mercoledì 6 maggio 2015

Meditazioni padane



La Galleria Estense di Modena, dove lavoro, è priva di finestre: ricorda la casa di Gurdjieff, con gli scuri sempre chiusi, oppure (ma non è poi così diverso) un monastero dove si cerchi di tenere all'interno l’energia, rifuggendo le dispersioni esterne. La Pianura Padana tutta è di fatto un monastero: il grigio continuo e i colori smorzati ne fanno un immenso convento dove l’energia si accumula, senza fuoriuscire. Quando nulla intorno a noi scintilla (o scintilla raramente), l'attenzione tende a muoversi meno verso l’esterno e più verso l'interno.

Il grigio è uniforme, povero e senza stimoli come il muro innanzi a cui medita il monaco Zen. Gli occhi di quest'ultimo non devono lasciarsi distrarre, ma riposare su un orizzonte essenziale. Non è un caso se l'ultimo libro edito dal monastero Zen di Salsomaggiore si chiami Fatti di nebbia.

Addentrarsi in un campo nebbioso fino a quando i rumori della strada si spengono è un'esperienza metafisica, paragonabile alla chiusura yogica dei cinque sensi. La differenza è che qui non siamo attivi, ma passivi, perché lo stato di assorbimento interiore ci viene servito su un piatto d'argento. Non occorre chiudere i sensi: nella nebbia il mondo è già rifluito in se stesso. La natura offre un abbraccio che va direttamente all'anima, lo stato di meditazione scende senza sforzo in noi: di fronte abbiamo un mondo tra il giorno e la notte, vigile e rilassato, attento e sospeso. L'universo sta meditando. Ora è più facile scivolare nella propria interiorità.

Puntualmente, a mattina inoltrata, il velo si squarcia, l'azzurro fa capolino e il teatro del mondo si riavvia: come nei templi, l'ora di meditazione "naturale" è finita. Intorno ferve il lavoro, e che lavoro: uno dei più produttivi al mondo.

Così la neve al sol si dissigilla;
così al vento nelle foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.


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