lunedì 8 giugno 2015

I lunedì della poesia - Zalongo 1803, 1-5


A Zalongo in Grecia, nel 1803, cinquantasette donne, danzando e tenendosi per mano, si gettarono in un precipizio pur di non essere fatte prigioniere dal nemico.

1.
L’ultima cosa che di me vedrete
sarà uguale alla prima, identici
schiena e petto, tra testa e piedi
lo stesso peso. Muoio danzando
per non restare indietro, parziale,
come chi vive in due luoghi diversi.
Nessuno qui passando mi ricordi,
prenda a imitarmi e smarrisca se stesso.
Davvero pensate che i proiettili
mi penetrino, cavino il mio guscio?
Guardate come già tutto da me esce:
questo verde, il blu cinereo. Pure
non è possibile aggiungere nulla.
Anche la morte voglio usare
per aumentare il mio essere.

2.
Nella mia danza non c’è un prima,
un dopo, passi in successione.
Mai ho danzato di fronte a un pubblico,
ma loro sono i miei assassini.
Non gente che entra ed esce: uomini
legati a me per l’eternità.
La porta che ora aprono, a lungo
ancora sbatterà, da noi e da loro.
Innanzi a questa gente intensa, ferma
dentro un mirino, spoglio la mente,
cedo tutte le cure disattente
e m’abbandono alle sensazioni.
Sono piena di cielo.

3.
In questa paura prendo rifugio.
Non mi faccio mancare alcunché:
tengo nell’occhio, e offerti nei palmi
come un tesoro, il fiato spezzato,
il corpo armato e i denti bellicosi.
Questo sono, questo condivido:
e già osservando, comincio a mutare.
Tu che hai interrotto la tua danza,
mi hai abbracciata: il limite e la paura
sono solo miei o tuoi;
il silenzio e la pienezza, di entrambi.

4.
A volte è utile questo:
quando l’ansia mi offusca, cieca -
contraddirmi, essere musicale.
Mettere a contrappeso una danza
lenta, d’una donna che non sono io.
Quasi immobile lasciarmi colmare,
un’energia più vasta di me.
Ieri in queste occasioni sbandavo,
il passo era più lungo della gamba.
Ora le mie sorelle mi ancorano,
una per mano tirano da me
la nota opportuna. E solo adesso
posso dare questo grande accordo,
perché non sono ordinaria, lenta:
ora tesa, in tumulto, sostenuta;
ora strumento di un’orchestra.

5.
L’erba e non altro detta la mia danza,
mi trasferisco alla pianta dei piedi,
è come accolgo il vento nella mente
a determinare i nuovi passi.
Sapete che nella danza la musica
è solo un suggerimento: il vero
dispiegarsi si fa in silenzio
- prima trovo me stessa, poi accetto
proposte. Increduli ci guardate,
“Fuori di senno, indemoniate”,
pure anche voi, ignari, state danzando.

Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
dell’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso. 

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