Alla
Reggia di Caserta, il portone centrale si apre su una prospettiva di atri,
vasche e cascate che si perdono all’orizzonte. Lo stesso schema – una porta che
funge da cannocchiale sull’infinito – si rinviene altrove. Nel Seicento, gli
Estensi avevano allestito nel loro Palazzo di Sassuolo un asse prospettico che,
dal centro del cortile, raggiungeva gli Appennini tramite portoni, atri, fontane
e viali alberati. A volte, quello che viene catturato nel vano d’una porta non
è l’infinito, ma una semplice espansione di sé. Se tutti i portoni di
Palazzo Santacroce a Roma (con annesse scuderie) fossero aperti, in un punto
di Via Arenula si vedrebbe una prospettiva che chiude un atrio, due cortili e
una strada, culminando in una fontana barocca. Ovviamente, in città contenere l’infinito
in una porta è più difficile. L’asse Louvre-Tuileries-Champs Elysees è il primo
e più noto esempio.
L’architetto di un tempo badava a costruire muri e tetti per proteggere la vita di tutti i giorni, ma anche a lasciare un varco da cui si intravedesse l’infinito: metafora dell’uomo,
prigione con una crepa da cui è possibile evadere. L’evasione è fantastica,
perché inanella cortili, terrazze e cascate come perle di una
collana.
C’è
uno e un solo punto in cui l’infinito ci raggiunge: uno scostamento di dieci
centimetri basta a metterci sotto altri influssi, casuali e non organizzati. Quando
troviamo il punto da cui parte l’infinito, la chiave entra nella serratura. L’uomo
è in sintonia con qualcosa che lo trascende e lo richiama: una forza centripeta
necessaria a non farlo irretire dai tanti, seducenti paesaggi laterali.
Trovare
il punto di fuga è cominciare a vedere un disegno nella propria vita, una meta oltre
se stessi. Mettersi nel punto giusto e scoprire l’infinito vuol dire cominciare
a Lavorare.
Per
trascendersi, l’essere umano deve conferire alla propria attenzione la
precisione di un laser. Il cielo è un infinito “difficile”, che richiede la nostra dissoluzione; quello prospettato da un portone è un infinito iniziale, utile a
muovere i primi passi.
L’uomo
mette l’infinito in prospettiva per facilitarsi il cammino. Natura, scultura e
architettura puntano nella stessa direzione, come i "fattori di ricordo" che "l’uomo
astuto" dissemina nella propria vita per cercare di attenersi al suo scopo.
Una
volta che siamo entrati in relazione con l’infinito,
il cammino è cominciato. Esso è orchestrato dall’uomo per non farci perdere di
vista la meta, ma quest’ultima è oltre l’uomo.
Così la neve al sol si dissigilla;
così al vento nelle foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.
Nessun commento:
Posta un commento