domenica 9 agosto 2015
venerdì 7 agosto 2015
Maurice Nicoll, il maestro che lasciò due maestri
Maurice Nicoll falegname al Prieuré, 1923 |
Maurice Nicoll è un maestro di Quarta Via che ha lasciato due maestri di Quarta Via. Il caso non è frequente, quindi cerchiamo di conoscerlo meglio.
Il primo maestro che Nicoll incontra è l'ultimo a essere lasciato: P.D. Ouspensky. La separazione fu relativamente indolore. Da un giorno all'altro, Ouspensky allontanò Nicoll da sé, dicendogli: "Nicoll, è meglio che te ne vada. Va' via e insegna il Sistema!". Una cosa del genere non era mai stata detta e non sarebbe più stata detta a nessuno. Mancano testimoni di tale "investitura", ma possiamo crederci, perché nei primi tempi Ouspensky veniva a monitorare il gruppo di Nicoll e i due conservarono un rapporto di amicizia per tutta la vita.
Apparentemente più sofferta era stata la separazione Nicoll/Gurdjieff. Quando il primo divenne studente del secondo, era uno stimato psicoterapeuta molto amico di Jung. Trasferirsi al Prieuré di Fontainebleau volle dire per Nicoll abbandonare casa, studio e brillante carriera per fare lo sguattero in mezzo alla foresta. Nell'avventura si trascinò dietro moglie e figlia. Gli fu vietata qualsiasi lettura e, quando in comunità occorreva un medico, veniva sistematicamente ignorato. Il padre, un uomo di lettere abbastanza famoso, rimase deluso dalla scelta del figlio e morì mentre quest'ultimo era a Fontainebleau. Da alcuni aneddoti capiamo che Nicoll doveva aver sviluppato della negatività nei confronti di Gurdjieff. Essa tuttavia non fu mai espressa e quando si presentò l'occasione, Nicoll silenziosamente e senza polemiche abbandonò Gurdjieff per tornare da Ouspensky. L'occasione fu la trasferta americana di Gurdjieff e la conseguente sospensione delle attività al Prieurè. Nicoll fu invitato in America con Gurdjieff, ma colse questa "finestra" per salutare tutti rispettosamente e tornare a Londra.
Per il resto della sua vita, Nicoll avrebbe parlato con grande rispetto sia di Gurdjieff che di Ouspensky. Sì, la disciplina in Francia era stata dura, ma questo "gli aveva permesso di diventare un insegnante a sua volta", eseguendo i compiti che gli erano stati affidati ("Ogni volta che Gurdjieff parlava della necessità di coniugare la scienza dell'Occidente con il misticismo dell'Oriente, guardava me": da qui i tentativi di Nicoll di collegare il misticismo gurdjieffiano alla neuroscienza del cervello).
Uomini di minore levatura si sarebbero forse abbandonati a esprimere negatività dopo le dure esperienze francesi, ma Nicoll non lo fece mai, e in questo si dimostrò un autentico maestro di Quarta Via. La separazione dai suoi maestri era avvenuta perché loro stessi lo avevano allontanato o perché si era aperta la possibilità di un'uscita di scena "naturale", senza polemiche.
Mentre Nicoll era al Prieuré, E.C. Bowyer scrisse per il Daily News un famoso articolo sull'Istituto di Gurdjieff, in cui tra l'altro si diceva: "Mr. Gurdjieff non desidera tenere con sé gli allievi dopo che hanno raggiunto un certo stadio di sviluppo ... Quando l'allievo arriva a ricevere gli insegnamenti individuali, si verifica in genere una rapida evoluzione verso un punto in cui egli può lasciare Gurdjieff e andare nella vita senza aiuti".
Mentre Nicoll era al Prieuré, E.C. Bowyer scrisse per il Daily News un famoso articolo sull'Istituto di Gurdjieff, in cui tra l'altro si diceva: "Mr. Gurdjieff non desidera tenere con sé gli allievi dopo che hanno raggiunto un certo stadio di sviluppo ... Quando l'allievo arriva a ricevere gli insegnamenti individuali, si verifica in genere una rapida evoluzione verso un punto in cui egli può lasciare Gurdjieff e andare nella vita senza aiuti".
D'altra parte, capitò che alcuni studenti se ne andassero sbattendo la porta: oggi di loro conosciamo a stento i nomi, e solo come note a pie' di pagina di biografie gurdjieffiane.
(Le informazioni alla base di questo articolo sono tratte da Beryl Pogson, Maurice Nicoll, A Portrait, e P.B. Taylor, Gurdjieff in the Public Eye)
(Le informazioni alla base di questo articolo sono tratte da Beryl Pogson, Maurice Nicoll, A Portrait, e P.B. Taylor, Gurdjieff in the Public Eye)
Vien dietro a me, e lascia dir le genti:
sta come torre ferma, che non crolla
già mai la cima per soffiar di venti.
giovedì 6 agosto 2015
Tensione e distensione
Maurice Nicoll, alla fine dei suoi incontri (la cui trascrizione avrebbe poi costituito il libro Commentari), imbracciava una chitarra e cominciava a suonare. I suoi studenti lo seguivano intonando canzoni inglesi, scozzesi o irlandesi (qualche volta, O Sole Mio). Scrive Beryl Pogson: "Era necessario avere simili serate gaie dopo l'incontro, per poter rilasciare l'energia" (Maurice Nicoll, A Portrait).
Questa alternanza tra tensione e distensione era forse stata appresa da Nicoll alla Scuola gurdjieffiana del Prieuré, nel 1923. Ricorda Tchesslav Tchechovitch (Tu l'amerai): "Gurdjieff, prevedendo i giorni di festa e la distensione che essi avrebbero creato, faceva di tutto per generare un'atmosfera di tensione nei giorni precedenti, che ci obbligava a fare sforzi maggiori". Questa tensione si sarebbe poi sciolta in quelle che secondo le testimonianze erano feste grandiose.
A livello personale, sembra che Gurdjieff usasse alcune personali "valvole di sfogo" per alleggerire la tensione. Il bagno turco era una di queste. "Per tutta la settimana mantengo l'attenzione sotto controllo, dirigo e governo tutta la mia vita interiore. Durante il rilassamento del bagno, permetto alla mia testa di seguire il corso associativo dei miei pensieri psichici" (Tchechovitch, cit.). Un'altra erano le gite in automobile con gli studenti: "Il sig. Gurdjieff si è sempre riposato di volta in volta. Da quando lo conosco, ha viaggiato e fatto altre cose solo per riposarsi e divertirsi" (Madame de Salzmann, da G. ed E. Bennett, Idioti a Parigi; questa sarebbe diventata una tradizione di Quarta Via: anche Leon MacLaren faceva ampio ricorso a tali gite).
Riposarsi dopo uno sforzo potrebbe essere qualcosa che non ha bisogno di spiegazioni: se non lo si facesse, si rischierebbe di diventare "candidati al manicomio". Forse, però, c'è dell'altro. Intanto, si offrono all'allievo diversi contesti in cui esercitare il ricordo di sé: durante lo sforzo e durante il rilassamento.
Solo l'uomo la cui coscienza interiore rimane libera dall'attività esteriore può a pieno titolo definirsi un essere responsabile. J.G. Bennett
Inoltre, Ouspensky disse che uno sforzo intenso e protratto, in qualunque lavoro si stesse facendo, ci avrebbe reso più emozionali: "Una scarsità di emozioni indica una scarsità di sforzi", ammonì il Maestro russo. Passare da uno sforzo intenso e prolungato a un'attività emozionale (il canto, la festa) può forse aiutare a scivolare dal centro emozionale inferiore a quello emozionale superiore: il che è lo scopo del Lavoro.
Vien dietro a me, e lascia dir le genti:
sta come torre ferma, che non crolla
già mai la cima per soffiar di venti.
mercoledì 5 agosto 2015
A tavola con Gurdjieff
Nella sua biografia di Maurice Nicoll (Maurice Nicoll: A Portrait), Beryl Pogson racconta che un giorno quest'ultimo andò in gita con Gurdjieff sulle Alpi svizzere. A un certo punto del viaggio in macchina, fu improvvisato uno spuntino ai lati della strada: qui Gurdjieff rimproverò Maurice Nicoll perché mentre mangiava "si lasciava distrarre dalla vista meravigliosa", quando invece avrebbe dovuto essere totalmente presente al suo cibo.
Jessmin e Dushka Howarth ci ricordano (Gurdjieff International Review, November 2003) alcuni pensieri di Gurdjieff sul cibo: "L'uomo dovrebbe mangiare non come un animale, ma consapevolmente"; "Se uno sa come mangiare correttamente, sa anche come pregare"; "C'è più di un tipo di cibo alla mia tavola. Il cibo che mangiate, lasciate che resti solo nella memoria; gli altri tipi di 'cibo', portateli con voi".
Che l'atto del mangiare avesse delle implicazioni spirituali, non era una novità. Nel testo più famoso della mistica ortodossa, La Filocalia, leggiamo: "Otto sono le radici dalle quali nascono tutte le altre forme
del pensare agitato. Esse sono: 1) la golosità ... (Evagrio il Monaco)"; "Il ventre è il re delle passioni … Quando lo stomaco è
pesante la mente rimane annebbiata, e la preghiera non può essere praticata con
chiarezza e costanza (Gregorio il Sinaita)". Più in là nel tempo e nello spazio, l'indiana Uddhava Gita dice: "Per il saggo, il senso del gusto è il più difficile da controllare ... Se tutti gli altri sensi sono sotto controllo, ma non il gusto, il saggio non è ancora padrone dei suoi sensi".
Se uno è padrone di sé a tavola, dunque, è più facile che lo sia anche in altre aree della vita. Per promuovere ciò, esistono degli accorgimenti: a esempio, usare intenzionalità nella preparazione del cibo e della tavola, oppure limitare il chiacchiericcio. Entrambi venivano impiegati da Gurdjieff. Elizabeth Bennett scrive (Idioti a Parigi): "[Gurdjieff] ha detto che l'ancien règle era una buona cosa, e ha aggiunto che al Prieuré nessuno parlava in sala da pranzo. 'Dopo uscire, fumare, parlare: solo, non in sala da pranzo'". Che il momento dei pasti facesse assomigliare la Scuola di Gurdjieff a un monastero, lo conferma Tchesslav Tchechovitch (Tu l'amerai) portando l'esempio dei picnic a Fontainebleau: "Alla fine di ogni piatto le conversazioni riprendevano, ma Gurdjieff riportava il silenzio facendo servire nuovi piatti". Dell'alto livello estetico della tavola gurdjieffiana, ci informa invece sua nipote Luba Gurdjieff (Luba Gurdjieff, memorie e ricette al Prieuré d'Avon): "La tavola della cena era sempre così bella. Argento e piatti bellissimi e sempre tovaglie meravigliosamente pulite. La stanza da pranzo dove lui mangiava era sempre apparecchiata in modo meraviglioso".
Se uno è padrone di sé a tavola, dunque, è più facile che lo sia anche in altre aree della vita. Per promuovere ciò, esistono degli accorgimenti: a esempio, usare intenzionalità nella preparazione del cibo e della tavola, oppure limitare il chiacchiericcio. Entrambi venivano impiegati da Gurdjieff. Elizabeth Bennett scrive (Idioti a Parigi): "[Gurdjieff] ha detto che l'ancien règle era una buona cosa, e ha aggiunto che al Prieuré nessuno parlava in sala da pranzo. 'Dopo uscire, fumare, parlare: solo, non in sala da pranzo'". Che il momento dei pasti facesse assomigliare la Scuola di Gurdjieff a un monastero, lo conferma Tchesslav Tchechovitch (Tu l'amerai) portando l'esempio dei picnic a Fontainebleau: "Alla fine di ogni piatto le conversazioni riprendevano, ma Gurdjieff riportava il silenzio facendo servire nuovi piatti". Dell'alto livello estetico della tavola gurdjieffiana, ci informa invece sua nipote Luba Gurdjieff (Luba Gurdjieff, memorie e ricette al Prieuré d'Avon): "La tavola della cena era sempre così bella. Argento e piatti bellissimi e sempre tovaglie meravigliosamente pulite. La stanza da pranzo dove lui mangiava era sempre apparecchiata in modo meraviglioso".
Sembra che con gli anni lo stile della tavola gurdjieffiana si sia modificato, ma secondo le testimonianze (Pierre Schaeffer, in L. Pauwels, Monsieur Gurdjieff), alla tavola del Maestro armeno permaneva sempre "l'obbligo di proseguire un lavoro interiore (evidentemente e senza che nessuno lo avesse mai detto esplicitamente)", in modo tale che a quel desco "mangiare diventava un fatto enorme".
Tra le cose che non cambiarono alla tavola di Gurdjieff: ricordare se stessi mentre si mangiava ("When I eat, I self-remember", in Jassmine e Dushka Howarth, cit.) ed evitare di mangiare da soli. "Brava a mangiare con altri", si sentì dire Rina Hands (Il diario di Madame Egout pour Sweet) un giorno, dopo essersi seduta al tavolino di Gurdjieff in un caffè parigino. Questo è uno degli elementi più importanti per cercare di promuovere la Presenza a tavola: condividere l'esperienza con altri. "La presenza di sé senza la presenza degli altri è davvero una zuppa annacquata", si legge nell'Introduzione al succitato libro di Luba Gurdjieff.
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martedì 4 agosto 2015
Conventi della Toscana - 2
A Camaldoli non c'è solo un eremo famoso, ma anche una delle più singolari librerie conventuali d'Italia: oltre ai consueti testi di mistica cristiana, vi troviamo trattati di filosofia orientale, cuscini e tappetini di meditazione. Una guida spiega che il monachesimo camaldolese, avendo in San Romualdo origini orientali, si sente autorizzato ad attingere alla spiritualità dell'Est: pertanto nel programma di questo complesso romanico-barocco troviamo lezioni di yoga, corsi di esicasmo e seminari sulla preghiera del cuore. Un luogo prezioso e tutto da esplorare, se non altro per la foresta che lo avvolge, ricca di alberi plurisecolari e spesso cavi, grazie ai quali nacque la fantastica leggenda dei camaldolesi come "omini bianchi che vivono dentro gli alberi".
Il monastero di clausura di Santa Maria del Sasso è puro Quattrocento fiorentino nel cuore del Casentino. I nomi che stanno dietro la sua edificazione sono Girolamo Savonarola e Lorenzo il Magnifico. Nei suoi sotterranei viene adorata, in mezzo alle rocce, la "Madonna del buio": un singolare culto di sospette origini pagane, oltre che un raro caso di coincidenza tra devozione popolare ed eccellenza artistica (la statua viene dalla bottega di Donatello). Il complesso monastico, ubicato sulle rive di un ruscello, ha un'aura speciale: da non perdere la visita al chiostro affrescato, i cui giardini vengono curati con amore dalle monache domenicane.
In Vallombrosa, lo Stato italiano compì un errore: al suo arrivo, allontanò i religiosi dall'abbazia resa celebre da Milton (prime pagine del Paradiso Perduto: "quelle forme d'angelo che giacevano là stupefatte, / fitte come le foglie dell'autunno che in Vallombrosa / ricoprono i ruscelli dove le ombre etrusche / si addensano in archi solenni", trad. R. Sanesi) per impiantarvi una scuola, circondata da una cittadina turistica di nuova fondazione. Il progetto fallì e dopo qualche decennio i Vallombrosani poterono tornare alla loro casa madre. Oggi le architetture vacanziere hanno un po' diluito l'energia del luogo, ma l'abbazia permane intensa. Se siete fortunati, potrà capitarvi di venire accolti, subito all'ingresso, da un monaco anziano che vi regalerà semplici pagine di una mistica senza tempo, accompagnandole con un soffio di voce: "Difficilmente ci vedremo ancora in questa vita -- Qui ci sono cose buone -- Il male si diffonde da sé, il bene invece va pigiato". Poi, sorridendo dolcemente, vi volterà le spalle e sparirà tra le ombre di Vallombrosa.
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lunedì 3 agosto 2015
I lunedì della poesia - Catena di haiku
domenica 2 agosto 2015
Conventi della Toscana - 1
Un recente viaggio in Toscana mi ha fatto conoscere diverse comunità religiose che vivono e operano all'interno di architetture secolari. Una di queste è la "Fraternità di Romena".
La chiesa di Romena è stata costruita nel XII secolo in tempore famis, come è scritto su un capitello, ovvero durante una carestia. Legati a essa sono Dante, che visse nei pressi, e D'Annunzio, che qui intorno scrisse le poesie di Alcyone. Da un quarto di secolo la chiesa e i locali annessi ospitano la Fraternità di Romena, fondata da Don Luigi Verdi. Non è segnalata su Wikipedia o nei cartelli stradali: chi si rechi a visitare l'abbazia romanica avrà quindi la sorpresa di trovarvi una grande realtà religiosa contemporanea, che si esprime anche attraverso originali opere d'arte. Come ha scritto Enzo Bianchi, fondatore della comunità di Bose: "Luoghi come la fraternità di Romena sono un'autentica grazia: discreti, silenziosi e impregnati di sapienza".
La chiesa di Romena è stata costruita nel XII secolo in tempore famis, come è scritto su un capitello, ovvero durante una carestia. Legati a essa sono Dante, che visse nei pressi, e D'Annunzio, che qui intorno scrisse le poesie di Alcyone. Da un quarto di secolo la chiesa e i locali annessi ospitano la Fraternità di Romena, fondata da Don Luigi Verdi. Non è segnalata su Wikipedia o nei cartelli stradali: chi si rechi a visitare l'abbazia romanica avrà quindi la sorpresa di trovarvi una grande realtà religiosa contemporanea, che si esprime anche attraverso originali opere d'arte. Come ha scritto Enzo Bianchi, fondatore della comunità di Bose: "Luoghi come la fraternità di Romena sono un'autentica grazia: discreti, silenziosi e impregnati di sapienza".
Ovunque vediamo tappeti, cuscini sul pavimento, icone, sculture in legno, sale che verrebbe da definire "da meditazione". In un caso, nella stanza "della tenerezza", due panchetti sembrano invitare a una contemplazione prolungata dell'Annunciata di Antonello da Messina.
In giro si leggono citazioni di varia provenienza: Rumi, Abbé Pierre, Simone Weil. Per ogni dove, sensazioni di armonia, bellezza e pulizia, con sottofondo di musiche di arpa e flauto. Nonostante l'apparente originalità, il messaggio della Fraternità è interamente cristiano. Leggendo i libri dell'adiacente casa editrice "Il Ristoro", non si hanno dubbi. Queste sale non sono per la meditazione, ma per la recita delle Lodi.
Alcune delle opere d'arte sono manufatti in legno trovati nei dintorni e ritoccati da Don Luigi Verdi ("Anche Gesù era un falegname", dice lui); altre sono creazioni di Giosuè, un monaco eremita che vive in questi boschi e che agli inizi della Fraternità aveva regalato a Don Luigi una pietra con una spaccatura in cui aveva fatto colare una goccia d'oro, accompagnandola con queste parole: "Troppe preziose, le ferite".
Passeggiando per Romena, si ha la sensazione di trovarsi in un posto che nutre l'anima. "Davvero la disattenzione è il più grande peccato del nostro tempo", dice Don Luigi Verdi. E ancora: "La lotta contro il disordine della mente è l'inizio dell'abbandonarsi a Dio", perché "Il diluvio universale dei nostri anni è quello delle parole e delle immagini: una pioggia senza fine e senza regola ...in cui il troppo occupa tutta la scena" (Luigi Verdi, La realtà sa di pane).
Tuttavia, la cura per la bellezza sembra solo la conseguenza di qualcos'altro. La ragione d'essere di questa giovane comunità è in quel capitello di mille anni fa: la trasformazione della sofferenza. "Cossiccome la pieve, così armonica e bella, fu fondata in tempo di crisi, così la fraternità fonda se stessa sull'idea che la crisi può diventare opportunità." La storia della Fraternità comincia quando Don Luigi decide, in base alle sue esperienze di vita, di offrire dei corsi divisi in tre fasi, la prima delle quali incentrata sulla "trasformazione delle ferite in una feritoia, una finestra verso l'oltre, preziosa come l'oro". Negli altri due corsi in cui si snoda la proposta didattico-formatoria di Romena, è possibile fare esperienze come la cerimonia giapponese del tè, per "la riscoperta della sacralità in ogni piccolo gesto"; la veglia notturna di preghiera, sul modello di San Francesco; l'esplorazione dei suoni di un bosco attraverso la guida di un musicista non vedente.
Tra gli ispiratori di Don Luigi Verdi, troviamo i nomi di Frere Roger di Taizé, Tonino Bello, Charles de Foucauld, Sorella Maria di Campello, Luigi Ciotti, Arturo Paoli e tanti altri: non ultimo il monaco eremita Giosuè, i cui pensieri sono stati appena pubblicati in un libro intitolato Frammenti.
Tra gli ispiratori di Don Luigi Verdi, troviamo i nomi di Frere Roger di Taizé, Tonino Bello, Charles de Foucauld, Sorella Maria di Campello, Luigi Ciotti, Arturo Paoli e tanti altri: non ultimo il monaco eremita Giosuè, i cui pensieri sono stati appena pubblicati in un libro intitolato Frammenti.
Vien dietro a me, e lascia dir le genti:
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