mercoledì 1 luglio 2015

Roccapelago


Nel 2011, sotto il pavimento della chiesa di Roccapelago (MO), è stata trovata una cripta con i corpi di 281 persone lì sepolte da metà Cinquecento e fine Settecento. Particolari condizioni climatiche hanno preservato molti corpi, per cui oggi ci troviamo di fronte a un'intera comunità mummificata. Nel giugno di quest'anno, la cripta e alcuni locali annessi sono stati trasformati in un museo dedicato al ritrovamento.


Le gentili guide offrono spiegazioni di quasi ogni reperto. Tramite i tessuti, le ossa e i cimeli si sta ricostruendo la vita di questa antica comunità contadina: oggi ne conosciamo a grandi linee la dieta, le carenze alimentari, i metodi di cura, i vizi, le malattie, le abitudini di vita, i pellegrinaggi ecc. 

Dopo la visita a un  museo del genere, si prova un grande silenzio. Di fronte alla morte, i diecimila "io" dell'uomo non possono che perdere importanza. "Relatività" e "senso di scala" sono concetti che in queste sale assumono un nuovo significato; anche chi lavora qui sembra aver sviluppato un particolare senso del distacco.

Mentre notavo l'effetto psicologico di questo museo, mi sono accorto di quanto siamo strani noi occidentali del XXI secolo. Se mi interrogavo sui legami morte/spiritualità, le prime cose che mi venivano in mente erano gli adepti del Tantra accanto ai crematori indiani, i monaci tibetani in meditazione davanti ai cadaveri o le "torri del silenzio" zoroastriane. Eppure, a casa nostra abbiamo avuto fino a pochi anni fa tradizioni affini, se non identiche. Recentemente, nella cripta della chiesa di S. Severo al Pendino a Napoli, ho visto i cosiddetti "lavatoi", sedili in cui venivano posti i cadaveri affinché i monaci li contemplassero. Sotto a ogni sedile, vi era un foro per il deflusso dei liquami.


Ciò mi ha portato l'attenzione su un fatto curioso: come Ouspensky cercò una Scuola in India e trovò Gurdjieff nella sua città, io inseguo in posti remoti ciò che ho sotto casa e devo guardare lontano per capire quanto ho innanzi. Chinarsi sul passato per estrarne un momento di presenza, come a Roccapelago, è in fondo la stessa cosa.

Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
dicendo: "Intrate, ma facciovi accorti
che di fuor torna chi 'ndietro si guata".

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