieri, "Pomposa", è stata il centesimo articolo di questo blog. È l’occasione per un bilancio e una domanda: perché continuare a pubblicare sei articoli a settimana?

Una possibile risposta: perché così mi complico la vita, e complicarsi la vita è una parte importante, anche se non sufficiente, dell’essere più svegli.

Gurdjieff ha detto: “Se non ridate immediatamente ciò che avete ricevuto, non riceverete più niente”. Questo Diario on-line è un modo di ridare qualcosa.

Mi piace ricordare anche le parole di un’insegnante di yoga, Manuela Borri Renosto: “Comincio ogni lezione con un canto di ringraziamento, perché voi siete i miei maestri. In questo momento, voi avete un solo maestro davanti a voi, cioè io: io ne ho dieci, tutti voi”. In un certo senso, farsi leggere da tutti è imparare da tutti, perché bisogna stare più attenti a cosa si scrive. Si cerca di dire cose interessanti, che noi stessi vorremmo leggere. A questo proposito, il blog si è rivelato un utile strumento di studio: ha spinto a fare ricerche e approfondimenti che più di una volta sono sfociati in scoperte interessanti.

C’è un sapore di Quarta Via, in questo super-sforzo improvvisato il pomeriggio del 1 gennaio, con scadenza programmata il 31 dicembre. Più di una volta ho verificato che quando mi sembra di non riuscire a svolgere tutti i miei impegni, la soluzione è aggiungere intenzionalmente un lavoro in più. Paradossalmente, questo aiuta a portare a termine tutti gli scopi. A volte, "il lavoro in più" è stato proprio l'articolo per questo blog.

Il senso segreto di un attrito è sviluppare una presenza più salda, più forte. Il Lavoro con Gurdjieff è “Lavoro duro che non diventa mai più facile”. Come mi ha scritto l’ispiratore di questo blog, lo studente di Quarta Via Lee Van Laer, l’ottava di un blog quotidiano è senz’altro utile per il Lavoro, sia nel breve che nel lungo termine. Dunque, andiamo avanti.

Così la neve al sol si dissigilla;
così al vento nelle foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.

lunedì 4 maggio 2015

I lunedì della poesia - Pomposa


A Pomposa la nebbia è dentro i muri
Se ci arrivi con il cielo azzurro
ti pare d’essere dentro un errore
Cammini in uno sbaglio, una parentesi

Da un varco simile vennero a noi
Una sera immagini e suoni
precisi, temperati d’ogni lato
Come evasi da una prigione

Un’abbazia al tramonto bella
tanto da rischiare di farsi bugia
– La guardi e dimentichi te stesso
Eppure colma di ciò che risveglia:

la luce, il canto, la comunità
Tutto era più che altrove, più
attimo, più minuto, più secondo
E noi un respiro, un respiro solo:

mai così vicini.

Così la neve al sol si dissigilla;
così al vento nelle foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.