giovedì 11 giugno 2015

La separazione Gurdjieff/Ouspensky


Gurdjieff, his work on myself, with others, for the Work è un bel libro di Irmis B. Popoff non ancora tradotto in italiano. Contiene una delle teorie più originali sulla “rottura” tra Gurdjieff e Ouspensky. Tale teoria non è enunciata esplicitamente, ma tramite indizi.

A pag. 172, Popoff scrive: “Nel Lavoro ci viene detto che dobbiamo sacrificare qualcosa per un lungo periodo di tempo, costantemente, se vogliamo davvero conseguire l’unità interiore, il diritto di dire ‘io’ dentro di noi”. A mo’ di esempio, viene citato il sacrificio di cui parla Gurdjieff in La vita è reale solo quando “Io sono”: al fine di avere costantemente dentro di sé un fattore di ricordo, Gurdjieff si risolse a sacrificare i suoi poteri psichici (telepatia e ipnosi). Più in là, Popoff accenna a Meher Baba: forse questo santo indiano, quando decise di non parlare più (continuando però a vivere in mezzo agli uomini), stava facendo un notevole sacrificio che gli avrebbe permesso di creare dentro di sé un fattore duraturo di ricordo.

Dopo di ciò, Popoff affronta una delle domande più spinose del Lavoro: “Com’è possibile che Ouspensky, se era davvero un grande Maestro, abbia abbandonato Gurdjieff?”. La risposta, non banale e tra le più ispirate, comincia così: perché era all’opera “la legge dell’altrimenti” (the law of otherwise). Quest’ultima era stata definita, qualche pagina prima, come la legge per cui le cose “non stanno così come sembrano, ma altrimenti”. Popoff fa l’esempio di una conferenza di Ouspensky: all’inizio il Maestro russo appariva sonnacchioso e svogliato, finché un certo numero di persone non ebbe abbandonato la sala. A quel punto, Ouspensky sembrò rianimarsi e iniziò veramente la conferenza, a beneficio di chi se l’era guadagnata restando. Gran parte dei bizzarri atteggiamenti di Gurdjieff e Ouspensky, secondo Popoff, erano dettati dalla “legge dell’altrimenti”.

Popoff si chiede: “Perché mai Ouspensky sentì di dover abbandonare quella fonte di saggezza e conoscenza che era il suo Maestro? Perché avrebbe barattato la compagnia di quest’ultimo … per quella degli idioti patentati che affollavano le sale delle sue conferenze? Perché si privò dell’opportunità di ottenere più insegnamenti, di verificare le sue scoperte tramite un insegnante capace di capirlo?”. Irmis B. Popoff non lo dice, ma il modo in cui accosta gli argomenti suggerisce una risposta: la rinuncia a Gurdjieff fu il grande pagamento che Ouspensky impose a se stesso per sviluppare al proprio interno un fattore di ricordo duraturo. È solo un’ipotesi, però originale, meno grossolana di altre e in accordo con il fatto che Gurdjieff, dopo la morte di Ouspensky, tributò stima a quest'ultimo.

Come scrive ancora Popoff: “Mi rifiuto di credere che uomini della statura di Gurdjieff e Ouspensky potessero agire come chiunque altro, litigando meccanicamente … Dal punto di vista del Lavoro, ciò non avrebbe avuto valore”.

In sintesi Ouspensky, pensando di aver ricevuto a livello teorico tutto ciò che vi era da sapere, sarebbe passato alla pratica privandosi di una cosa tra le più importanti: il suo Maestro. Popoff – che ebbe la fortuna di conoscere Gurdjieff, Ouspensky e anche la moglie di quest’ultimo – avrebbe forse detto che tale sacrificio non era stato inutile.

Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
dell’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso. 

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