lunedì 22 giugno 2015

I lunedì della poesia - Zalongo 1803, 6-10


6.
Tutta la vita è una preparazione
alla morte? Una preparazione
al momento successivo, piuttosto.
Non mi faccio mancare alcunché:
ferme nella mente le sensazioni
degli abiti sulla pelle, blocco
un pensiero e l’avvolgo all’indietro,
in ogni cosa estrema lentezza.
Allungata in questa contemplazione
anche il carnefice è orma dell’amore,
dato naturale che m’attraversa,
registrato e subito tramutato
in soffio di dolcezza.

7.
Sono piena dei respiri degli altri.
Volevano una moglie, una madre:
tutto ho accettato. Nel ruolo prefisso
sono entrata muta. Pure nessuno
può dire: “Il sole sulla tua pelle
è un mio dono, viene da me
l’espansione che vivi'. Mia e solo mia
è l’anima aumentata dal sole,
il fuoriuscire in passi di danza,
l’essere che sale a ogni commozione.
Di fatto, io sono un desco imbandito,
chi s’avvicina potrebbe sfamarsi,
ma tutto ciò che mi hanno chiesto
è stato un ruolo sociale, rassicurare
della loro scelta altre mogli e madri.

8.
Quando fuori tutto si muove appena,
ma dentro sono porte che si aprono,
soffi, espansione di pareti
che nemmeno conoscevo; o quando
nulla è interiormente e l’esplosione
avviene all’esterno, nessun occhio
trattiene la danza: di entrambi
i momenti ho bisogno, caricarmi
e poi svuotarmi, lasciar andare
l’aquilone ma tenerlo a una corda.
Continuamente muto di segno,
due ali, inspiro ed espiro.
Che oggi si possa morire non cambia:
è un momento come tutti gli altri,
sforzo, abbandono, contemplazione
- nulla.

9.
Uno sfondo epico. Il cielo nero,
tuoni, noi con il cuore lucido.
Come non avvertire gratitudine?
Sotto l’acqua, davanti ai soldati
io danzo. Non c’è bisogno d’altro
che della sensazione della pioggia
esser presenti. Sono uno strumento
musicale, l’odore di bagnato
estrae da me suoni di muta estasi.
Nessun merito in particolare
o azione volta a un fine, eppure
tesori su tesori, inondazioni.
Non so perché.

10.
Alla fine d’un giorno di lavoro
il corpo è pronto: ha l’energia
per danzare. Nel tempio o in piazza,
il culmine della giornata. Fiotti
nuovi d’energia, come se il lavoro
fosse stato un modo di caricarsi.
Da dentro una forza spinge, tira,
dolcezza inesauribile. Celebro
la stanchezza, il corpo vigile e teso
come una corda di violino.
Alla fine d’una vita in presenza
l’anima è pronta: ha l’energia
per guardare, iniziare la sua danza.

Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
dell’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso. 

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