lunedì 5 ottobre 2015

I lunedì della poesia: Autobus


1
Gli uomini seduti intorno a me,
silenziosi, assorti, stanno pregando:
dicono che l’attimo dell’arrivo
non è più grande di quelli del viaggio,
non c’è nulla da aggiungere al sostegno,
i vetri con le réclame, gli adesivi –
da ovunque si trae completezza,
ogni cosa chiude una collana.
Gli occhi sono schermi ove passa un film:
fermo al centro di un bus te ne accorgi,
se osservi le corse dentro i vetri.
È straordinario muoversi da fermi,
sentire che il mondo ti sta portando,
anzi scorre su di te, e tu partecipi –
pure sei fuori – sei dentro.



2
Queste persone che vanno al lavoro
sono più grandi del letto, la casa
che hanno lasciato, una vita comoda.
Il posto a sedere ha la nostra forma –
possiamo rovesciarci da ogni cosa,
siamo il retro degli oggetti.
Il letto è una bocca che ci mangia,
qua ognuno costruisce il suo destino.
Ma l’autobus è esigente: il grigio,
vetri sporchi, pavimento consunto.
Molto bisogna dare per emergere.
Tutta la mano attenta nel sostegno,
l’immediata nascita della fronte.
Nulla di meno ti è richiesto
per arrivare a destinazione.



3
Vedo un uomo che legge un libro,
una ragazza al telefonino,
giovani con gli auricolari:
per vie diverse stanno affiorando
al presente, forano la cortina.
Ognuno porta con sé la sua vita,
come fosse un omaggio all’altare,
così allargando la porta stretta.
Giungiamo più grandi che alla partenza,
ma ogni momento è stato perfetto.
È sufficiente osservare il respiro
perché ognuno possa affermare:
“Io sono, quindi sono felice”.
Uscendo c’è la fila, ma in realtà
è sempre il turno di tutti.

“Lo sol sen va”, soggiunse, “e vien la sera;
non v’arrestate, ma studiate il passo,
mentre che l'occidente non si annera”.

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