domenica 26 luglio 2015

In viaggio


Comincia un periodo ricco di viaggi, senza la possibilità di postare articoli con lo standard desiderato.
Da questo viaggio, si rientra venerdì prossimo.

Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
dicendo: “Intrate, ma facciovi accorti
che di fuor torna chi 'ndietro si guata”.

venerdì 24 luglio 2015

Quattro cani a Modena


Cosa hanno in comune i quadri Mosè difende le figlie di Jetro (foto d'apertura) e Le nozze di Mosè e Sefora di Charles Le Brun, con L'Adorazione dei Magi di Camillo Procaccini? 


Due cose: la prima è che sono tutti esposti nell'ultima sala della Galleria Estense di Modena. La seconda, che nell'angolo inferiore destro hanno un cane tenuto al guinzaglio: mansueto nell'Adorazione dei Magi, sospettoso nelle Nozze di Mosè e Sefora, ringhioso nel Mosè difende le figlie di Jetro.

Accanto alle Nozze di Mosè e Sefora osserviamo il quadro Un miracolo di S. Ambrogio, di Sigismondo Caula.


Stavolta, nell'angolo inferiore destro, ci sono due cani (senza guinzaglio) latranti alla persona indemoniata, o malata, che sta per ricevere il miracolo del santo.

Questo angolo inferiore destro sembra dunque contenere una chiave importante, espressa sempre attraverso la figura di un cane.

I cani non possono sbagliare, perché obbediscono alla legge della loro specie o della natura (A.R. Orage, da P.B. Taylor, Gurdjieff e Orage).

Nella situazione positiva (Adorazione dei Magi), il cane è al guinzaglio e mansueto; in quella difficile ma positiva (Mosè difende le figlie di Jetro), al guinzaglio e ringhioso; in quella dubbia (Le nozze di Mosè e Sefora), al guinzaglio e diffidente (Sefora era una donna straniera, quindi ritenuta moglie inadatta a Mosè); in quella "indemoniata", randagio e senza freni.

Apparentemente, in questi quadri il cane è il simbolo della nostra parte istintiva o animale. Nell'ultima sala della Galleria Estense vediamo rappresentato l'intero spettro delle sue possibilità: dallo stato brado che rende l'uomo indemoniato o malato, alla condizione mansueta dinanzi all'apparizione dei centri superiori (Gesù Bambino). "Per caso" (difficile pensare a una scelta intenzionale dei curatori), quattro quadri con lo stesso, insolito dettaglio sono riuniti in una piccola sala. Sembra quasi che vogliano trasmettere un messaggio: per coglierlo, occorre usare pazienza e attenzione.

Non apprezzare l'arte con il sentimento (Gurdjieff, aforisma nella Study House del Prieuré).


Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
dicendo: “Intrate, ma facciovi accorti
che di fuor torna chi 'ndietro si guata”.

giovedì 23 luglio 2015

Arte religiosa


Oggi ho scoperto l'interessante sito "La caverna di don Falcuccio", che contiene articoli simili ad alcuni del mio blog, per quanto riguarda l'approccio all'arte (vista però dal punto di vista dello yoga e non della Quarta Via). A un certo punto, in quel blog si legge che i quadri e le statue asportati dalle chiese ed esposti nelle gallerie sono opere decontestualizzate e quindi impoverite. Senz'altro è così, ma aggiungerei che anche nelle chiese di oggi le opere appaiono decontestualizzate.

La scomparsa del sottofondo sonoro di canti, preghiere e salmodie ha impoverito le arti figurative delle chiese. Nessuna di queste opere venne creata per quello che oggi è il principale frequentatore delle antiche chiese: il turista. Esse servivano alla contemplazione ed edificazione di fedeli e religiosi. A queste opere si levava lo sguardo durante la preghiera, ovvero in uno stato mentale particolare. La posizione del corpo, l'attività, i suoni e il luogo rendevano diversa e più nutriente la fruizione di queste opere. Si può dire che nel fruitore di un tempo, tutti i centri gurdjieffiani (motorio, emozionale e intellettuale) partecipavano alla contemplazione.

Oggi, quando guardiamo le stesse opere in una Galleria, dobbiamo rinunciare a posizioni, musiche, attività e compagnia umana che risvegliavano l'anima. Il più delle volte, per "agganciare" queste opere abbiamo a disposizione il solo sforzo intellettuale. Ricevere nutrimento da queste opere è ancora possibile, ma occorre passare per altre vie.

All’inizio del Purgatorio, attraverso l’episodio di Casella, Dante ci dice una cosa importante per lui e tutti gli artisti: l’arte può essere un ostacolo sulla via del paradiso, e allora ci vuole un giudice severo, terzo tra artista e pubblico, che risprona tutti al lavoro su di sé (in questo caso, Catone l'Uticense). Ai piedi del Purgatorio, l'arte era stata intrattenimento e perdita di tempo: fine a se stessa, non conduceva il fedele verso Dio. Chissà cosa avrebbe pensato Dante nell'attuale Sala Due degli Uffizi, che ospita la migliore arte duecentesca della Toscana... tutta rimossa da altari di chiese.

Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
dicendo: “Intrate, ma facciovi accorti
che di fuor torna chi 'ndietro si guata”.

mercoledì 22 luglio 2015

Il caldo



I maestri chassidici insegnano che per far sfavillare il creato, si deve riconoscere in ogni oggetto un simbolo, un rinvio al trascendente. Le parabole dei Vangeli invitano a quest'opera, poiché la mercatura, la semina, l'ingaggio di operai, tutto vi diventa veste di spiritualità, e gli spettacoli naturali sono altrettante parabole in attesa del loro esegeta. (Elemire Zolla) 

La calura esterna può apparire come la metafora di uno Stato interiore. L'ardore esterno ricorda quello interno. Quest'ultimo può mangiare il primo, perché implica l’accettazione dell’esistente. Si proverà allora quel sentimento di essere presenti qui e ora in mezzo a un mondo anch’esso intensamente esistente (M. Hulin). 

Ognuno sembra avere bisogno dell'attrito per evolvere. Una differenza sta nel darselo da soli o lasciare che arrivi. Quando si sta già vivendo un attrito, aiuta aggiungere alla situazione una piccola difficoltà intenzionale: prendersi cura di altre persone, non esprimere negatività, mantenere uno standard elevato. La chiave sembra essere in quell’“intenzionale”. Tale intenzionalità ci porta verso la Presenza e sembra attirare quell’Aiuto esterno senza cui non si arriva da nessuna parte.

Quando giunge un attrito, occorre pensare che un angelo si è inginocchiato davanti a noi per offrircelo. Evidentemente, è la cosa che serve di più alla nostra anima. Se non fosse stato questo, sarebbe stato qualcos’altro.

Un insegnante di yoga mi disse una volta che in una barca a vela, quando reggi il timone, non provi più mal di mare. La stessa cosa avviene quando si guida in montagna: se tieni il volante, non hai malessere. Esercitare il controllo è una possibile cura, così come darsi intenzionalmente un attrito può aiutare a superare le difficoltà già presenti. L’essere arriva attraverso i metodi più imprevedibili, e la combustione interna è maggiore di quella esterna.

San Cipriano: Sente pena delle avversità del mondo colui la cui letizia e gloria è tutta nel mondo.

Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
dicendo: “Intrate, ma facciovi accorti
che di fuor torna chi 'ndietro si guata”.

martedì 21 luglio 2015

Nisargadatta


A Francis Roles bastò sentir dire a Shantananda Saraswati: "Il punto è che non ricordiamo mai noi stessi", per convincersi di aver ritrovato la sorgente della Quarta Via in India. Secondo Dorine Tolley, quando Roles udì queste parole, ne fu "elettrizzato". Chissà come avrebbe reagito se, invece del misconosciuto Shantananda Saraswati, avesse incontrato Nisargadatta Maharaj, il famoso "beedi guru" di Bombay. Sfogliando le trascrizioni dei discorsi di quest'ultimo, si ha infatti la sensazione di stare leggendo un testo di Quarta Via.

Identificarsi con qualcosa in particolare è l'unico peccato esistente.

Virtù è ricordarti di te stesso. Peccato è dimenticarti di te.

Resta immobile nella conoscenza che ogni cosa percepita è transitoria e che solo "Io sono" è durevole.

Fonda te stesso stabilmente nella consapevolezza dell'"Io sono": questo è l'inizio e la fine di ogni sforzo.

L'"Io sono" è certo. "Io sono questo o quello" non lo è.

Quando la mente sta nell'"Io sono" senza muoversi, entri in uno stato che non può essere verbalizzato, ma può essere sperimentato.

Purificati per mezzo di una vita ordinaria e utile. 

L'arte della meditazione è l'arte di focalizzare l'attenzione su livelli sempre più sottili senza mai perdere la padronanza dei livelli lasciati dietro di sé.

L'"Io sono" gurdjieffiano, il buon padre di famiglia, l'idea che gli stati superiori non cancellano, ma si aggiungono a quelli inferiori: i principi della Quarta Via sono qui esposti con chiarezza e vigore. Ecco il racconto della sadhana o Lavoro che Nisargadatta effettuò su di sé. In esso c'è molto di Quarta Via:

Il mio guru mi ordinò di attenermi alla sensazione "Io sono" e di non badare ad altro. Ubbidii. Non praticai alcuna respirazione particolare, meditazione o studio delle scritture. Qualunque cosa accadesse, vi distoglievo l'attenzione e restavo con la sensazione "Io sono". Può sembrare un po' troppo semplice o perfino grossolano, ma lo facevo perché me lo aveva detto il Guru. E ha funzionato!

A Orage, Gurdjieff raccontò la sua gioventù in modo un po' diverso da come aveva fatto in Incontri con uomini straordinari. La sintesi è in Gurdjieff e Orage di P.B. Taylor, a pag. 46. Secondo tale resoconto, il Maestro armeno peregrinò in lungo e in largo, con scarso profitto spirituale, fino a quando non arrivò in India, perché lì "l'evoluzione dello spirito umano trova il suo centro". Forse Francis Roles e gli ouspenskiani non ebbero tutti i torti a ritenere che le origini del Sistema fossero in India.


Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
dicendo: “Intrate, ma facciovi accorti
che di fuor torna chi 'ndietro si guata”.

lunedì 20 luglio 2015

I lunedì della poesia - Non tutta


Non tutta alle cure del quotidiano
ti cedi: qualcosa avanzi, lo serbi
per scintillii prossimi – giungeranno,
lo sai, già sono qui – Mi piaci,
la tua continenza parla dell’estasi
che è stata, che sarà – una figura
magnetica, più grande ti avvolge

Dentro il riserbo il cuore ampio
annota, registra, mette da parte:
semi di una gioia non solo tua,
di chi ti sarà vicino, sostegno
ai tuoi cari – i giorni che su noi piegano
una fame sempre insaziabile
risparmiano in te sola qualcosa:

profonda è l’acqua dei tuoi occhi.

Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
dicendo: “Intrate, ma facciovi accorti
che di fuor torna chi 'ndietro si guata”.

domenica 19 luglio 2015

"Be Present First"


Oggi segnalo il blog di un Amico studente di Quarta Via e in particolare il suo articolo sulla trasformazione della sofferenza (in inglese), che contiene ottime cose. 

L'articolo prende spunto da un'affermazione di Rodney Collin: La sofferenza è un fissativo, come il mordente che si usa per fissare i colori. Tende a fissare tutto ciò che nell'uomo è predominante nel momento del dolore. Ciò vuol dire, in pratica, che se quando soffriamo reagiamo con il lamento, diventeremo persone sempre più negative e lamentose; se bloccati nel traffico reagiamo con l'indignazione e la collera, saremo sempre più cupi e rancorosi nella nostra vita; se ci imponiamo un digiuno per diventare più magre e belle, diventeremo sempre più vanitose ecc.

In altre parole, "Quando soffri, devi stare attento al modo in cui reagisci al dolore, perché rafforzi tutto ciò che pensi o senti mentre soffri".

Questo, ovviamente, può avere delle ricadute positive. A esempio: "Se vogliamo essere più presenti, dobbiamo essere presenti mentre soffriamo, e se vogliamo rafforzare la nostra capacità di essere amorevoli e compassionevoli, dobbiamo esercitarci a vivere queste emozioni mentre soffriamo".

Si tratta di un insegnamento molto pratico. Ecco perché monaci e asceti si imponevano privazioni e sofferenze: "Per fissare le loro credenze e sentimenti religiosi mediante la sofferenza". "Anziché aspettare che le difficoltà arrivassero nella loro vita, se le andavano a cercare e in tal modo cominciavano a separare la loro volontà dal corpo, ovvero da ciò che sperimentava la sofferenza."

L'articolo prosegue parlando di Marco Aurelio, Gurdjieff e situazioni della vita quotidiana: è tutto da leggere e devo dire che questo blog inglese, bepresentfirst.com, è uno dei migliori che conosca.

Le persone che hanno raggiunto le più più profonde intuizioni nei loro diversi campi, devono essersi tutte poste, a un certo punto, questa domanda: "Come rendere permanenti queste intuizioni, anche in tempo di malattia, vecchiaia e progressivo disfacimento?" Sembra che gli artisti in modo intuitivo, e gli insegnanti in modo conscio, siano arrivati alla stessa comprensione: la sofferenza deliberatamente scelta può fornire il fissativo, il mordente necessario affinché le lezioni apprese in vita si fissino indelebilmente nel materiale dell'essere di un uomo. Rodney Collin

Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
dicendo: “Intrate, ma facciovi accorti
che di fuor torna chi 'ndietro si guata”.

venerdì 17 luglio 2015

"Il mare che pensa": appunti sul film


Il mare che pensa di Gert de Graaff (2000) è un film basato sul concetto “Le cose non sono come sembrano”. Continuamente le immagini rilanciano questa idea. La trama stessa del film la suggerisce: assistiamo in diretta alla stesura della sceneggiatura del film, ma nelle ultime scene tutto viene cancellato. Eppure, abbiamo appena finito di assistere al film. Anzi no: sull’ultima scena cammina il gatto. Non era una scena, ma qualcos’altro (un’illusione di Escher?).

Come il mare che si crede un albero, continuamente noi pensiamo di essere altro. Visivamente e concettualmente, il film mira a trasmettere questo messaggio.

È un film che va visto più volte. Avendolo visto solo una volta, non si coglie il nesso tra le prime scene, ambientate a Granada negli anni Settanta, e il resto del film.

Un sottotema è “Il danno che può fare la spiritualità libresca”. Un intellettuale si chiude in una casa con libri di Zen e di Nisagardatta, ruminadoli solitariamente e giungendo a trattare le singole pagine come feticci. Dimentica che quegli insegnamenti nacquero in un contesto relazionale: comunitario-monastico, come nello Zen, o maestro/discepolo, come Nisargadatta. Alla fine, il protagonista si vede dall’alto e butta tutti i fogli da una macchina in corsa. Successivamente, si sbarazza anche della macchina. Un secondo dopo, lo stesso protagonista in un altro ambiente cancella il file della sceneggiatura. Ma su tutto, poi, cammina il gatto (lo stesso gatto che aveva risposto alla domanda “Come si cancella Bart?” pigiando a caso i tasti). Non sappiamo più cosa è reale. Come all’inizio (all’inizio e alla fine, vediamo lo stesso deserto).

Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
dicendo: “Intrate, ma facciovi accorti
che di fuor torna chi 'ndietro si guata”.

giovedì 16 luglio 2015

Le mani


Meetings with Remarkable Men è un film che non ha bisogno di presentazioni per gli studenti di Quarta Via. Uno dei motivi del suo fascino è negli attori: si intuisce che possiedono un certo essere. Non per nulla l'antecedente di questo film sembra il documentario di A. Desjardins Soufis d'Afghanistan (alcune località sono le stesse, quindi tra gli attori del film di Quarta Via possono esservi Sufi autentici). Tra l'altro, l'attore che avrebbe dovuto interpretare Gurdjieff, proveniente dalla compagnia di J. Grotowsky, venne scartato perché secondo Madame de Salzmann era troppo "vicino al mondo animale" e riteneva artificiale la normale posizione eretta. 

Come per gli asiatici tradizionali, il carisma di questi attori è dovuto (anche) a un fatto molto semplice: quando parlano, non gesticolano. Tutte le persone con un certo livello di consapevolezza sembrano accomunate da un particolare tipo di mani: hanno a esempio un modo di muoverle che è pieno di grazia.

Esistono pratiche ed esercizi che educano ad "aprire" le mani. La meditazione Nadabrahama di Osho è una di queste. A una Scuola di massaggio, anni fa, mi insegnarono a "respirare" nelle mani mentre toccavo il corpo dell'altra persona (e nel namasté finale, la persona massaggiata andava ancora "tenuta" tra le mani del massaggiatore). "Sentire l'energia delle mani" è solo un altro modo per dire: "Porta la tua attenzione verso le mani". 

Dividere l'attenzione mentre si parla è difficile. Un trucco per riuscirci è proprio usare le mani: evitare di gesticolare. Lasciando inespressa l'energia diretta abitualmente verso le mani mentre parliamo, creiamo nel nostro corpo un fattore di Ricordo.

È stato detto (Nisargadatta): l'essenziale non è imparare, ma vedere, ascoltare (con Presenza). Possiamo aggiungere: anche percepire, muoversi (con Presenza). Le mani magnetizzate dalla Presenza sono ciò che ci guida dentro al mondo, diventano maestre che ci precedono e schiudono la via. Esse possono compattare il nostro essere, o al contrario disgregarlo. Cinque dita possono essere una sola energia, oppure cinque modi di dissipare l'essere.

Le mani dovrebbero diventare due danzatrici sopra le cose: tengono queste ultime senza toccarle. Nei geroglifici egizi si osserva spesso un oggetto tenuto da mani che in realtà ne sono separate. Lo spazio tra l'uomo e l'oggetto simboleggia quello della non-identificazione.

Anche noi siamo tra le mani di un Essere più grande, con la differenza che a volte ci spreme come fossimo acini d'uva. Il suo scopo è estrarre da noi un vino inebriante... o almeno così mi disse un Amico, una volta. 

Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
dicendo: “Intrate, ma facciovi accorti
che di fuor torna chi 'ndietro si guata”.

mercoledì 15 luglio 2015

Igor Istòmin



Nel post sulle origini della Quarta Via in Italia, scrivevo che non erano noti nomi di italiani intorno a Gurdjieff e Uspensky. Ebbene, grazie a quell'articolo sono venuto a conoscenza di almeno un nome: Igor Istòmin. Si tratta in realtà di un italiano un po' particolare: la madre era una "splendida concertista di scuola lisztiana" nata ad Atene, mentre il padre era un "matematico di prima forza", esule a Roma dalla Russia. Con queste origini internazionali, Igor non poteva che essere un giramondo: dopo aver finito le scuole medie al Visconti di Roma, i suoi lo iscrivono alla facoltà di ingegneria a Liegi, per non legarlo "a un solo Paese" e permettergli di "spaziare almeno in Europa".

Nel 1935 Istòmin ha già viaggiato molto, per i suoi tempi: è stato in India, dove ha imparato la "ginnastica yoga", che continua a praticare. Ma è quando tutto va a rotoli che fa l'incontro spirituale più importante della sua vita. A causa delle sanzioni contro l'Italia, non si possono portare fuori dal Paese più di 4000 lire: Istòmin capisce che i suoi studi a Liegi divengono impossibili, tuttavia vi fa un ultimo viaggio passando per Parigi. Qui, nella prima settimana di ottobre, ebbe "l'inattesa fortuna ... alla Maison de la Medicine, di conoscere Piotr Demianovic Uspensky", da lui definito "il mio sorridente Maestro". Saputo che è figlio di profughi russi, Uspensky lo tratta con grande cordialità: "Mi cercava con gli occhi e mi sorrideva. Una volta mi fece venire avanti facendo liberare una sedia ingombra solo di libri". Il Maestro sorridente sta per cominciare un ciclo di cinque conferenze in cui illustrerà il suo Sistema: Istòmin spende fino all'ultimo centesimo per iscriversi, al punto che durante le 20 ore del viaggio di ritorno non ha i soldi per mangiare e nemmeno per un tram dalla Stazione Termini a casa.

L'incontro con il Sistema, per Istòmin, è tutto qui. Una volta rientrato in Italia, egli non riesce più a vedere Uspensky, patisce la guerra come tutti e nel '47 viene a sapere della morte del suo Maestro. Compra allora la prima edizione inglese de L'evoluzione interiore dell'uomo, la trascrizione delle cinque conferenze ouspenskiane, scoprendo che differisce in più punti dalle sue note del '35. I suoi contatti con altri studenti del Sistema sembrano inesistenti o molto labili. Con coraggio, capisce che ciò che deve fare per tenere vivi gli insegnamenti ricevuti è cominciare a diffonderli: già nel '51 tiene un primo corso sul libro L'evoluzione interiore dell'uomo. Questa attività sarebbe durata almeno fino al 1978, quando Istòmin, ormai apprezzato professore universitario, tiene all'Accademia Tiberina di Roma un corso di "Elementi di Psicologia Evolutiva", in cui presenta il Sistema ouspenskyano a un pubblico verosimilmente ignaro di Quarta Via. Di queste lezioni resta un dattiloscritto, con intestazione dell'Accademia Tiberina, da cui ho attinto le notizie del presente articolo.

Igor Istòmin ebbe l'opportunità di entrare per un attimo in contatto con l'Insegnamento: per questo dovette pagare sborsando tutto ciò che aveva, in un Paese straniero. Rispetto ad altre persone, egli udì poco, ma gli bastò: l'Insegnamento mise radici e non seccò più, nemmeno quando Istòmin si ritrovò tagliato fuori da ogni Scuola. La sua decisione di superare l'intervallo cominciando a insegnare ricorda JG Bennett e avrà rappresentato probabilmente un supersforzo capace di conferire spessore al suo Lavoro.

Se oggi in Italia i nomi di Gurdjieff e Uspensky non sono più sconosciuti, forse è anche merito dei supersforzi pionieristici di Istòmin.

Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
dicendo: “Intrate, ma facciovi accorti
che di fuor torna chi 'ndietro si guata”.

martedì 14 luglio 2015

Internet


Recentemente, ho osservato uno studente di Quarta Via lasciarsi andare in una chat a osservazioni poco ponderate. Parlando successivamente con un amico di questo fatto, si diceva che l'Internet è piena di persone superficiali. Eppure, questo studente non è una persona superficiale. Pratica il Lavoro da anni e scrive deliziosi racconti nei quali si cela l'Insegnamento.

Perché allora era apparso superficiale in chat? Alla mente mi sono venute due risposte.

La prima è che Internet è comunque una "macchina" e frequentarla troppo rafforza la nostra meccanicità. Nei rapporti dal vivo siamo più reali e attenti. Sicuramente, se lo studente in questione si fosse trovato di fronte a persone in carne e ossa, avrebbe usato altre parole, con un'energia diversa. Prima di Internet (ma anche ora), qualcosa di simile si osservava con le automobili: l'uomo che si metteva al volante diventava "automaticamente" più aggressivo. Stare con le macchine ci rende dunque più macchine (così come stare con chi è più conscio ci rende più consci).

La seconda risposta è che in Quarta Via esiste la "legge dell'altrimenti": le cose potrebbero non essere come sembrano, celando una complessità maggiore. In questo cammino, a volte, si fa intenzionalmente un piccolo errore in pubblico, per motivi che possono andare dal mortificare la vanità all'osservare le proprie reazioni. Tornando al caso in questione, lo studente che per dieci minuti ha scritto cose inopportune non ha fatto una bella figura, attirando attrito su di sé.

Personalmente non conosco questo studente, ma se ha fatto ciò consciamente, può essere che "il risultato di questa sofferenza sia suo, per Essere", e che abbia "preso forza da animale per dare a Essere" (Gurdjieff, citato da W.P. Patterson, Gurdjieff e le donne della Cordata).

Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
dicendo: “Intrate, ma facciovi accorti
che di fuor torna chi 'ndietro si guata”.

lunedì 13 luglio 2015

I lunedì della poesia - Un haiku


Bosco di tigli -
   nei miei stessi respiri
      io cammino


Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
dicendo: “Intrate, ma facciovi accorti
che di fuor torna chi 'ndietro si guata”.

domenica 12 luglio 2015

Francis Roles, o come la Quarta Via arrivò (tornò?) in India


Il libro Ouspensky's Fourth Way di Gerald de Symons Beckwith, uscito quattro mesi fa in Inghilterra, colma un vuoto. Finora conoscevamo la scuola di Francis Roles, il "successore" di Ouspensky a Londra, attraverso testimonianze e opinioni esterne, non di rado velate da pregiudizi. Come dice il libro (pag. 129), in confronto a Gurdjieff e Ouspensky, Francis Roles "fu oggetto di ben scarse attenzioni, che quasi sempre liquidavano i suoi sforzi come pedanti o emulativi ... Francis Roles era però contento di ciò e continuava a volare libero, sopra e al di là del raggio dei radar".

Solo da pochi mesi, attraverso Ouspensky's Fourth Way, disponiamo di una testimonianza dall'interno di questa importante Scuola di Quarta Via (chiamata Study Society) e del suo fondatore, che fu l'equivalente per Ouspensky di ciò che Madame de Salzmann fu per Gurdjieff.

Come la De Salzmann, Roles introdusse nella Quarta Via la pratica della meditazione, da lui definita "un atto di amore verso il proprio Sé autentico, il proprio Creatore" (Voyage of Discovery - Sayings and Teachings of Francis C. Roles, New York 1992).

L'approdo alla meditazione avvenne nell'ambito della filosofia Advaita e sotto gli auspici dello Shankaracharya Shantananda Saraswati, il nuovo Maestro cui Roles arrivò attraverso il più noto Maharishi Mahesh Yogi. Il libro non lo dice, ma con "meditazione" dovremmo quindi intendere qualcosa di simile alla MT di quest'ultimo, ovvero la ripetizione interiore di un mantra o breve formula verbale. Siamo agli inizi degli anni Sessanta, quando una parte della gioventù occidentale cominciava a cercare il senso della vita in Oriente. C'era però una differenza tra Roles (con le sue centinaia di studenti) e il resto degli occidentali: i primi apparvero agli indiani molto più "preparati". Ciò era dovuto al lavoro svolto con Ouspensky, in particolare alla capacità di tenere sotto controllo l'attenzione. Nelle persone che non avevano questo retroterra, il tasso di abbandono della meditazione dopo pochi mesi era del novanta per cento, mentre per il restante dieci per cento spesso "la potente energia generata dalla pratica meditativa veniva deviata da ambizioni mondane, finendo con l'alimentare l'ego". La Scuola di Francis Roles venne riconosciuta, prima dal Maharishi e poi dallo Shankaracharya, come capace di produrre "gente preparata, in cui la meditazione poteva mettere radici e prosperare con speranze molto maggiori di successo".

Un'altra fonte orientale che arricchì la Study Society furono i dervisci mevlevi di Istanbul, giunti nel 1963 a Colet House (il quartier generale di Roles) grazie a uno studente turco. Molto prima di altri occidentali, dunque, i "discendenti" di Ouspensky cominciarono a danzare e roteare, in gran segreto, insieme ai "discendenti" di Rumi. La pratica prosegue ancora oggi. Lo Sheikh di Istanbul che acconsentì a insegnare danze dervisce a Londra fu, "casualmente", il nipote di quello che Ouspensky aveva incontrato a Costantinopoli quaranta anni prima. 

Da quando questo libro è apparso, più di un lettore si è chiesto: "Sto nella Quarta Via da anni, eppure non sapevo niente di Francis Roles e della sua Scuola. Com'è possibile?". Se qualcosa si sapeva, era solo tramite notizie vaghe e spesso negative, magari di ex studenti. A queste, però, non veniva data risposta: "Ogni Scuola subisce questi attacchi dai 'delusi', ma non può difendersi né rispondere a tono, perché così facendo tradirebbe i principi più elevati che reggono la sua esistenza. A sua difesa, una Scuola può solo respingere e restare muta davanti a coloro che manifestano rumorosa incomprensione" (p. 29). In ciò, Francis Roles seguiva le orme del suo Maestro Ouspensky, che restava silenzioso davanti all'attrito fornito dal suo Maestro Gurdjieff e persino dalla moglie Sophie.

Discrezione e basso profilo erano alla base del Lavoro. Come disse Roles nel discorso di fondazione della Study Society (14/1/1952): "Una delle cose più distruttive del nostro Lavoro è parlare di esso. Tutto il nostro Lavoro è volto a rafforzare la nostra mente interiore, che non si esprime tramite le parole. Parlare dell'arresto dei pensieri o del ricordo di sé non fa che aumentare il potere della nostra parte esterna e superficiale. I risultati devono trapelare solo dal nostro comportamento e dalle nostre azioni; pertanto, in questi incontri stabiliamo in modo chiaro che parleremo sempre e solo in modo impersonale".

Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
dicendo: “Intrate, ma facciovi accorti
che di fuor torna chi 'ndietro si guata”.

venerdì 10 luglio 2015

"Frammenti": un libro censurato?


Il 21 dicembre 1964, in una lettera a Leon MacLaren, Francis Roles scriveva: "[Il libro Frammenti di un insegnamento sconosciuto] è stato abbondantemente censurato e modificato prima di essere dato alle stampe contro i desideri dell'autore. Io ho assistito a gran parte della sua stesura e (per forza di cose) a gran parte dei suoi tagli: dunque conosco tutti i disastri e le tragedie, derivanti dai suoi metodi [di Gurdjieff], che sono stati cancellati o sminuiti" (Gerald de Symons Beckwith, Ouspensky's Fourth Way, Oxford 2015).

Francis Roles era il fondatore della Study Society, l'organizzazione che aveva raccolto l'eredità di Ouspensky. Tra gli allievi più vicini a quest'ultimo, ne era divenuto in pratica il successore. Conosceva bene anche la moglie di Ouspensky, Sophie, da cui andò nell'aprile 1948 per ricevere suggerimenti dopo la morte del marito.

Nel dicembre dello stesso anno si recò da Madame Ouspensky Gurdjieff stesso, che ricevette il manoscritto di Frammenti  e ne autorizzò la pubblicazione. Madame si era sempre considerata una discepola di Gurdjieff e non del marito. Il suo matrimonio con quest'ultimo, secondo Francis Roles, era dovuto solo a una questione di passaporti: probabilmente non era mai stato consumato. Il punto di vista di Madame Ouspensky su Gurdjieff è famoso: "Non pretendo di comprendere George Ivanovitch [Gurdjieff]. Per me egli è X. Tutto ciò che so è che egli è il mio maestro e non è giusto che lo giudichi, né è necessario che io lo comprenda. Nessuno sa chi sia il reale George Ivanovitch, perché egli si nasconde a tutti noi. E' inutile che cerchiamo di conoscerlo, e mi rifiuto di entrare in qualunque discussione a suo riguardo".

Volendo prendere per buone le affermazioni di Francis Roles su Frammenti (anche se l'ostilità tra "ouspenskyani" e "gurdjieffiani" potrebbe destare sospetti), ci si può chiedere chi epurò cosa da Frammenti.

La risposta alla seconda domanda non è facile ma, dopo quanto si è detto, quella alla prima viene spontanea: Madame Ouspensky consegnò forse a Gurdjieff una versione edulcorata del libro del marito, quella che ancora oggi leggiamo. Vista la sua devozione al Maestro armeno, può aver distrutto molti passaggi in cui quest'ultimo appariva in cattiva luce. Il viaggio di Francis Roles da Madame Ouspensky, otto mesi prima, può averlo autorizzato ad affermare di aver assistito agli interventi di censura. Se così fosse, Frammenti andrebbe in realtà considerato, come il libro Quarta Via, un testo compilato e autorizzato da Sophie Grigorievna Ouspensky.

Chissà se con il tempo Francis Roles non finì con il capire e accettare queste censure: qualche anno dopo, il suo nuovo insegnante Shree Shantananda Saraswati gli avrebbe scritto: "A un vero discepolo interessa solo la natura divina del suo insegnante. Le azioni dell'insegnante in quanto uomo non interessano al discepolo. Lui vi è totalmente indifferente. Per lui, l'insegnante è l'insegnante anche se agisce in modo non convenzionale".

Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
dicendo: “Intrate, ma facciovi accorti
che di fuor torna chi 'ndietro si guata”.


domenica 5 luglio 2015

Un haiku


Tante parole,
   il bar di piazza grande -
      tanti respiri

Oggi si riparte, senza computer e senza Internet. Il rientro, giovedì.

Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
dicendo: “Intrate, ma facciovi accorti
che di fuor torna chi 'ndietro si guata”.

venerdì 3 luglio 2015

Sesso ed Eros Cosmico


Il momento più sacro della sessualità non è l’atto vero e proprio, ma dopo, quando si resta abbracciati a lungo, immobili e in silenzio. Allora, poco a poco, un’energia vasta e calda soffia al centro del petto: per farla crescere, bisogna osservarla. Allo stesso tempo, guardandola troppo si dissolve. L'osservazione deve avvenire con discrezione, quasi "nascosti in una rupe e con una mano davanti al viso", come Mosè al passaggio di Dio. 

Un abbraccio, visto dall'alto, è un sorriso con al centro l'uomo. Esiste un calore particolare che viaggia in esso: dove lo sentiamo, si sviluppa. Il nostro occhio interno lo ramifica, gli mette fiori e frutti. Allora si può avvertire che un secondo abbraccio, più grande, avvolge entrambi gli amanti. 

Essere – in senso gurdjieffiano – nel rapporto sessuale è come ingranare una marcia alta. Non si può avviare una macchina in quinta, ma quando si arriva alla quarta, per andare al massimo bisogna passare alla quinta. Inoltre, si può mettere la quinta solo quando si è in quarta: facendolo prima, il motore gira a vuoto. Se siamo al momento giusto, mettiamo vento nella nostra vela. Essere al momento giusto è come entrare nella corrente: si fluisce, si vola. Diventano possibili nuove esperienze: nel nostro raggio entrano cose che altrimenti sarebbero rimaste irraggiungibili.

Ogni bacio è come una ninfea: fiorisce alla superficie, ma le sue radici affondano in tutto il corpo. Nel Tantra si parla di quattro chiavi: movimento, respiro, suono e consapevolezza. Tutte favoriscono il rapporto (forse c’è anche lo sguardo: guardarsi negli occhi). Per uno studente di Quarta Via, rappresentano altrettanti modi di dividere l’attenzione: con l’una o con l’altra del corpo (consapevolezza); con il respiro; con l’emissione di suoni; con le percezioni create da carezze, abbracci e movimenti (movimento). 

Alla fine si resta in ascolto di quella lieve estasi, tenendo il filo dell'attenzione come nei sogni lucidi. Diceva San Paolo: "Pregate incessantemente". Perché non anche: "Amate incessantemente"?

Osho: La vera fonte della tua energia è il cuore.

Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
dicendo: “Intrate, ma facciovi accorti
che di fuor torna chi 'ndietro si guata”.

giovedì 2 luglio 2015

Gli ultimi giorni di Ouspensky


Ouspensky's Fourth Way di Gerald de Symons Beckwith, uscito recentemente (aprile 2015) in Inghilterra, racconta per la prima volta del gruppo ouspenskiano della Study Society nella seconda metà del XX secolo, sotto la guida del "successore" di Ouspensky, il medico Francis Roles.

Essendo stato quest'ultimo molto vicino a Ouspensky, nel libro troviamo aneddoti nuovi sul Maestro russo. A esempio, il matrimonio tra due personalità diverse come Peter Ouspensky e Sophie Grigorievna pare fosse dovuto solo a una questione di cittadinanza: il che spiegherebbe come sia stato possibile che Madame Ouspensky, interrogata una volta su tale matrimonio, rispondesse (pag. 30): "Tre giorni di ciò che Ouspensky chiamava 'amore' sono stati sufficienti per me".

Una delle parti più interessanti di questo libro è il racconto degli ultimi giorni di Ouspensky, dei quali ancora si sa poco.

Accanto a Ouspensky, in quei giorni difficili, rimase un numero ristretto di persone: nel libro si fanno i nomi, oltre a Roles, di Collin Smith, Miss Pryor e Miss Romer. I primi due scrissero un resoconto, Last Remembrances of a Magician, che non è mai stato pubblicato, ma è circolato in forma dattiloscritta tra poche persone. In Ouspensky's Fourth Way si dice che ne esistono numerose versioni: gli estratti che qui possiamo leggere verrebbero "dalla versione posseduta dal dott. Roles".

Un'altra fonte di informazioni trascritta in questo libro sono le lettere che in quei giorni Roles scriveva a Madame Ouspensky (la quale era rimasta in America). Ouspensky sottopose questi allievi a prove difficili, di cui il libro fornisce alcune descrizioni. Egli diceva loro: "Tu [Roles], Collin Smith, Miss Prior, Miss Romer, siete sempre gli stessi. Io so quello che direte o farete in qualsiasi momento. Dovete cambiare". Un giorno, dopo ventiquattro ore insonni e particolarmente difficili, commentò: "Vi ho spostato da dove eravate. Ora posso parlarvi". Quello che disse viene solo accennato, ma riguardava la necessità di rifondare da zero il Sistema, ritrovandone la sorgente.

Secondo i presenti, prima di morire Ouspensky "non riposava mai, sembrava posseduto da un demone di energia" e "appariva vigoroso come non si vedeva da tre anni". In conseguenza di questi resoconti, sembra che Madame Ouspensky riconoscesse che quel gruppo di studenti "era su un'altra sponda e doveva continuare per la sua strada, secondo le istruzioni ricevute da Mr. Ouspensky". Per loro non valeva, dunque, il suo consiglio universale di recarsi da Mr. Gurdjieff a Parigi.

Gli effetti bizzarri della morte di Ouspensky su Rodney Collin Smith sono noti ed è possibile leggerli in italiano. Anche nel dottor Francis Roles, però, qualcosa cambiò: "Benché restasse sempre reticente sui dettagli, Francis Roles confermò che Ouspensky aveva creato un nuovo potere in lui, per cui spesso si svegliava nel cuore della notte in un diverso stato di coscienza. Suo figlio, Nicholas Roles, ricordava che il padre 'sosteneva che PDO gli avesse fatto qualcosa, per cui dopo la sua morte [di Ouspensky], si svegliava nel cuore della notte'" in uno stato che qualche anno dopo, in seguito a un viaggio in India, avrebbe definito di samadhi e che poteva durare anche dieci ore.

Rodney Collin Smith avrebbe rifondato la scuola ouspenskiana in Messico, mentre Roles rimase a Londra. Secondo questo libro, le due scuole - messicana e inglese - sono ancora in contatto, benché Collin sia morto nel 1956.

Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
dicendo: “Intrate, ma facciovi accorti
che di fuor torna chi 'ndietro si guata”.

mercoledì 1 luglio 2015

Roccapelago


Nel 2011, sotto il pavimento della chiesa di Roccapelago (MO), è stata trovata una cripta con i corpi di 281 persone lì sepolte da metà Cinquecento e fine Settecento. Particolari condizioni climatiche hanno preservato molti corpi, per cui oggi ci troviamo di fronte a un'intera comunità mummificata. Nel giugno di quest'anno, la cripta e alcuni locali annessi sono stati trasformati in un museo dedicato al ritrovamento.


Le gentili guide offrono spiegazioni di quasi ogni reperto. Tramite i tessuti, le ossa e i cimeli si sta ricostruendo la vita di questa antica comunità contadina: oggi ne conosciamo a grandi linee la dieta, le carenze alimentari, i metodi di cura, i vizi, le malattie, le abitudini di vita, i pellegrinaggi ecc. 

Dopo la visita a un  museo del genere, si prova un grande silenzio. Di fronte alla morte, i diecimila "io" dell'uomo non possono che perdere importanza. "Relatività" e "senso di scala" sono concetti che in queste sale assumono un nuovo significato; anche chi lavora qui sembra aver sviluppato un particolare senso del distacco.

Mentre notavo l'effetto psicologico di questo museo, mi sono accorto di quanto siamo strani noi occidentali del XXI secolo. Se mi interrogavo sui legami morte/spiritualità, le prime cose che mi venivano in mente erano gli adepti del Tantra accanto ai crematori indiani, i monaci tibetani in meditazione davanti ai cadaveri o le "torri del silenzio" zoroastriane. Eppure, a casa nostra abbiamo avuto fino a pochi anni fa tradizioni affini, se non identiche. Recentemente, nella cripta della chiesa di S. Severo al Pendino a Napoli, ho visto i cosiddetti "lavatoi", sedili in cui venivano posti i cadaveri affinché i monaci li contemplassero. Sotto a ogni sedile, vi era un foro per il deflusso dei liquami.


Ciò mi ha portato l'attenzione su un fatto curioso: come Ouspensky cercò una Scuola in India e trovò Gurdjieff nella sua città, io inseguo in posti remoti ciò che ho sotto casa e devo guardare lontano per capire quanto ho innanzi. Chinarsi sul passato per estrarne un momento di presenza, come a Roccapelago, è in fondo la stessa cosa.

Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
dicendo: "Intrate, ma facciovi accorti
che di fuor torna chi 'ndietro si guata".