venerdì 17 luglio 2015

"Il mare che pensa": appunti sul film


Il mare che pensa di Gert de Graaff (2000) è un film basato sul concetto “Le cose non sono come sembrano”. Continuamente le immagini rilanciano questa idea. La trama stessa del film la suggerisce: assistiamo in diretta alla stesura della sceneggiatura del film, ma nelle ultime scene tutto viene cancellato. Eppure, abbiamo appena finito di assistere al film. Anzi no: sull’ultima scena cammina il gatto. Non era una scena, ma qualcos’altro (un’illusione di Escher?).

Come il mare che si crede un albero, continuamente noi pensiamo di essere altro. Visivamente e concettualmente, il film mira a trasmettere questo messaggio.

È un film che va visto più volte. Avendolo visto solo una volta, non si coglie il nesso tra le prime scene, ambientate a Granada negli anni Settanta, e il resto del film.

Un sottotema è “Il danno che può fare la spiritualità libresca”. Un intellettuale si chiude in una casa con libri di Zen e di Nisagardatta, ruminadoli solitariamente e giungendo a trattare le singole pagine come feticci. Dimentica che quegli insegnamenti nacquero in un contesto relazionale: comunitario-monastico, come nello Zen, o maestro/discepolo, come Nisargadatta. Alla fine, il protagonista si vede dall’alto e butta tutti i fogli da una macchina in corsa. Successivamente, si sbarazza anche della macchina. Un secondo dopo, lo stesso protagonista in un altro ambiente cancella il file della sceneggiatura. Ma su tutto, poi, cammina il gatto (lo stesso gatto che aveva risposto alla domanda “Come si cancella Bart?” pigiando a caso i tasti). Non sappiamo più cosa è reale. Come all’inizio (all’inizio e alla fine, vediamo lo stesso deserto).

Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
dicendo: “Intrate, ma facciovi accorti
che di fuor torna chi 'ndietro si guata”.

1 commento:

  1. Attualissimo e raro. Sono alla ricerca di opere simili. Scrivetemi a Lambdabeat

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