martedì 30 giugno 2015

Birdman


Quando Birdman di A. Inarritu ha vinto quattro oscar, la pagina facebook di Thich Nhat Hahn gli ha fatto pubblicamente i complimenti, ricordando che il Maestro vietnamita veniva ringraziato nei titoli di coda del film, come se fosse stato tra gli ispiratori.

In realtà, il nome di Thich Nhat Hahn compare in piccoli caratteri in mezzo ad altri 32 nomi, dopo cinque minuti di titoli di coda, e il suo "contributo" pare limitato a una citazione pronunciata dall'attore principale, in un contesto che potrebbe anche sembrare ironico. Niente altro, nel film, ricorda uno dei più famosi Maestri buddhisti contemporanei, autore de Il miracolo della presenza mentale.

Gli attori di Birdman - un film quasi tutto al chiuso, quasi tutto di notte - sono permanentemente trafelati, inchiodati ai loro centri inferiori, con gli occhi fuori dalle orbite.

L'energia del centro sessuale nei centri intellettuale, emozionale e motorio è riconoscibile da un "sapore" particolare, un determinato fervore, una veemenza che nello stato naturale delle cose non sarebbe assolutamente necessaria. Gurdjieff

Viene da chiedersi se le epoche future - sperabilmente capaci di guardare a noi con distacco - non definiranno il nostro cinema come quello della sessualità. I personaggi di questo film pensano sessualmente, agiscono sessualmente e si manifestano sessualmente. "Sessualmente" qui non indica tanto l'atto sessuale vero e proprio (che non manca), quanto, in senso gurdjieffiano, l'esagitazione che pervade chiunque sul set. Anche l'espediente di fare un film con un solo, lunghissimo piano sequenza sembra un modo di "dopare" l'attenzione dello spettatore, tenendola artificialmente viva. Chiaramente, un film del genere non ha lo scopo di nutrire i centri superiori dello spettatore, come ci si poteva illudere leggendo i complimenti (affrettati) della pagina di Thich Nhat Hahn, ma quello di tenerlo inchiodato al monitor "arpionandolo" dai centri inferiori.

Se qualcuno si chiedesse cosa intendeva Gurdjieff quando diceva che tutta l'arte contemporanea non era che "titillazione", può guardare Birdman

Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
dell’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso. 

lunedì 29 giugno 2015

I lunedì della poesia - Canto


CANTO

I
Le cose sospese nel quadrato del cielo
Aumentale
Diminuendo te stesso
Il toro non lo devi imbrigliare Ma guardare
Così cambierà colore
e la sua temperatura ti guarderà A sua volta

Osserva
E trapassa le cose di te che non vogliono cambiare
Fissa l’equilibrio del tuo oggetto Tra la destra e la sinistra
Àncoralo a quel contrappeso che sei tu
Permettigli di dondolarti avanti e indietro

Guarda
E rendi rotonda la terra Davvero


II
Guarda
Ma come il mondo che
Completato il giro
Torna al punto di partenza

O come se potessi spingere quello che vedi dentro l’orizzonte

Fa’ rosseggiare ciò che mentre cammini
invisibile ti segue
Sii presente

Ausculta il suolo su cui fai leva

Rotazioni minime del pianeta
ti espongono ad altre stelle

Ogni passo ti aumenta
Monumenti all’attimo
I tuoi respiri


III
Apriti al tuo volto
Uova girano silenziosamente su se stesse Bevendosi
Non ha senso essere presenti senza un cielo
-L’uomo ha la possibilità della Presenza perché esiste il cielo-
Tutte le lezioni ci vengono dalle nuvole
A ogni istante puoi salire sulle spalle del giorno intero
Le ere hanno ordito una trama per arrivare sin qua
Ti espandi dentro al suono
L’ascolto di dio è silenzio in te
I gabbiani tagliano un grande sorriso nel cielo


IV
La punta del vento ha
molte spiegazioni
L’uomo ha bisogno di uno scopo?
È il luogo cui tende il vento

Piano guardandoti in giro Riemergi
dagli oggetti cui ti sei ceduto in immaginazione
Tu hai la terra Il vento
Paesaggi innumeri
Guarda questo luogo anzitutto col modo in cui cammini
Non con gli occhi: con l’espirazione
Sposta lo sguardo di qua Di là Come travasando una pianta

(Quando davvero riposerai
Tutto Intorno a te
Diventerà terra)


V
Tu esplodi e
l’onda d’urto s’arresta nel viso
Luccichio
Il volto al corpo Come la costa al mare
I tuoi lineamenti terminano un’onda lontana

Quando innalzi il cuore a dio
Passi per il viso

Questo istante di gioia
ne riavvia un altro Di una vita passata
Sei più grande
di ciò che è limitato a questa esistenza

Uomo vasto
Contieni tutto il tuo respiro


Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
dell’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso. 

domenica 28 giugno 2015

Ouspensky, maestro di Gurdjieff?


Nel 1973, scrivendo l'introduzione all'edizione americana del romanzo La strana vita di Ivan Osokin di P.D. Ouspensky, Lord John Pentland (noto insegnante di Quarta Via) scriveva: "Evidentemente, Ouspensky praticava l'auto-osservazione già diverso tempo prima di sentirne parlare da Gurdjieff, così come nel libro Tertium Organum aveva già 'inconsciamente' anticipato molte delle idee che poi avrebbe ricevuto da lui".

Forse, i circoli ouspenskyani non sarebbero d'accordo con questa teoria della "premonizione inconscia" del Maestro russo. Per alcuni di loro, Frammenti di un insegnamento sconosciuto è da ascriversi totalmente a Ouspensky: la voce di Gurdjieff, in quel libro, non sarebbe che un espediente letterario. 

È in effetti singolare che alcune delle idee attribuite a Gurdjieff compaiano già nelle opere precedenti del suo più noto allievo. Per Osho, era addirittura "un miracolo" che Ouspensky avesse scritto Tertium Organum (un libro amato dal Maestro di Pune) prima di incontrare Gurdjieff. 

Anche lo stesso Ivan Osokin ha un sapore gurdjieffiano, soprattutto nella figura del mago. A causa dell'anno di pubblicazione (1915, lo stesso dell'incontro Gurdjieff/Ouspensky), molti ritengono che la figura del mago sia stata ispirata da Gurdjieff, ma chi può escludere che non sia stato invece il personaggio di Gurdjieff, così come appare in Frammenti, a essere stato ispirato dal mago? Dopotutto, nessuno sa quanto sia aderente al vero Frammenti, e Ouspensky aveva talento letterario. Forse ogni tanto gli piaceva romanzare un po'.

C'è una spiegazione semplice per le anticipazioni del Sistema che scorgiamo nell'Ouspensky pre-Gurdjieff. Non abbiamo bisogno di chiamare in causa miracoli o premonizioni, né di ridurre il Gurdjieff di Frammenti a prestanome di Ouspensky. Gurdjieff disse a Ouspensky che, se quest'ultimo avesse davvero compreso ciò che aveva scritto nei libri, lui si sarebbe trasformato volentieri nel suo allievo. Ovvero, Gurdjieff aveva letto quei testi e ne aveva ricavato una buona impressione.

Ciò autorizza a ipotizzare che i libri scritti da Ouspensky prima di incontrare Gurdjieff siano stati tra le fonti che quest'ultimo utilizzò per creare il suo Sistema. Andando da Gurdjieff, Ouspensky si sarebbe sentito ripetere le sue stesse idee, mischiate ad altri concetti e presentate sotto una nuova luce, fino a diventare qualcos'altro. Fra tutte le fonti del Sistema gurdjieffiano (sufismo, cristianesimo ortodosso, buddhismo tibetano), i libri di Ouspensky sembrerebbero allora quella identificabile con più certezza. Dopo aver letto quei libri, Gurdjieff avrebbe sguinzagliato i suoi studenti affinché gli portassero quello scrittore... ma questa è un'altra storia.

Oggi è opinione diffusa che Ouspensky fu un giuda e un plagiario che si impossessò delle idee di Gurdjieff per diventare a sua volta maestro. Spero di aver dimostrato che le cose sono più complesse.


Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
dell’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso.

venerdì 26 giugno 2015

Un paesaggio civettuolo


Tempo fa, il mio amico studente di Quarta Via Lee Van Laer, ispiratore di questo blog, pubblicò in Rete un interessante studio su un paesaggio di Bosch. In questi giorni mi sono accorto che un quadro di qualche decennio posteriore, il Paesaggio con San Girolamo di Herri Met de Bles detto il Civetta (dunque un altro fiammingo), esposto alla Galleria Estense di Modena, sembra contenere un messaggio simile.

Sulla sinistra del quadro, in basso, si scorge San Girolamo inginocchiato davanti al crocifisso: è un dettaglio minuscolo e subito capiamo che il vero protagonista è il paesaggio. All'altezza del santo, sulla destra, si osserva un ponte attraversato da due personaggi che gli abiti diversi potrebbero identificare in un uomo e una donna. Il paesaggio sembra idilliaco: sotto il ponte c'è un torrente con i cigni e più in là un campo con pecore al pascolo. Alcuni animali esotici (cammelli stilizzati) ricordano che, trattandosi di un San Girolamo penitente, ci troviamo in Medio Oriente. Notiamo poi che un cane resta dalla parte di S. Girolamo e abbaia furiosamente, mentre la coppia si inoltra nel ponte volgendo le spalle al santo.


La scena è simile al paesaggio di Bosch: in primo piano, un soggetto religioso; sullo sfondo, persone che gli volgono le spalle dandosi ai piaceri del mondo. In entrambi i casi la "gente del mondo" attraversa un ponte (la transizione), incurante di un cane (la vigilanza) che resta indietro e abbaia allarmato.

Nei pressi vediamo sempre una croce, simile a un cippo di confine. Il significato moralistico della composizione si palesa in fondo alla traiettoria della coppia: un colle con un patibolo cui è appeso un impiccato. Pure qui, il dettaglio è identico in Bosch.


L'allegoria sembra lineare: i piaceri del mondo conducono alla morte dell'anima. Benché l'inizio sia idilliaco, volgere le spalle alla religione equivale a un suicidio. Detto con la Quarta Via (mutatis mutandis), il sé inferiore non mantiene le sue promesse e l'ottava discendente, se pure inizia in modo apparentemente innocente (i cigni), ha un esito rovinoso (il patibolo). All'inizio e a metà ottava (gli intervalli DO-SI e FA-MI), si notano due elementi che vorrebbero mettere in guardia (il cane e la croce): oltre di quelli, secondo questi pittori fiamminghi, c'è solo la morte.

A un primo sguardo tutto ciò non si nota: nel quadro c'è molto altro e questi piccoli dettagli vanno cercati con cura, perché contengono un insegnamento da pagarsi con l'attenzione. Verosimilmente, un dipinto del genere contiene altri messaggi (a esempio, la grande montagna centrale), ma averne decodificato uno solo, vincendo la naturale pigrizia dell'occhio, può bastare.

È interessante che entrambi i pittori abbiano simboleggiato la "perdizione" tramite una coppia. Non è infrequente vedere meditatori, studenti, "gente sul cammino" ecc., abbandonare ogni Lavoro di Scuola dopo aver trovato un partner, come se ciò rappresentasse un'insormontabile forza contraria (o il vero oggetto della loro ricerca). Forse, cinquecento anni fa, la situazione non era molto diversa. 

Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
dell’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso.

giovedì 25 giugno 2015

La filologia della Quarta Via


Vedute sul mondo reale è un importante testo gurdjieffiano che tutti gli studenti di Quarta Via conoscono, ma con qualche problema di attendibilità. Come viene spiegato nell'Introduzione, i testi che compongono il libro sono per lo più trascrizioni delle conferenze di Gurdjieff, effettuate da allievi "dotati di eccezionale memoria", perché Gurdjieff proibiva di prendere appunti. Tali trascrizioni sarebbero poi state riconosciute come "il più possibile fedeli alla parola del maestro" da coloro che avevano seguito le conferenze. Nulla ci viene detto sulla modalità di queste trascrizioni (chi le fece? Quando? Dopo poche ore o a distanza di giorni?) o su quella delle "validazioni" (da parte di chi? Dopo quanto tempo? Esistevano più versioni?). Può succedere così che in due conferenze leggiamo "L'essenza non cambia" (pag. 142) e "La nostra essenza è debole e può cambiare a ogni momento" (pag. 147). C'è anche da considerare che stiamo leggendo una traduzione di una traduzione, in quanto spesso Gurdjieff parlava in russo e qualcun altro traduceva dal palco. La verità è che ritenere Vedute sul mondo reale un libro di Gurdjieff è arbitrario tanto quanto asserire, a esempio, che Conversazioni con Eckermann sia un libro di Goethe.

Il problema non si limita al succitato libro, ma riguarda quasi tutta la letteratura di Quarta Via. Lo stesso testo base del Sistema, Frammenti, è il frutto della trascrizione a memoria di Ouspensky. In questo caso, però, sappiamo che Gurdjieff approvò sostanzialmente il libro, leggendolo poco prima di morire (pare tuttavia che ne disapprovasse alcuni passaggi, definendoli "troppo diluiti").

Il problema riguarda pure le conferenze di Ouspensky, se è vero che le loro trascrizioni furono pubblicate postume contro la sua volontà (stando a quanto racconta Joyce Collin Smith). Per non parlare delle importanti lezioni della moglie Sophie, oggi note solo da scarni appunti di Robert S. de Ropp. 

Alla fine, ciò può anche avere i suoi vantaggi. Non tutto il male viene per nuocere, soprattutto in Quarta Via. Questa situazione, una volta riconosciuta, introduce relatività, limita il ricorso all'ipse dixit, ci spinge a procedere con i piedi di piombo e soprattutto a reggerci sulle nostre gambe. In altre parole, essa ci aiuta a Lavorare.

Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
dell’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso. 

mercoledì 24 giugno 2015

Farsi da parte


Nel Sistema esistono tre linee di Lavoro: per se stessi, per gli altri e per la Scuola. La terza linea, quella per la Scuola, implica il farsi da parte, il rinunciare ai propri "io" per trasformarsi in un canale, uno strumento della Scuola. Nella terza linea, "io" non è necessario, "io" è di ostacolo.

Il Sistema è più grande di qualsiasi uomo. Ouspensky

Quando si legge la letteratura contro il Sistema, ci si imbatte sovente in punti di vista riassumibili nella frase dell'ex studentessa Irène Caroly Reweliotty: "Quegli individui, che orgogliosi [il gruppo Gurdjieff]! Non bisogna dire 'Io sono', ma 'Egli [Dio] è'". Nello stesso libro si trovano testimonianze affini e non è un caso, forse, che quasi tutte vengono da cosiddetti ex-neofiti: studenti usciti dall'Insegnamento dopo pochi mesi, quando ancora il loro Lavoro era incentrato sulla prima linea. Ciò può aver portato a una distorsione ottica per cui il "Sistema Gurdjieff" è apparso un metodo per lo sviluppo dell'io. Le altre due linee di Lavoro, quelle che gli ex-neofiti non hanno potuto approfondire, diventano progressivamente più importanti con il passare del tempo e sembrano concepite per scongiurare il rischio di un'eccessiva focalizzazione su se stessi.

Se uno non sente che c'è qualcosa più importante di lui, il suo ricordo di sé lo porterà nella falsa personalità. Maurice Nicoll

La terza linea non viene da noi: questo è importante. Lavorare da soli è relativamente facile e può portare a risultati immaginari. Lavorare per gli altri e per la Scuola significa fare un pagamento che fortifica la prima linea e allo stesso tempo ne rende più difficili le degenerazioni. Osho spiegava il ricordo di sé (ovvero la tecnica "io sono") dicendo che con il suo approfondirsi sarebbero venute meno prima la parola "io", poi quella "sono", lasciando il praticante in un "Vuoto estatico". Tornando alla Quarta Via tradizionale, due Maestri come Rodney Collin e Jeanne de Salzmann hanno detto:

Con lo sviluppo della coscienza, diminuisce l'importanza che si attribuisce a se stessi. Rodney Collin

Quando torniamo alla sorgente, il pensiero "io" scompare. E quando scompare, appare da sé il pensiero "io sono". Jeanne de Salzmann

Per quanto possa sembrare strano, dunque, sentire "io sono" annulla l'io e imparare a "essere" conduce a "non-essere". Ma solo se tutto va bene.

Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
dell’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso. 

martedì 23 giugno 2015

Le parole dell'essere


Nel 1954 Louis Pauwels, a proposito dei suoi sforzi di ricordare se stesso, annotava: “Le idee non restavano a lungo immobili dentro di me, ma cominciavano ad assumere mille forme e a scorrere in ogni senso, come gli oggetti dipinti da Salvador Dalì”. Egli stava parlando dell'immaginazione, l'ostacolo numero uno alla presenza interiore. All'incirca negli stessi anni, Maurice Nicoll insegnava: “Lo scopo non può mai divenire meccanico … Va costantemente riaffermato, perché è come costruire una barriera vicino al mare”. Il carattere liquido e scivoloso dell’immaginazione si potrebbe esprimere oggi, più che con i quadri di Gaudì, con ciò che Google ha chiamato “Inceptionism”, la cosiddetta “attività onirica del computer”: essa si ha quando a un pc viene chiesto di trovare in un’immagine dettagli che richiamino altre immagini, amplificando poi tali associazioni fino a originare una figura del tutto diversa da quella di partenza.

Ma come costruire la diga contro il "mare" dell’immaginazione? Questa domanda è il cuore del Lavoro. Per qualcuno, essa equivale a chiedersi come avere una mente silenziosa. Forse all'inizio il punto non è tanto essere privi di parole, quanto fare in modo che queste ultime siano chiare e precise. Quando siamo in immaginazione, in noi abbondano le mezze parole e le frasi abortite: i famosi “pensieri troppo corti” che Ouspensky esortava a sostituire con pensieri lunghi. Avere vocaboli indefiniti e inconsapevoli dentro di sé equivale a essere nervosi e inquieti. E quali sono i “vocaboli esatti” che occorrerebbe pronunciare dentro di sé per avere un quadro interiore chiaro? Forse, le parole del momento presente. Esortare interiormente se stessi all'attività del momento presente, con parole brevi e nette, aiuta a eliminare quell’incessante brusio interiore che si chiama “immaginazione”, “sonno”, “morte dell’anima” ecc. Quando non si sta facendo niente di particolare, si può semplicemente esortare se stessi a “essere”: "Ricorda 'io sono', 'io sono'", diceva Gurdjieff. In tal modo, si può essere “contemporaneamente passivi all’esterno e attivi all’interno”, come si insegna in Quarta Via.

La differenza tra i vocaboli indistinti e le parole precise è quella che passa tra l’inconsapevolezza e la consapevolezza. Quando introduciamo le seconde, comincia ad apparire il famoso “maggiordomo” che fa ordine nella casa, in attesa che arrivi il vero padrone. Le persone che inseguono il silenzio mentale forse non soffrono perché sono piene di parole, ma perché queste ultime sono vaghe e confuse.

L’educazione a tale nettezza interiore può avvenire tramite una disciplina esteriore più volte consigliata dai Maestri di Quarta Via: “In ogni specifica situazione, occorre usare quante meno parole possibile”, diceva Ouspensky; e sua moglie: “Non fornire mai un numero di informazioni maggiore di quelle che ti sono state chieste”. Tenere a freno la lingua esterna aiuta a controllare quella interna e quindi, in definitiva, a impedire che nel nostro mondo interiore una nube si trasformi in un cane, uno scopo nel suo opposto e un’ottava ascendente in una discendente.

Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
dell’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso. 

lunedì 22 giugno 2015

I lunedì della poesia - Zalongo 1803, 6-10


6.
Tutta la vita è una preparazione
alla morte? Una preparazione
al momento successivo, piuttosto.
Non mi faccio mancare alcunché:
ferme nella mente le sensazioni
degli abiti sulla pelle, blocco
un pensiero e l’avvolgo all’indietro,
in ogni cosa estrema lentezza.
Allungata in questa contemplazione
anche il carnefice è orma dell’amore,
dato naturale che m’attraversa,
registrato e subito tramutato
in soffio di dolcezza.

7.
Sono piena dei respiri degli altri.
Volevano una moglie, una madre:
tutto ho accettato. Nel ruolo prefisso
sono entrata muta. Pure nessuno
può dire: “Il sole sulla tua pelle
è un mio dono, viene da me
l’espansione che vivi'. Mia e solo mia
è l’anima aumentata dal sole,
il fuoriuscire in passi di danza,
l’essere che sale a ogni commozione.
Di fatto, io sono un desco imbandito,
chi s’avvicina potrebbe sfamarsi,
ma tutto ciò che mi hanno chiesto
è stato un ruolo sociale, rassicurare
della loro scelta altre mogli e madri.

8.
Quando fuori tutto si muove appena,
ma dentro sono porte che si aprono,
soffi, espansione di pareti
che nemmeno conoscevo; o quando
nulla è interiormente e l’esplosione
avviene all’esterno, nessun occhio
trattiene la danza: di entrambi
i momenti ho bisogno, caricarmi
e poi svuotarmi, lasciar andare
l’aquilone ma tenerlo a una corda.
Continuamente muto di segno,
due ali, inspiro ed espiro.
Che oggi si possa morire non cambia:
è un momento come tutti gli altri,
sforzo, abbandono, contemplazione
- nulla.

9.
Uno sfondo epico. Il cielo nero,
tuoni, noi con il cuore lucido.
Come non avvertire gratitudine?
Sotto l’acqua, davanti ai soldati
io danzo. Non c’è bisogno d’altro
che della sensazione della pioggia
esser presenti. Sono uno strumento
musicale, l’odore di bagnato
estrae da me suoni di muta estasi.
Nessun merito in particolare
o azione volta a un fine, eppure
tesori su tesori, inondazioni.
Non so perché.

10.
Alla fine d’un giorno di lavoro
il corpo è pronto: ha l’energia
per danzare. Nel tempio o in piazza,
il culmine della giornata. Fiotti
nuovi d’energia, come se il lavoro
fosse stato un modo di caricarsi.
Da dentro una forza spinge, tira,
dolcezza inesauribile. Celebro
la stanchezza, il corpo vigile e teso
come una corda di violino.
Alla fine d’una vita in presenza
l’anima è pronta: ha l’energia
per guardare, iniziare la sua danza.

Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
dell’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso. 

domenica 21 giugno 2015

Le porte di Loreto


Il tempio mariano di Loreto è chiesa e fortezza, rosa e spina, lupo e agnello allo stesso tempo. Mentre la nuova chiesa veniva costruita, nel XV-XVI secolo, i turchi depredavano le coste adriatiche dell'Italia: il tempio, che sui quei lidi sorgeva, dovette giocoforza assumere la forma di un fortilizio. All'esterno vediamo mura, bastioni e merli; internamente, è custodito il più dolce dei simboli: una casa con l'immagine della madre col bambino. Entrambi hanno gli occhi chiusi, come fossero in uno stato di profondo assorbimento.


L'ambivalenza del luogo si esprime già all'ingresso, attraverso le numerose formelle bronzee delle porte e della statua di Sisto V. Da subito abbiamo la sensazione di trovarci in un luogo esoterico. In una formella vediamo l'immagine di un cane e il motto (tutti i motti sono mie traduzioni dal latino): mordo e lecco. Forza e dolcezza, maschile e femminile, resa e lotta si rincorrono: le sue fondamenta, leggiamo sotto un leone che reca nella zampa tre fiori; nessuno oserà provocarlo, sotto un altro leone accovacciato; resiliente, sopra un albero che sopravvive alle frecce che gli vengono scagliate; non lascerà che venga penetrato, sopra un gallo sovrastante un tempio. Gli altri motti: stabile per il suo proprio peso (un obelisco), state lontani (un gallo con coda di serpente), con gli astri propizi (un veliero sotto le stelle), una guerra che viene dagli astri (un fulmine sotto sei stelle) e vigilante notte e giorno (un volatile accanto a un cespuglio di fiori).


Si tratta di emblemi che parlano di vigilanza e gentilezza, affidamento su Dio e se stessi allo stesso tempo. L'intero tempio di Loreto ricorda il giardino chiuso, la fontana sigillata, il giglio tra i cardi. Nulla sembra troppo per proteggere il delicato assorbimento di questa madre con il suo neonato.

In Incontri con uomini straordinari, Gurdjieff ha scritto: Meriterà il nome di uomo soltanto chi ... avrà preservato indenni il lupo e l'agnello che gli sono stati affidati. Questa metafora è in genere intesa nel senso che la personalità (il lupo) deve svilupparsi per proteggere l'essenza (l'agnello): il tempio lauretano sembra una rappresentazione a grande scala di questa legge interiore.

Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
dell’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso. 

domenica 14 giugno 2015

In viaggio


Come da titolo, le pubblicazioni del blog riprenderanno al prossimo weekend.

Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
dell’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso. 

venerdì 12 giugno 2015

I giornali


Ogni Scuola cerca di limitare l’esposizione dei suoi studenti ai mass media. Se non c’è l’esercizio esplicito di tenersi lontani da essi, la loro visione ne è comune sconsigliata, giacché:

Tutto il Lavoro su di sé consiste nello scegliere le influenze a cui sottoporsi, e nel sottoporsi effettivamente a esse. Gurdjieff

Secondo Gurdjieff, il giornalismo “non porta assolutamente nulla di buono per l’intelligenza ed è diventato il male dei nostri tempi, nel senso che esercita un’influenza nefasta. Questo genere di letteratura si è molto diffuso negli ultimi tempi, perché corrisponde meglio di ogni altro alle debolezze degli uomini … e alla loro crescente mancanza di volontà” (Incontri con uomini straordinari, Introduzione).

René Zuber, in Monsieur Gurdjieff, ma lei chi è?, racconta che negli anni Quaranta due persone ebbero l’ardire di annunciarsi all’appartamento di Gurdjieff come giornalisti di un famoso quotidiano: non fecero in tempo a fare tre passi nell’anticamera, che Gurdjieff  “in persona venne a scacciarli come fossero canaglie”.

Volendo essere un tantino più buoni, i giornali possono diventare relativamente utili, soprattutto nei casi (infrequenti) in cui il giornalista sa offrire un punto di vista distaccato sulle notizie. D’altra parte, tanto più egli è coinvolto nei fatti che presenta, tanto più va evitato. Solo chi guarda i fatti da lontano è degno di essere letto.

Quando leggiamo punti di vista riconducibili agli atteggiamenti “Non è buono che sia eletta questa parte politica” o “È buono che sia eletta quella parte politica” bisognerebbe chiedersi: buono per cosa? Per il guadagno interiore, la situazione presente è sempre la migliore possibile. Vale la pena smarrire l'anima in identificazioni, lotte e discussioni finalizzate a un risultato esteriore?

Alcuni miei amici pensano che il mondo sia dominato da "uomini in nero" a capo di un "nuovo ordine mondiale". Se anche fosse, sarebbero persone poco invidiabili, in quanto perennemente tese e sulla difensiva: avrebbero tutto da perdere!

Quando si legge un giornale, è bene darsi degli esercizi. Fare una pausa alzando gli occhi alla fine di ogni articolo (non una pausa generica, ma precisa: 30 secondi, a esempio); ricordarsi dell’ambiente in cui si è, guardandosi in giro a ogni fine pagina; non mangiare mentre si legge ecc.

Una delle cose più utili, per essere presenti mentre si legge, è la qualità dell’oggetto-libro. Carta fine, nastri segnalibro di seta, copertina rigida, bei caratteri ecc. Così furono i libri di un tempo, così – fatti a mano – erano i libri cui ho avuto la fortuna di lavorare, in una casa editrice di Quarta Via. Tutto ciò, trasposto nel giornalismo, può significare, si parva licet, bei caratteri, foto artistiche, pubblicità assente o accuratamente selezionata, oltre ovviamente a contenuti in cui si avverte il distacco dell’autore (o la sua padronanza della materia, che è la stessa cosa).

Buona fortuna nella ricerca di un giornale siffatto.

Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
dell’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso. 

giovedì 11 giugno 2015

La separazione Gurdjieff/Ouspensky


Gurdjieff, his work on myself, with others, for the Work è un bel libro di Irmis B. Popoff non ancora tradotto in italiano. Contiene una delle teorie più originali sulla “rottura” tra Gurdjieff e Ouspensky. Tale teoria non è enunciata esplicitamente, ma tramite indizi.

A pag. 172, Popoff scrive: “Nel Lavoro ci viene detto che dobbiamo sacrificare qualcosa per un lungo periodo di tempo, costantemente, se vogliamo davvero conseguire l’unità interiore, il diritto di dire ‘io’ dentro di noi”. A mo’ di esempio, viene citato il sacrificio di cui parla Gurdjieff in La vita è reale solo quando “Io sono”: al fine di avere costantemente dentro di sé un fattore di ricordo, Gurdjieff si risolse a sacrificare i suoi poteri psichici (telepatia e ipnosi). Più in là, Popoff accenna a Meher Baba: forse questo santo indiano, quando decise di non parlare più (continuando però a vivere in mezzo agli uomini), stava facendo un notevole sacrificio che gli avrebbe permesso di creare dentro di sé un fattore duraturo di ricordo.

Dopo di ciò, Popoff affronta una delle domande più spinose del Lavoro: “Com’è possibile che Ouspensky, se era davvero un grande Maestro, abbia abbandonato Gurdjieff?”. La risposta, non banale e tra le più ispirate, comincia così: perché era all’opera “la legge dell’altrimenti” (the law of otherwise). Quest’ultima era stata definita, qualche pagina prima, come la legge per cui le cose “non stanno così come sembrano, ma altrimenti”. Popoff fa l’esempio di una conferenza di Ouspensky: all’inizio il Maestro russo appariva sonnacchioso e svogliato, finché un certo numero di persone non ebbe abbandonato la sala. A quel punto, Ouspensky sembrò rianimarsi e iniziò veramente la conferenza, a beneficio di chi se l’era guadagnata restando. Gran parte dei bizzarri atteggiamenti di Gurdjieff e Ouspensky, secondo Popoff, erano dettati dalla “legge dell’altrimenti”.

Popoff si chiede: “Perché mai Ouspensky sentì di dover abbandonare quella fonte di saggezza e conoscenza che era il suo Maestro? Perché avrebbe barattato la compagnia di quest’ultimo … per quella degli idioti patentati che affollavano le sale delle sue conferenze? Perché si privò dell’opportunità di ottenere più insegnamenti, di verificare le sue scoperte tramite un insegnante capace di capirlo?”. Irmis B. Popoff non lo dice, ma il modo in cui accosta gli argomenti suggerisce una risposta: la rinuncia a Gurdjieff fu il grande pagamento che Ouspensky impose a se stesso per sviluppare al proprio interno un fattore di ricordo duraturo. È solo un’ipotesi, però originale, meno grossolana di altre e in accordo con il fatto che Gurdjieff, dopo la morte di Ouspensky, tributò stima a quest'ultimo.

Come scrive ancora Popoff: “Mi rifiuto di credere che uomini della statura di Gurdjieff e Ouspensky potessero agire come chiunque altro, litigando meccanicamente … Dal punto di vista del Lavoro, ciò non avrebbe avuto valore”.

In sintesi Ouspensky, pensando di aver ricevuto a livello teorico tutto ciò che vi era da sapere, sarebbe passato alla pratica privandosi di una cosa tra le più importanti: il suo Maestro. Popoff – che ebbe la fortuna di conoscere Gurdjieff, Ouspensky e anche la moglie di quest’ultimo – avrebbe forse detto che tale sacrificio non era stato inutile.

Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
dell’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso. 

mercoledì 10 giugno 2015

Leon MacLaren


Non sono solo i fratelli D’Anna ad avere unito Quarta Via e scienze dell’Economia: negli anni Cinquanta, Leonardo da Vinci MacLaren (detto Leon) lo aveva già fatto. Tra la ESE (European School of Economics) dei primi e la SES (School of Economic Science) del secondo, le differenze sono però sostanziali: nel primo caso, l’incontro con l’Insegnamento sembra aver preceduto la fondazione della Scuola, nel secondo si è verificato l’opposto; nella ESE i riferimenti alla Quarta Via non sono dichiarati, nella SES sì.

Leon MacLaren (1910-1994) si imbatté nella Quarta Via nel 1953 attraverso il dottor Francis Roles, che aveva assunto la guida dei gruppi di Ouspensky dopo la morte di quest’ultimo. A MacLaren sembrò di ritrovare in forma filosofica gli stessi principi di Economica che era andato formulando nel tempo, e da quell’anno la SES si arricchì di un corso di filosofia comprensivo di Quarta Via.

In italiano, si possono trovare tracce di questa storia nel libro di Joyce Collin-Smith Nessun uomo è un maestro; in inglese, vi sono The Power Within di Dorine Tolley e Leon MacLaren – Memories and Tributes. Il secondo è un'antologia di ricordi degli studenti SES, che in più punti richiama opere analoghe di studenti gurdjieffiani (gli esercizi, gli shock, gli aneddoti ecc.); il primo è una biografia scritta dalla sua segretaria.

Anche la SES ha avuto la sua Prieuré: la vasta proprietà agricola di Stanhill Court, dove oltre a studiare le materie universitarie, gli studenti praticavano lavoro fisico intenso accompagnato da ricordo di sé, esercizio dello Stop, danze di Gurdjieff.

Alla fine degli anni Cinquanta, Francis Roles viene a parlare agli studenti della SES e comunica: l’Insegnamento è rancido, urge rinnovarlo. Leon MacLaren è d’accordo ed entrambi si mettono alla ricerca di una tecnica per rianimarlo. Ouspensky aveva detto a Roles che al Sistema mancava qualcosa, che forse si trovava in India. Sulla base di questa labile indicazione, Roles e MacLaren si volgono a Oriente e trovano nuovi Maestri: prima Maharishi Mahesh Yogi, poi Shantananda Saraswati. Negli stessi anni in cui Bennett traghettava parte degli ex studenti di Gurdjieff verso Subud e il sufismo, Roles e MacLaren portano gli ex studenti di Ouspensky verso l’induismo. Come Bennett, erano convinti di aver trovato le origini del Sistema.

La SES si arricchisce di nuovi corsi: sanscrito e letteratura vedica. È senz’altro una scuola di Economia un po’ particolare: oltre a ritiri di meditazione, offre corsi su Shakespeare, platonismo e Rinascimento. In pieni anni Sessanta, agli studenti è richiesto un abbigliamento vittoriano: divisa e gonne lunghe. La cura degli ambienti è affidata agli studenti stessi: il livello di decoro fu definito superiore a quello della Royal Military Academy. Leon MacLaren esigeva gli standard più elevati in ogni cosa, perché nella bellezza si riverberava “il Bene platonico in sé” e perché in tal modo gli studenti ricevevano una formazione non solo teorica, ma anche pratica.

Oggi l’idea di “servizio” gode di cattiva reputazione, e questo è un peccato. Quando viene fatto nel modo giusto, il servizio è una cosa meravigliosa. Esso fluisce dall’alto verso il basso. L’opinione comune secondo cui il servitore sia subordinato è sbagliata. La verità è l’opposto: egli è un maestro. Leon MacLaren

L’educazione alla manualità, per questi studenti di Economia, proseguiva nelle Scuole di Arte, di Musica e di Calligrafia, tutte branche della SES. MacLaren sembrava sempre in prima linea: “sapeva tutto di come si pulisce una casa, anche se nessuno l’aveva mai visto chino a lavare un pavimento” e “la disciplina che chiedeva agli altri si basava sempre sul suo esempio”, ricorda Tolley.

Imporre disciplina provoca tensioni, ma non imporla causa letargia e stagnazione. Leon MacLaren

Negli anni Ottanta, Leon MacLaren fu accusato di aver creato una setta e non una scuola di Economia. La sua risposta fu il silenzio e, dopo qualche articolo scandalistico, la bufera cessò. Dopo la sua morte si sono avuti altri attacchi, ma la Scuola permane attiva a ottanta anni dalla fondazione.

Benché negli ultimi anni MacLaren e la SES facessero sempre più riferimento a Shantananda Saraswati e l’induismo, il contributo della Quarta Via a questo percorso fu grande e imprescindibile, come riconosce Dorine Tolley: non a caso a fine libro ella fornisce una bibliografia composta per buona parte dai testi classici di Quarta Via.

La gente insegue sempre un'attività o un'altra. Questo non può essere evitato. Ma il lavoro si trova nella direzione opposta. Il potere di un uomo o una donna, e l'effetto che ha sul mondo, dipendono interamente dal grado di penetrazione e dal livello di quiete interiore. Ciò si applica a tutte le vie ... Non sottovalutate il vostro potere interiore, ma sforzatevi di trovarlo. Leon MacLaren

Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
dell’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso. 

martedì 9 giugno 2015

La Quarta Via e l'Italia


Molti studenti italiani di Quarta Via, almeno una volta, se lo saranno chiesto: attorno a Gurdjieff e Ouspensky non c’era nessuno italiano? I due Maestri erano circondati da allievi di tutte le nazionalità, ma sembra che l’Italia mancasse all’appello. Un'eccezione fu Lanza del Vasto, che ebbe un incontro non felice con il Maestro armeno, a Parigi, negli anni Quaranta. 

Nell’ottobre 1939, con la Seconda Guerra Mondiale appena cominciata, Ouspensky disse che dopo il conflitto del '14-'18 ogni “germoglio di lavoro esoterico e attività di Scuola” erano divenuti impossibili “in Russia, Germania, Italia e Turchia”. Per Ouspensky, nazismo e fascismo erano solo declinazioni del bolscevismo, e quest’ultimo implicava la morte di ogni Scuola spirituale.

Effettivamente, la legge italiana 1159/29, cosiddetta dei “culti ammessi”, consentiva solo poche religioni oltre al cattolicesimo, rendendole oggetto di sospetti e controlli polizieschi. La mentalità chiusa dell’italiano dell’epoca si rifletteva in quella del duce: per fare un esempio quest’ultimo, dopo aver ricevuto Gandhi a Palazzo Venezia nel 1931, chiamò il maggiordomo Quinto Navarra ordinandogli di bruciare i doni dell’ospite indiano, in quanto portavano iella.

Mussolini, Stalin, Hitler, Lenin erano tutti, per Ouspensky, hasnamuss: uomini che non esitavano a provocare negli altri terribili sofferenze pur di soddisfare i propri desideri. Secondo questa ottica, per aprirsi alla Quarta Via, l’Italia doveva anzitutto liberarsi dal proprio hasnamuss.

Sembra che la Quarta Via sia entrata in Italia solo nel 1950, quando a Torino si formò una filiazione del gruppo di Lione guidato da M.me Lannes: la storia è raccontata nel libro di Gabriele Cenni Servi d’Amore.

Gurdjieff sarebbe stato felice di questo primo gruppo di italiani: esso gli avrebbe permesso di estinguere un debito che diceva di aver contratto con uno dei suoi più importanti Maestri, l’italiano Padre Giovanni. Quest’ultimo, come è raccontato verso la fine di Incontri con uomini straordinari, mise Gurdjieff a parte dei suoi segreti spirituali “nella speranza che i risultati delle vostre ricerche siano un giorni utili ai miei compatrioti”.

Oggi, dal punto di vista della Quarta Via, l’Italia è un Paese dei più vivaci.

Addendum

Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
dell’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso. 

lunedì 8 giugno 2015

I lunedì della poesia - Zalongo 1803, 1-5


A Zalongo in Grecia, nel 1803, cinquantasette donne, danzando e tenendosi per mano, si gettarono in un precipizio pur di non essere fatte prigioniere dal nemico.

1.
L’ultima cosa che di me vedrete
sarà uguale alla prima, identici
schiena e petto, tra testa e piedi
lo stesso peso. Muoio danzando
per non restare indietro, parziale,
come chi vive in due luoghi diversi.
Nessuno qui passando mi ricordi,
prenda a imitarmi e smarrisca se stesso.
Davvero pensate che i proiettili
mi penetrino, cavino il mio guscio?
Guardate come già tutto da me esce:
questo verde, il blu cinereo. Pure
non è possibile aggiungere nulla.
Anche la morte voglio usare
per aumentare il mio essere.

2.
Nella mia danza non c’è un prima,
un dopo, passi in successione.
Mai ho danzato di fronte a un pubblico,
ma loro sono i miei assassini.
Non gente che entra ed esce: uomini
legati a me per l’eternità.
La porta che ora aprono, a lungo
ancora sbatterà, da noi e da loro.
Innanzi a questa gente intensa, ferma
dentro un mirino, spoglio la mente,
cedo tutte le cure disattente
e m’abbandono alle sensazioni.
Sono piena di cielo.

3.
In questa paura prendo rifugio.
Non mi faccio mancare alcunché:
tengo nell’occhio, e offerti nei palmi
come un tesoro, il fiato spezzato,
il corpo armato e i denti bellicosi.
Questo sono, questo condivido:
e già osservando, comincio a mutare.
Tu che hai interrotto la tua danza,
mi hai abbracciata: il limite e la paura
sono solo miei o tuoi;
il silenzio e la pienezza, di entrambi.

4.
A volte è utile questo:
quando l’ansia mi offusca, cieca -
contraddirmi, essere musicale.
Mettere a contrappeso una danza
lenta, d’una donna che non sono io.
Quasi immobile lasciarmi colmare,
un’energia più vasta di me.
Ieri in queste occasioni sbandavo,
il passo era più lungo della gamba.
Ora le mie sorelle mi ancorano,
una per mano tirano da me
la nota opportuna. E solo adesso
posso dare questo grande accordo,
perché non sono ordinaria, lenta:
ora tesa, in tumulto, sostenuta;
ora strumento di un’orchestra.

5.
L’erba e non altro detta la mia danza,
mi trasferisco alla pianta dei piedi,
è come accolgo il vento nella mente
a determinare i nuovi passi.
Sapete che nella danza la musica
è solo un suggerimento: il vero
dispiegarsi si fa in silenzio
- prima trovo me stessa, poi accetto
proposte. Increduli ci guardate,
“Fuori di senno, indemoniate”,
pure anche voi, ignari, state danzando.

Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
dell’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso. 

domenica 7 giugno 2015

La "carrozza"


Una delle più note metafore gurdjieffiane dell'uomo è quella di carrozza, cocchiere e cavallo: le tre C. La si trova in Frammenti e Vedute sul mondo reale. Secondo questa metafora, il cocchiere è il centro intellettuale, la carrozza il centro motorio e il cavallo il centro emozionale. 

Ordinariamente tutto è sottosopra, perché il cocchiere, anziché accudire le varie parti del mezzo di locomozione, passa il tempo a ubriacarsi in taverna. Il primo passo è dunque far tornare il cocchiere vicino alla carrozza, affinché dia da mangiare al cavallo, controlli che l'abitacolo sia in buono stato e risalga a cassetta. A questo punto, e solo a questo punto, dentro la carrozza può apparire il Padrone, il quale comincerà a dare indicazioni al cocchiere su dove andare.

In Frammenti, Gurdjieff dice che il Lavoro deve cominciare dal cocchiere. Lo stato di ubriachezza di quest'ultimo corrisponde all'immaginazione, ai sogni a occhi aperti che non consentono al centro intellettuale né di prendersi cura del resto della macchina umana né tanto meno di guidarla.

Uno degli aspetti più interessanti di questa metafora è il fatto che il cavallo - il centro emozionale - porta avanti tutto. Ovvero, le emozioni sono la forza trainante dell'essere umano. Anche se intellettualmente mi sono persuaso di una cosa, sono le emozioni ciò che determinano cosa farò della mia vita. Se sono più emozionale verso gli sport che verso il Risveglio, dedicherò più attenzione ai primi che al secondo. Per questo, si dice che l'oggetto della contesa tra sé inferiore e sé superiore è la nostra energia emozionale.

Sappiamo dalle testimonianze che Gurdjieff parlava spesso dell'importanza dei collegamenti tra una parte e l'altra di questa carrozza. I cavalli sono collegati alla carrozza dalle stanghe, il cocchiere ai cavalli tramite le redini, l'eventuale Padrone al cocchiere tramite la voce. In particolare, Gurdjieff insisteva sull'importanza delle redini. Cavallo e cocchiere non parlano la stessa lingua: il cocchiere non può rivolgersi al cavallo in italiano, deve usare un linguaggio comprensibile dall'animale.

Quando ci salta la mosca al naso, i ragionamenti intellettuali hanno poca efficacia, semplicemente perché le emozioni non capiscono questo linguaggio. Occorre rivolgersi alla parte emozionale in modo diverso. Consultando la letteratura del Sistema, vediamo che un possibile linguaggio del centro emozionale è quello delle immagini: vedere un uomo calmo e sereno ci provoca immediatamente una sensazione di tranquillità, così come un rilassante paesaggio naturale. Esiste però un altro linguaggio capace di venire compreso dal centro emozionale: quello della consapevolezza. Se, quando ci salta la mosca al naso, anziché argomentare con noi stessi, pratichiamo l'autoricordo ("Io sono", "Io sono", come insegnava Gurdjieff) od osserviamo a esempio il nostro respiro, il centro emozionale inizia a tranquillizzarsi. Forse questo è uno dei metodi "fraudolenti" di cui parlava Gurdjieff in Vedute sul Mondo Reale, laddove ammetteva che bisognava anche saper manipolare e ingannare il cavallo.

Sull'addestramento delle emozioni, un altro spunto interessante contenuto nel Sistema è la metafora dei tre elefanti. Tuttavia, non la si trova connessa alla "carrozza" e pare che risalga esclusivamente a Ouspensky; Maurice Nicoll la cita più volte nei Commentari. Ouspensky, nel suo viaggio in India, vide un elefante imbizzarrito e apprese che l'unico modo di tranquillizzarlo era legargli ai fianchi due elefanti calmi. Egli chiosò: l'elefante imbizzarrito era il centro emozionale, quelli laterali il centro motorio e il centro intellettuale. Morale: non si può lavorare direttamente sul centro emozionale, occorre intervenire sugli altri due centri. Solo quando il corpo e l'intelletto sono calmi, si placano anche le emozioni. Basta che uno dei due "elefanti" sia agitato e le emozioni ne risentono.

Se ci pensiamo un attimo, la metafora dei tre elefanti si accorda con quella della carrozza. Infatti, non appena il cavallo viene legato a quest'ultima, comincia a essere meno libero. Non può più scorrazzare fuori controllo. E tanto più la carrozza è ben tenuta, tanto più frenerà il cavallo. Dunque, un centro motorio in buono stato aiuta a tenere sotto controllo le emozioni.

È importante realizzare che questa metafora non si applica a momenti speciali della nostra vita: la carrozza è sempre in corsa e le redini sono necessarie a ogni ora. Non appena il cocchiere sparisce, il cavallo va per conto proprio: bastano pochi secondi di immaginazione perché le emozioni si facciano confuse.

La metafora della carrozza risale agli anni Dieci dell'insegnamento di Gurdjieff. Verso la fine della sua vita, negli anni Quaranta, egli cominciò a parlare del "taxi". In questo caso, l'abitacolo è il centro motorio, l'autista il centro intellettuale e il motore il centro emozionale. Se tutto è pronto, nel sedile posteriore può salire il passeggero (o il Padrone, o il vero Sé). La metafora così ammodernata regge ancora, ma è meno efficace: il motore non può imbizzarrirsi e andarsene per conto proprio, come un cavallo. Anche per questo, fu meno usata da Gurdjieff.

Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
dell’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso.

venerdì 5 giugno 2015

La danza


Per delle ore intere rimanevo in piedi, immobile, le mani incrociate sul petto all'altezza del plesso solare. Mia madre si allarmava spesso nel vedermi così ferma e come in estasi. Ma io cercavo. E finii per scoprire la sorgente centrale di ogni movimento, il focolare della potenza motrice, l'unità dalla quale nascono i diversi movimenti, lo specchio di visione dal quale sorge, creata, la danza. (Isadora Duncan)

Se le sensazioni uditive possono indurci alla danza, perché non anche quelle tattili o visive? Facendo attenzione, c'è un ritmo pure in ciò che percepisce la mano. Noi non danziamo la musica, danziamo il nostro corpo. Meglio ancora, il nostro essere. L'attenzione risveglia il plesso solare: tutto l'organismo può trasformarsi in un'onda, un riverbero. Ogni impressione, nella misura in cui si immerge nel cuore, può prendere la forma di una danza. Diventiamo come gli alberi, fatti di tante danze lanciate nello spazio. Dentro ognuna, fremono danze minori: le foglie.

Se la musica soltanto stimolasse la danza, a che servirebbero le parole degli insegnanti? Anche un discorso ben fatto, una metafora emozionante o una voce piena di poesia provocano la danza. 

Più siamo attenti, più siamo capaci di danzare. La danza è il canto dell'attenzione, la nutre e se ne nutre. Anche un non udente può danzare. E se la danza prevede un partner (udente)? Nulla di più semplice: si lascia che anche per lui la sordità si trasformi in un problema, ovvero un'opportunità.

Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
dell’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso.

giovedì 4 giugno 2015

Amore, Marte e Venere


A volte il fascino di un quadro può essere in un messaggio esoterico che intuiamo, ma non capiamo. Di tale messaggio possiamo trovare gli indizi adoperando un insegnamento contemporaneo.

Marte, Venere e Amore è il quadro più famoso del Guercino. Come mi ha fatto notare un amico professore di Storia dell’Arte, esso si può leggere come una trasposizione in immagini della Legge del Tre. Secondo questa legge, in tutti i processi sono all’opera tre forze: una prima attiva, di affermazione; una seconda passiva, “contraria”; una terza di conciliazione, neutralizzante. Queste tre forze non appaiono sempre nell’ordine suesposto, perché possono prendere sei diverse combinazioni.

Nel quadro del Guercino, la prima forza, propulsiva e attiva, sembra Venere, che con il dito indica la direzione (suona il DO); la forza contraria è allora Marte, ombroso, corrucciato ed effettivamente CONTRARIAto da quanto sta avvenendo; la terza forza, l’intervento esterno che permette di superare l’intervallo e vincere la forza contraria, sembra Eros che sta per scoccare la freccia nella direzione indicata da Venere. Prima e terza forza sono avvolte da una luce calda e solare; Venere ha anche i capelli rossi, segno di “ardore”. Su Marte aleggia invece una luce lunare, evidente nella fortezza che appare alle sue spalle.


Piccola parentesi. Agli occhi di Rodney Collin, studente di Ouspensky, questa triade sarebbe apparsa così: da sinistra a destra, forza contraria, terza forza e prima forza. Una combinazione 231 che Collin avrebbe definito “Crimine”. Si tratta della triade peggiore di tutte, ma lo spirito di questo quadro non sembra negativo. Converrà dunque leggere l'opera da destra a sinistra,  per ottenere la combinazione 132, ovvero "Digestione" o "Raffinamento". Rimando al libro Le Influenze Celesti chi volesse approfondire. Ciò che qui interessa è che vi sono tre soggetti nei quali possiamo scorgere la prima forza, che imprime la direzione; la forza contraria, che fornisce una resistenza; la terza forza, che con un'azione risolutiva supera il contrasto tra le prime due. Nella fattispecie, l'azione risolutiva è che Amore sta per scoccare la sua freccia: tramite Amore è dunque superato il dissidio Marte/Venere. Il fatto che la freccia sia puntata verso l'osservatore indica che tutto ciò sta avvenendo al nostro interno.

In tal modo, tramite un insegnamento contemporaneo, ci siamo chinati su un'opera antica. Forse non siamo arrivati dove voleva l'autore, ma la sensazione è che ci siamo andati vicino.

Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
dell’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso.